di Tano Pirrone
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Fra le poche cose che ereditai da mio padre, alla sua morte avvenuta 43 fa – oltre i canoni mai dimenticati per essere sempre persona per bene e rispettabile, un bellissimo orologio da taschino ultrapiatto del 1942, in oro rosso – che naturalmente conservo ancora gelosamente e che è destinato a mio primogenito che si chiama esattamente come lui – ci furono libri (romanzi, saggi, testi scolastici e militari).
Fra i libri, particolarmente amato è un “Dizionario di cognizioni UTET” in 6 volumi, rilegato, con moltissime illustrazioni.
È una “Enciclopedia elementare di scienze, lettere ed arti, compilata da specialisti delle varie materie sui programmi delle Scuole Secondarie e ad uso delle famiglie sotto la direzione dei Professori Mario Lessona e Francesco Cosentini”.
L’edizione in mio possesso è quella del 1925, ma la nascita del ‘Dizionario’ è databile parecchie decine di anni prima.
Lo stile, la cultura di riferimento sono infatti ottocenteschi e poco hanno ancora della velocità del secolo breve, in quegli anni già attraversato da futurismo, interventismo e dalla tracotante espansione fascista.
Alla voce “Fasci”, per l’appunto, si descrivono i fasci di verghe d’olmo e di betulla, legate insieme e con in centro una scure: simbologia introdotta dai re romani derivandolo dalla vicina Etruria. Non certo quello che significarono dopo e per i quali si soffrì ed il cui ricordo ancora opprime.
È straordinario leggere oggi voci scritte così tanto tempo fa, ma ancora, anche se distanti, appartenenti alla nostra storia, al mondo che conosciamo e che i nostri genitori ed i nostri nonni hanno perfettamente conosciuto. Abbiamo la misura di questi due elementi: la continuità e la diversità irriconquistabile.
Una foto di Giancarlo Giupponi del Faro della Guardia
Ho intenzione di tanto in tanto di scegliere una voce e riportarla, metterla in discussione, parlarne e farne parlare.
Ho pronta da tempo la voce “Ponza”, ma ho deciso di cominciare dall’argomento del mio ultimo articolo “Fare Fari” (leggi qui) e vedere insieme cos’era per i nostri nonni questa costruzione: ci inoltreremo in un modo di scrivere e di descrivere abbastanza lontano dal nostro, ma estremamente suggestivo, impregnato di positivismo, di fiducia ancora indiscussa nelle “magnifiche sorti e progressive”.
Il secolo breve non era ancora nato, oppure da qualche parte ruggiva già, ancora inascoltato, e nei cieli già bui si addensavano le nuvole che avrebbero coperto i campi di battaglia e le città distrutte. Ma era ancora l’età dei fari.
Mentre oggi i fari chiudono, sono dismessi, venduti per usi turistici o abitativi. Nel migliore dei casi.
Spesso, soprattutto in Italia, vengono abbandonati e decadono, muoiono ed impoveriscono un territorio che grazie alla loro presenza si era arricchito del graffito elegante dell’uomo, della sua genialità, della sua curiosità ed intraprendenza. Quando c’erano.
Ora c’è il GPS ed il faro diventa inutile e viene buttato.
Noi che conserviamo i giornali, preferiamo i libri di carta, facciamo la raccolta differenziata, conserviamo la vecchia camicia che indossiamo per andarci a dormire insieme, noi pensiamo che tutte le opere dell’uomo, belle ed utili, debbano essere conservate e riusate, senza stravolgere, ma lasciando in esse lo spirito del tempo.
E che qualcosa debba rimanere per continuare a parlare dei tempi passati, anche lontani, senza i quali questi nostri non ci sarebbero stati.
I giornali hanno riportato la notizia che negli Usa, dove erano catalogati ben 700 fari, li si sta dismettendo, gradualmente, al ritmo di 5 o 10 ogni anno; vengono ceduti, come dicevo prima, per attività turistiche, culturali o abitative (1).
Il faro di Old Saybrook (venduto all’asta), alla foce del fiume Connecticut e sul Long Island Sound (N.Y)
Il faro di Boston (venduto)
Cambiano le finalità, ma lo splendido contenitore continua a mostrarsi alto e dritto, fiero e solitario, senza paura, testimone di sacrifici, impegni, tenaci sopportazioni.
Anche in Italia qualcosa si fa, ma con noia, disinteresse, stancamente.
Ogni faro che si salva è un pezzo della nostra storia che va a consolidarsi nel puzzle variopinto e che darà luce ancora ai nostri figli.
Una pagina del mio prezioso ‘Dizionario’ (cliccare per ingrandire). Il testo è riportato qui sotto in extenso
Alla voce “Faro” (Vol. II, pag. 454, G.B.)
Fin dalla più remota antichità si accesero dei fuochi sulle vette dei monti e sulle punte degli scogli, per servire di segnale o di guida ai naviganti.
I Fenici furono i primi a sostituire, alle alture naturali, delle costruzioni dapprima semplicissime in legno e poscia in muratura, e le sparsero in gran copia sulle spiagge del mare Mediterraneo, sia per segnare punti pericolosi, sia per indicare l’entrata dei porti o luoghi di rifugio.
Ai Fenici si deve la costruzione del primo faro menzionato dagli storici: quello di Lechete sul promontorio Sigeo nella Troade nel 650 a.C. Col progresso della costruzione i fari assunsero grande importanza costruttiva e diventarono opere d’arte e monumenti ragguardevoli.
Il più famoso faro dell’antichità, una delle sette meraviglie del mondo, fu costruito sotto Tolomeo II Filadelfo negli anni del suo regno (285-247 a.C.). Ne fu autore l’architetto Socrate Enide di Gnido. L’edifizio era una immensa costruzione contenente un numero grandissimo di locali e di scale fatte in guisa che vi potevano salire i cammelli. Era tutto in pietre bianche squadrate a spigolo vivo, a vari piani che andavano man mano restringendosi si da formare una piramide colossale misurante in altezza 1000 cubiti (2), ossia 432 metri. Subì successive degradazioni causate da terremoti. Restaurato da un governatore dell’Egitto sul principio del IX secolo per ordine di Carlo Magno, secondo alcuni contava in altezza 233 cubiti, ossia 100 metri appena. L’edificio, che nel 1182 misurava ancora 26 metri, periva completamente nel 1300.
Detto faro sorgeva all’ingresso del porto di Alessandria, nell’isoletta di Faro (Pháros), e da essa presa il nome la costruzione, se pur non deriva dal greco phainein, risplendere, o secondo altri dall’egiziano phark, sole.
I fari da noi si dividono in 6 ordini secondo la portata dell’apparecchio illuminante, così: faro di 1° ordine se è visibile da 20 a 40 miglia marine, di 2° ordine se è visibile a distanza di 15 a 20 miglia, poi di 3° fino a 15 miglia ecc.
Secondo gli apparecchi e la luce che danno, abbiamo:
Faro a eclissi od a luce alternata, quello la cui luce presenta successivamente lampi ed eclissi la cui durata varia secondo i casi, ciò per farlo distinguere da altri fuochi che a caso potessero venire accesi sulle coste.
Faro a fuoco fisso od a fuoco costante, quello in cui l’apparecchio illuminante è munito di specchi parabolici ed anche sferici di piccolissima curvatura, o di vari ordini di lenti a gradini che diffondono la luce dell’apparecchio a fascio cilindrico.
Faro a luce a lampi o Faro a splendori, quello il cui lume a intervalli determinati gitta lampi di luce vivissima.
Nel 1821 Agostino Fresnel applicò agli apparecchi di illuminazione dei fari le lenti convesse, il che segnò un progresso enorme continuato fino al giorno d’oggi mercé le applicazioni elettriche. Si costituì allora il:
Faro lenticolare, quello che è munito di lenti convesse poste in modo che il lume occupi il loro primo fuoco principale, sicché rifrangono la luce in direzione quasi parallela all’asse.
Rispetto al loro scopo abbiamo ancora:
Faro costiero, quello che indica semplicemente la costa. È sempre di 4° o 5° ordine.
Faro di direzione, quello che dopo aver riconosciuto la costa indica la posizione geografica di un determinato punto. È di vari ordini.
Faro di richiamo, quello che serve a denotare la dicitura o la configurazione dei littorali che circondano le rade: per segnare la posizione e l’entrata di un porto. È di 4°, 5° e 6° ordine.
Faro di riconoscimento, quello che serve a dar norme ai bastimenti sulla rotta da tenere per approdare in un determinato porto od anche per segnalare l’esistenza di secche o di altro pericolo. Si fa di 3° o 4° ordine.
Faro di scoperta, quello che serve per segnalare la terra a chi viene dall’alto mare ed è per lo più di 1° ordine e posto nei punti più sporgenti in mare.
G.B. (3)
Le lenti di Fresnel della lanterna del Faro della Guardia
(1) Da “Il Corriere della Sera” del 20 agosto. Il Faro di Old Saybrook all’asta (link all’articolo)
(2) Il cubito valeva 17 pollici; essendo il pollice uguale a m. 0,0254 il cubito valeva m. 0,4318. La più alta delle piramidi, quella di Cheope, misura in altezza m. 145 circa.
(3) G.B. – L’Autore della voce del ‘Dizionario’, ing. Giovanni Bairati, nato a Maggiora (Novara) nel 1876 e deceduto a Torino nel 1963. Bairati fu ingegnere civile, patentato alla Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Torino nel 1904. Fu assistente di Architettura presso il Politecnico di Torino. Progettò interessanti edifici di civile abitazione, inserendoli nel contesto urbano di inizio secolo. Fra le sue opere si segnalano la Casa Mossetto e Sala (in corso De Gasperi, allora corso Orbassano, 43, progettata nel 1911. Bairati fu inoltre autore di un Dizionario di cognizioni utili.