di Sandro Russo
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Per “Ultima Thule”, entità geografica e mitica, leggi qui
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Stavolta abbandoniamo il mondo fisico ed entriamo nel regno senza confini della fantasia per quello che per qualcuno è l’ultimo viaggio; per altri una rinascita, per altri ancora un ritorno.
Ora siamo davvero al limite estremo …che ‘più in là non si può’: non altre terre oltre quel punto, non più spazio né tempo.
Non poteva rimanere non cantata, ‘L’ultima Thule’. Ci ha pensato Francesco Guccini, con quello che ha annunciato come il suo più recente – ultimo (?) – lavoro discografico; l’album è uscito il 27 novembre 2012 come ventiquattresimo album del cantautore.
Così Guccini parla che suo lavoro, che ha chiamato L’ultima Thule, metafora appunto di un approdo definitivo:
“Ho pensato all’immagine della nave col navigatore da solo senza più ciurma, con le vele smesse, nel suo ultimo viaggio. Ci pensavo fin dai tempi di Radici (il suo quarto album, del 1972 (!) – NdR), che volevo intitolare proprio L’ultima Thule, e il primo verso l’ho scritto quindici anni fa. Credo di aver letto della leggenda di Thule tanti anni fa in un libro di Borges (1), e mi è rimasta dentro.
Come mi è rimasta addosso l’immagine di un quadro di Böcklin, L’isola dei morti (2), che rappresenta una zona finale tra i ghiacci, dove non c’è più vita. Nulla a che fare con la Thule dei nazisti, ovviamente”.
“L’ultima Thule”, ripresa dopo anni, forse ispirata dalla biblioteca mitica e dal bestiario di Borges, «si era arenata davanti a una fotografia del Grande Nord che non trovavo.
Poi in trattoria a Pavana, a cena con il proprietario e le mogli, ho incontrato, a locale chiuso, un fotografo, Luca Bracali, e ho visto il veliero fra i ghiacci, all’80° parallelo. Ho capito che avevo il finale del mio ultimo disco».
L’ultima Thule
Io che ho doppiato tre volte Capo Horn
e ho navigato sette volte i sette mari
e ho visto mostri ed animali rari,
l’anfesibena (3), le sirene, l’unicorno.
Io che tornavo fiero ad ogni porto
dopo una lotta, dopo un arrembaggio,
non son più quello e non ho più il coraggio
di veleggiare su un vascello morto.
Dov’è la ciurma che mi accompagnava
e assecondava ogni ribalderia?
Dov’è la forza che ci circondava?
Ora si è spenta ormai, sparita via.
Guardo le vele pendere afflosciate
con i cordami a penzolar nel vuoto,
che sbatton lenti contro le murate
con un moto continuo, senza scopo.
E vedo in aria un’insensata danza
di strani uccelli contro il cielo bigio
cantare un canto in questo mondo grigio,
un canto sordo ormai, senza speranza.
E qui da solo penso al mio passato,
vado a ritroso e frugo la mia vita,
una saga smarrita ed infinita
di quel che ho fatto, di quello che è stato.
Le verità non vere in cui credevo
scoppiavano spargendosi d’intorno,
ma altre ne avevo e giorno dopo giorno
se morivo più forte rinascevo.
E ora son solo e non ho più il conforto
di amici andati e sempre più mi assale
la noia a vuotar l’ultimo boccale
come un pensiero che mi si è ritorto.
Ma ancora farò vela e partirò
io da solo, e anche se sfinito,
la prua indirizzo verso l’infinito
che prima o poi, lo so, raggiungerò.
L’Ultima Thule attende al Nord estremo,
regno di ghiaccio eterno, senza vita,
e lassù questa mia sarà finita
nel freddo dove tutti finiremo.
L’Ultima Thule attende e dentro il fiordo
si spegnerà per sempre ogni passione,
si perderà in un’ultima canzone
di me e della mia nave anche il ricordo…
di me e della mia nave anche il ricordo
Note
1. – Jorge Luis Borges /
Gli altri si vantino per le pagine che hanno scritte;
io vado orgoglioso per quelle che ho lette.
Non sarò stato un filologo,
non avrò investigato le declinazioni, i modi, il laborioso mutare delle lettere,
la d che indurisce in t,
l’equivalenza della g e della k,
ma nel corso degli anni ho professato
la passione della lingua.
Le mie notti son piene di Virgilio;
aver saputo e scordato il latino
è possederlo, perché anche l’oblio
è una forma della memoria, la sua vaga cava,
l’altra faccia segreta della moneta.
Quando si cancellarono ai miei occhi
le vane apparenze che amavo,
i volti e la pagina,
mi detti allo studio del linguaggio di ferro
che usarono i miei antichi per cantare
spade e solitudini,
e ora, attraversando sette secoli,
dall’Ultima Thule,
la tua voce mi giunge, Snorri Sturluson (4).
Dinanzi al libro, il giovane s’impone una disciplina precisa
e lo fa in vista di un preciso conoscere;
ai miei anni ogni impresa è un’avventura
il cui confine è la notte.
Non finirò di decifrare le antiche lingue del Nord,
non tufferò le mani ansiose nell’oro di Sigurd (5);
il compito cui attendo è illimitato
e dovrà accompagnarmi fino alla fine,
non meno misterioso dell’universo
e di me, l’apprendista.
[Da: Jorge Luis Borges, “Elogio dell’ombra”, Einaudi 2006]
2. Arnold Bocklin. L’isola dei morti: leggi qui sul sito
3. Anfesibena o Anfisbena è un mitico serpente dotato di due teste, una ad ogni estremità del corpo, e di occhi che brillano come lampade. Secondo il mito greco, Anfisbena fu generata dal sangue gocciolato dalla testa della gorgone Medusa quando Perseo volò, stringendola in pugno, sopra il deserto libico (da Wikipedia)
4. Snorri Sturluson (1178 – 1241), è stato uno storico, poeta e politico islandese
5. “La leggenda di Sigurd e Gudrùn” è un poema narrativo composto dallo scrittore britannico John Ronald Reuel Tolkien, pubblicato postumo (nel 2009).
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[Le isole del mito. (13) – Fine]
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