di Francesco De Luca (Franco)
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Giorno dopo giorno si chiudono le finestre e le porte che hanno potuto saziarsi del vento di levante, intriso di parole e di sabbia, e del sole, caldo all’eccesso.
Stentano a serrarsi, quasi non volessero subire l’imposizione, conseguente alla fine delle vacanze estive.
I vicoli si vedono costretti alla cecità. Senza più occhi a scrutare gioie, riposi, vite vissute.
L’estate, la sognata estate di puro godimento, non trova bocche per spettegolare nelle croci di case.
A mano a mano che gli aliscafi partono, il paese si restringe.
Rimane un filo d’acqua uscente dal tubo dal tetto, evidente segno di un difetto di chiusura; un asciugamano dimenticato sul filo a sbrandellarsi al vento; quel gatto rosso, abituato a trovare il pasto fuori da quella porta, che lui attende si apra. Ora non più.
Il paese si ricompatta, come a riprendere l’antico andare.
Una sorte di implosione, dopo l’espansione estiva.
La cornice paesaggistica è la stessa, così come la luce, che evidenzia i colori dei caseggiati, dà risalto al terso delle acque. A mutare è il paesaggio umano sui moli, accanto alle barche da pesca, sul Corso.
Si muovono poche persone e altrettanto poche sono ferme a dialogare.
È il prologo del “rito dell’attesa”.
Sarà officiato dalle persone che persisteranno a risiedere sull’isola; avrà cerimoniali del mattino, del pomeriggio e della sera; consisterà di brevi passeggiate, di soste, di saluti; avrà luoghi privilegiati: il corso, Sant’Antonio, il porto, la chiesa.
Da ora e per l’intero periodo, fino a maggio, nel paese ci si dispone a che il rito dell’attesa sia ogni giorno uguale, con qualche variazione apportata dal meteo, epperò anche diffuso, insinuante, non eclatante, pervasivo.
Gesti identici, ripetuti con noia, formule convenzionali di scambio. Neanche l’uscita dei bimbi da scuola incrina il magro cerimoniale perché subito inghiottiti dalla macchine dei genitori.
L’attesa piomba, come una cappa, la vita. Occorrerebbe renderla più umana!
vincenzo
17 Settembre 2013 at 17:19
E invece non è così caro Franco, non è solo attesa, ma è lotta per la sopravvivenza vera e propria.
Le mamme si accaniranno contro le maestre e le bidelle, la mensa si farà o no. E poi dovranno fare i compiti a casa, insieme ai figli: quelle schede incomprensibili.
Poi si porteranno i bambini dalla maestra di pianoforte oppure alla banda.
I vecchi litigheranno con l’autobus in ritardo e sul Poliambulatorio perché il cardiologo non viene o le analisi non si potranno effettuare.
I giovani si lamenteranno quotidianamente con quei pochi quotidiani psicologi che sono i baristi che resistono all’ascolto gratis.
Biagio chiederà soldi per il suo calcio e anche se pochi ragazzi andranno a giocare al campo di Le Forna, quel campo è ancora vivo di giovani.
Professori si lamenteranno del non studio dei giovani e i giovani diranno che i professori non sono stimolanti, ma tutti insieme terranno in vita la scuola.
Sul Comune, in banca, alle poste ci saranno impiegati in carne ed ossa che lavoreranno per dare dei servizi a uomini e donne in carne ed ossa.
Ci saranno i lavoratori che raccoglieranno l’immondizia di notte e anche qualche panettiere lavorerà quando gli altri dormono.
Si andrà al ristorante qualche volta. Si mangerà una pizza più spesso.
Nei campi al Fieno qualcuno spezzerà ancora qualche pietra e costruirà una parracina.
Qualche pescatore tutte le mattine si recherà a pescare per sé e la sua famiglia.
Ci saranno persone che aspetteranno di andare a caccia e a sera giocheranno a carte nei bar. Le massaie vorranno il mercato ma poi andranno nei negozi e parleranno con i negozianti di prezzi e del tempo.
I due preti faranno le omelie e sui banchi ci saranno fedeli come in tutte le chiese del mondo.
Per fare il coro si proverà di sera, quando c’è vento oppure pioggia.
Si protesterà se Internet non funzionerà e se su Sky non si potranno vedere le partite.
Su Facebook si discuterà e molti cercheranno sempre frasi più importanti scomodando filosofi e pensatori.
Si festeggeranno matrimoni e compleanni. Si accompagneranno morti.
Si protesterà per il cimitero abbandonato.
E a Natale qualcuno farà il presepe e metterà le luminarie.
Tanti volontari cercheranno di animare l’inverno.
C’è ancora qualche carpentiere e un falegname, c’è un barbiere; questi non aspettano ma lavorano.
Tutti insieme i ‘confinati a Ponza’ si lamenteranno dei trasporti che non funzionano e qualcuno organizzerà una manifestazione.
Quella manifestazione è fatta di pochi uomini, donne e bambini che non aspettano l’estate, ma lottano speranzosi giorno per giorno.
Lottare contro la noia o per portare a casa un pezzo di pane, oppure strappare alla quotidianità un po’ di allegria, non è aspettare l’estate.
Sono queste esigenze che devono essere ascoltate. Questa gente non è rassegnata. E’ chi parte che è rassegnato a consumare quello che ha strappato all’isola; quelli che rimangono investono il loro poco o il loro tanto nel presente in quest’isola.
E’ solo sui residenti invernali che quest’isola può contare.
susy scarpati
17 Settembre 2013 at 17:51
Quanto hai ragione Vincenzo! …mi sono uscite due lacrime …una di dolore… una di amarezza.
Giovanni Conte di Silvano
17 Settembre 2013 at 19:35
Franco, ha ragione Vincenzo… Ha ragione quando dice che le esigenze di chi resta devono essere ascoltate, ma da chi? A me sembra che dal 16 settembre siamo stati già abbandonati al nostro destino… un triste lungo e duro inverno
Enzo Di Giovanni
17 Settembre 2013 at 22:24
Caro Vincenzo, una attenta lettura del tuo post mi ha fatto sobbalzare dalla sedia.
Perchè, delle due:
o ti sei espresso male, preso dall’enfasi del tuo racconto, per il resto comprensibile e condivisibile, e questo è un peccato veniale; oppure pensi veramente ciò che dici, e la cosa mi sconcerta non poco.
Possibile?
Possibile che anche un attento osservatore di cose ponzesi cada in simili banalizzazioni?
Cosa significa: “Questa gente non è rassegnata. È chi parte che è rassegnato a consumare quello che ha strappato all’isola; quelli che rimangono investono il loro poco o il loro tanto nel presente in quest’isola”.
Questo sarebbe il teorema: che chi parte è un manigoldo, un rinnegato che “consuma” ciò che ha “strappato” (un mariolo, praticamente), mentre quelli che rimangono sono “non rassegnati” ed “investono”: una lotta evangelica tra Martiri e Corrotti.
Ma dai! Non ci posso credere che hai scritto una cosa così! Anche perchè di tutto abbiamo bisogno tranne che di disperdere le (poche) forze in semplificazioni senza senso, che fanno presa solo sui cultori del (pericolosissimo) “pensiero semplice”.
vincenzo
18 Settembre 2013 at 16:26
L’anno scorso ho scritto sette articoli su quello che ho definito ‘la residenza invernale’ e ho affermato che oltre alle ZPS (zona a protezione speciale) bisogna parlare dell’esigenza di istituire sulle isole minori le RPS (residenza protezione speciale).
Fra qualche anno ci saranno più funerali che battesimi e questo è un fatto.
Per cui io voglio mettere “l’accento” su questo aspetto in modo forte e chiaro, non voglio alzare barriere né mancare di rispetto per chi parte, ma è certo che le istituzioni politiche, l’amministrazione Comunale a mio avviso perderebbe la partita della vita se non tenesse in considerazione questi dati.
In quegli articoli ho ampiamente spiegato il mio pensiero: io dico di partire da chi rimane e intorno a questi cercare la via della rinascita. Bisogna servire i residenti in primo luogo: questi devono poter vivere degnamente per tutto l’anno; avere un lavoro, una casa, dei servizi. Sentirsi protetti e quindi partecipare con entusiasmo a sacrifici e a benefici.
C’è gente che è sbarcata a Ponza il 20 Giugno, quando i ponzesi erano distratti a festeggiare il loro Patrono, ha fatto i suoi affari ed è ripartito il 16 settembre.
Tutto si può fare, ma l’amministratore deve garantire a chi vive tutto l’anno una o più corsie preferenziali altrimenti oltre al danno continuerà la beffa e partire converrà in tutti i sensi.
Enzo tu, come tanti altri amici di Ponzaracconta, non siete mai partiti, siete sempre presenti, attenti a quello che succede in quest’isola, voi vivete con noi il lungo inverno, lottate con noi ma ci sarà a mio avviso da fare una netta distinzione tra i residenti invernali e quelli che vengono solo a sfruttare l’isola nei periodi di sfruttamento turistico.
Con affetto Vincenzo
Enzo Di Giovanni
18 Settembre 2013 at 19:21
Uno dei disagi di Ponza è rappresentato dalle frammentazioni in cui da sempre ci laceriamo. Ponzesi contro fornesi, cacciatori contro agricoltori (quando c’erano), albergatori contro affittacamere, ecc.
Io ho sempre ritenuto tali lacerazioni frutto non di interessi corporativistici, ma in ultima analisi segnale di malessere sociale, di incapacità a rapportarsi e a costruire, a porre le basi per un futuro migliore e soprattutto condiviso. Per questo parlo di “pensiero semplice”, che nella sua definizione corrente rappresenta:
“l’azione politica portata avanti forzando la natura conflittuale delle relazioni in modo da rendere necessaria la propagazione di specifiche idee ed opinioni. Il tentativo è quello di aggregazione verso un pensiero dominante, e per tale motivo risulta necessario far leva su sentimenti catalizzatori e per certi versi istintivi quali la paura, il senso di appartenenza, l’orgoglio e su strumenti di martellante propaganda politica, basati sul controllo diretto o indiretto dei mezzi di produzione ed informazione.” (fonte peacelink.it)
Appare, credo, del tutto evidente che, se vogliamo compiere questo salto di qualità, almeno su Ponza racconta dovremmo stare ben attenti ad eliminare fazioni, anziché aggiungerne altre.
Sai benissimo che ci sono persone costrette ad andar via per lavoro, studio, o salute (e lo fanno molto mal volentieri…), ed altri che restano nel più totale disimpegno sociale.
Non può certo essere questa la discriminante.
E se proprio non possiamo fare a meno dell’italica propensione a dividerci tra guelfi e ghibellini, suggerisco quantomeno di porre l’accento non tra chi parte e chi resta, ma tra chi lotta (anche intellettualmente) per la salvaguardia del proprio territorio e chi invece lo depreda.
Anche perchè la problematica vera da affrontare in questo campo è come fare per aumentare la residenzialità. La quale non può che rivolgersi a chi vorrebbe restare ma proprio non può, per esigenze primarie: anche se non ci sono dati statistici possiamo essere certi che questa fetta di “migranti” rappresenta la stragrande maggioranza sul totale dei partenti stagionali, che resterebbero volentieri se avessero appunto lavoro, casa, servizi.
Tutto qua.
Un caro saluto, Enzo.
silverio lamonica1
18 Settembre 2013 at 20:12
L’articolo di Franco è un testo poetico, molto bello. I poeti, si sa, inducono i lettori a riflettere, a discutere, a volte a sorridere (i poeti satirici).
Avendo letto i commenti, Franco ha centrato in pieno l’obiettivo e di cuore gli dico: BRAVO!
vincenzo
19 Settembre 2013 at 16:36
Caro Enzo,
fissiamo questo concetto e siamo d’accordo: “suggerisco quantomeno di porre l’accento non tra chi parte e chi resta, ma tra chi lotta (anche intellettualmente) per la salvaguardia del proprio territorio e chi invece lo depreda”.
Enzo Di Giovanni
19 Settembre 2013 at 20:30
Buona sintesi.
Finissero sempre così le discussioni…