di Francesco De Luca (Franco)
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Il tempo dell’estate si è franto di fronte all’acquazzone venuto dalla terra ferma.
L’isola, ancora abbellita dalle presenze dei motoscafi nelle rade e inghirlandata dai natanti nello specchio del porto, ha accolto prima con stupore le refole del libeccio e poi si è chinata alla pioggia massiccia.
Dalle stradine l’acqua scende sporca per il lurido che toglie dalle strade.
E’ la lavata che aspettava anche l’uva. Dai filari impolverati, annebbiati dal terriccio di mesi di seccura, aspettava l’uva questo rovescio per mostrare l’ambra dei grappoli maturi. Pronti per l’imminente vendemmia: momento esaltante perché il suo liquore diventi fantasia, poesia. Quella che dagli uomini porti agli dei, dalla vita trasmigri al mito.
Sui motoscafi attraccati sprazzi di luce sono le giacche incerate di colore vivacissimo. Compaiono sulle fiancate e subito si dileguano. Sembrano galli cedroni bardati a festa.
Corso Pisacane è guardato con meraviglia dai turisti al riparo nei bar, nei negozi, dovunque. La meraviglia è generata dallo spettacolo inconsueto: un posto regno del sole e dello svago ora è interdetto a chiunque, tiranneggiato.
Cosa pensino i ponzesi con gli occhi opachi non mi azzardo ad immaginare. Che il sapore di mare permanga ancora per molto prima di divenire sapore di sale.