Geologia

Ritratti fornesi. Liano Marcaccio, chimico S.A.M.I.P.

di Giuseppe Mazzella

Liano Marcaccio

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Quando arrivò a Ponza Liano Marcaccio aveva solo vent’anni. Chimico, aveva letto una inserzione di lavoro ed era stato attratto da quella miniera di bentonite in mezzo al mare. Era il febbraio del 1960.
La bellezza dell’isola lo folgorò. Vi ha infatti lavorato per gran parte della sua vita professionale e vi ha anche preso moglie.

– Quando ammiravo le coste di Cala dell’Acqua dalla finestra del mio laboratorio – esordisce – ero letteralmente stregato da tutta quella bellezza. Per me, abituato alle monotone spiagge dell’Adriatico, sono nativo di Grottazzolina in provincia di Ascoli Piceno, restavo incantato dalla scogliera che cambiava colore e dal mare trasparentissimo.
– Hai avuto difficoltà ad inserirti nell’ambiente di lavoro e  tra la gente del posto
– gli domando.
Assolutamente no. Le Forna, al tempo era un presepe, silenzioso e ospitale. Tutti i colleghi della miniera, circa settanta, erano gentili con me. Io lavoravo almeno otto ore al giorno tra l’essiccatore, i molini, l’insaccatrice e la centrale elettrica. Stavo delle ore ad analizzare la qualità della bentonite e a proporre le necessarie aggiunte di soda caustica per trasformarla da calcica a sodica. E ogni giorno c’era da verificare il prodotto proveniente dai nuovi scavi. Il laboratorio in cui lavoravo era efficientissimo e anche oggi sarebbe considerato all’avanguardia.

Al tuo arrivo come si estraeva il minerale? – gli domando.
Quando arrivai a Ponza l’estrazione era ormai tutto a cielo aperto. Erano state abbandonate le gallerie, sia per il costo sia per i tempi lunghi. Nel mio lavoro io fui supportato moltissimo da quello che diventerà poi mio suocero, Gennaro Aprea, il più vecchio operaio, con la matricola numero uno della S.A.M.I.P., la società mineraria creata dall’ingegner Savelli.
Era stato proprio l’ingegnere, che aveva scoperto il prezioso minerale,  ad insegnare  a mio suocero alcune nozioni base, grazie alle quali egli era in grado con un semplice coltellino con cui scalfiva una zolla di bentonite di capirne la qualità. Savelli gli insegnò anche a progettare le gallerie, istruendolo anche  all’uso del tacheometro. Al punto che, qualche anno dopo, meravigliò un geometra appena arrivato che nel realizzarne una, aveva sbagliato di ben mezzo metro, contro la totale esattezza di quella progettata da lui. E’ inutile dire che il geometra incolpò della cosa il mal funzionamento dello strumento.

– Dove era commercializzata la bentonite? – gli chiedo.
Era esportata in tutto il mondo, dalla Norvegia alla Svezia, dalla Francia alla Germania, dall’Inghilterra al Congo, ai Paesi Arabi. Quando arrivai a Ponza il materiale era trasportato a Carrara dove era lavorato. Poi ci dotammo anche noi dei molini e degli altiforni per la lavorazione.

– Erano molte le applicazioni? – gli chiedo ancora.
– Tantissime, nel campo della fonderia, nei fanghi di perforazione petrolifera, farmaceutico, enologico, nella lavorazione della carta e delle ceramiche e nel trattamento delle acque industriali.
– Perché è stata chiusa la miniera? – domando.
La miniera, già alla fine degli anni sessanta stava esaurendo le riserve. Nonostante le nuove trivellazioni, la bentonite era sempre più scarsa, tanto che dovevamo accontentarci dei residui che erano nei letti geologici e che spesso era solo tufo, che dovevamo perciò trattare pesantemente per renderlo commercializzabile. Ormai non rimaneva quasi più niente.

E tu lasciasti Ponza.
– E io, grazie all’esperienza maturata nel settore, ho poi lavorato con una società importante, utilizzando un prodotto simile alla bentonite ponzese, di per sé insuperabile, per interventi in tanti lavori. Ho collaborato, infatti, alla costruzione delle fondamenta delle centrali di Borgo Sabotino e del Garigliano, nei progetti di impermeabilizzazione della zona di stoccaggio dei rifiuti di Malagrotta  a Roma, nella costruzione delle fondamenta dell’Auditorium di Roma, con l’architetto Renzo Piano, e nelle perforazioni della TAV Torino-Napoli e anche in un’opera ciclopica come il ponte Vasco de Gama di Lisbona, lungo ben 15 chilometri.
– Tutte cose molto impegnative e più importanti di Ponza… – sottolineo.
– Sì, certamente, ma gli anni di Ponza, un’isola straordinariamente bella, e il clima che si respirava in miniera, restano indelebili nel mio cuore e nella mia memoria – conclude con un velo di tristezza.

Ponte Vasco de Gama. Lisbona

 Ponte Vasco de Gama a Lisbona (cliccare sull’immagine per ingrandire)

Banconota da 500 €. Foto Agosto 2008

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[Ritratti fornesi – Continua]
1 Comment

1 Comments

  1. vincenzo

    17 Settembre 2013 at 12:53

    Mi piacciono i ritratti di donne e uomini descritti da Giuseppe; l’uomo più invecchia e più diventa bello ma…

    IL CHIMICO
    Mi ricorda una canzone di De André: “Da chimico un giorno avevo il potere di sposare gli elementi e di farli reagire, ma gli uomini mai mi riuscì di capire perché si combinassero attraverso l’amore. Affidando ad un gioco la gioia e il dolore”.

    “- Quando ammiravo le coste di Cala dell’Acqua dalla finestra del mio laboratorio – esordisce – ero letteralmente stregato da tutta quella bellezza.”

    Che la Sua chimica distruggeva! Il Chimico di De André era più coerente!

    Alla domanda inopportuna di Giuseppe “perché è stata chiusa la Miniera” – ha risposto: “…perché stava esaurendo le riserve…”
    E’ certo la distruzione di quello che lei ha definito “presepe” non c’entra niente; la distruzione di case, la cacciata forzata di centinaia di famiglie e poi la lotta della popolazione ponzese contro la PIOVRA, non hanno nessun significato almeno storico per LEI?

    Ma l’esperienza di quel ventennio le è servita per il mondo: “Tutte cose molto impegnative e più importanti di Ponza… – sottolinea Giuseppe.

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