di Tano Pirrone
Per il filmato di Giancarlo Giupponi citato nell’articolo, guarda qui
Il caldo soffice ed invadente mi spinge, il pomeriggio, quando le ore più calde cominciano a declinare e lasciano sperare in un ponentino liberatorio, a piazzarmi davanti al mio fido notebook e sturare un bel film d’annata.
Spinto dall’opportuno articolo di Emiliano Morreale su La Repubblica, appropriatamente intitolato “Le città deserte, muse del cinema”, mi sono andato a cercare i film in esso indicati e ho cominciato a vedermeli, due al giorno, armoniosamente programmati per legare il “centro del caldo, ‘u centrucaudu,”, come diciamo giù in Sicilia, con l’ora della breve e fresca cena e la successiva programmazione dell’Arena Tiziano. E così arrivare alla mezzanotte, con l’aria meno afosa e qualche promessa di frescura per le ore più vicine all’alba.
Il primo da me visto è stato “Caro Diario”, tre episodi geniali, ognuno con ambienti e temi diversi, legati fra loro dalla grande facilità narrativa di Nanni, che non finisce mai di darci cinema di prima scelta, vicino a noi, alle nostre abitudini, alle nostre manie, al nostro brodo vitale quotidiano. Nel secondo episodio Moretti salta da isola in isola dell’arcipelago eolio alla ricerca di un ambiente propizio per mettere ordine nei suoi cumuli di ritagli e di appunti conservati per la preparazione di un film.
Tutte location familiari, per le appassionate visite fatte quando per me c’era ancora il mare e l’isola era il favo in cui si componeva la passione per il mare, la brezza, i fichi “siccagni”, il pesce – sarde, masculini, ope, cefali – cucinato alla brace, che concludeva col rovente del fuoco la gamma di tutti i caldi possibili che la giornata regalava.
Il Faro di Lingua, a Salina
Nelle scene di Salina si intravede il faro di Lingua, povero, cadente, relegato in un lembo di terra piatta in mezzo al mare, insignificante, un piccolo e dimesso faro di campagna, che si cerca di salvare dalla sicura distruzione, magari per far posto ad un ennesimo ristorante, propinatore delle solite specialità locali che di specialità hanno poco e di locale ancora meno. Moretti riparte da Salina senza nemmeno girarsi, espulso dall’incompatibilità con i riti locali e, felice di viaggiare, partire da un posto per raggiungere un altrove.
Arriva a Stromboli e lì ci viene regalata in una panoramica lenta, di trenta secondi, la visione dell’isolotto – poco più di uno scoglio – di Strombolicchio e del suo faro, portato sulle ventitré con sfrontata eleganza.
Il Faro di Strombolicchio
Ho atteso la fine del film e ormai distratto dai fari, questi due ben fissi nella mia memoria, per le ormai lontane visite nelle isole del vento, mi sono ricordato del bel documentario girato da Giancarlo Giupponi sul Faro della Guardia, lo splendido faro che si erge come la lancia di una bandiera in uno dei siti più belli di tutto il mediterraneo, l’isola di Ponza.
Il Faro della Guardia con Palmarola sullo sfondo nelle ‘famosa’ foto di Giancarlo Giupponi
Il faro è un topos che tutti da bambini, e non solo, abbiamo visitato, leggendo romanzi d’avventure, che ci hanno avvolto e protetto durante gli anni lontani dell’infanzia e della giovinezza, permettendoci di sbarcare sul molo della vita, già scafati e saggi, ma anche sognatori e trasognati. Un topos ricco di significati propri e da ognuno di noi attribuiti in misura dei sogni inseguiti.
Nella mia memoria c’è poi un faro senza misteri, un topos privo di fascino esotico e di simbolismi propri della categoria: il Faro di Catania, il Faro Biscari, spuntato a fungo dopo 18 mesi di lavoro nel 1951 nella rotonda antistante la Plaia, proprio sulla strada per entrare a Catania provenendo da Siracusa.
Il Faro Biscari di Catania
Il Faro di Ponza sovrasta la Punta della Guardia, slanciata nel mare verso Sud, a protendersi verso gli altri fratelli che alle isole Eolie, due paralleli più in giù, vi fanno da contraltare. L’arcipelago Ponziano e le isole Lipari sono due immensi ed affascinanti piloni di un ponte sospeso ideale che lega luoghi di bellezza unica, spesso poco o mal conosciuti, che non riescono a trarre ordinati vantaggi dalle loro bellezze, spesso ottenuti a costi sociali e paesaggistici inaccettabili.
Il Faro della Guardia visto dal Monte Guardia e proteso sul mare in direzione sud
Un circuito turistico che si snodasse lungo le coste tirreniche dalla Liguria alla Sicilia ed avesse le sue poste nei fari disseminati lungo l’ampio arco, potrebbe rappresentare un unicum di impressionante interesse.
Ma in tempi in cui i beni paesaggistici e culturali sono all’ultimo posto nell’interesse pubblico, solo una forte pressione coordinata potrebbe riuscire a forzare volontà politiche e distratte gestioni pubbliche.
Un coordinamento, gestito anche dal FAI, potrebbe esprimere una forte pressione e la presentazione di un piano di sviluppo unitario essere la carta vincente da buttare sul tavolo dello sviluppo di questi paradisi naturali, di queste riserve culturali, sociali, gastronomiche rappresentate e difese dalla gelosa custodia degli isolani dell’uno e dell’altro arcipelago.
È difficile creare coordinamenti e cordate, inanellare interessi comuni, definire obiettivi raggiungibili da comunità anche se affini, ma è ancora più difficile pensare di vincere da soli queste battaglie di civiltà e di sviluppo.
Il Faro della Guardia dall’alto, dalla parte del mare.
Non sono mai stato a Ponza, ma in primavera verrò anche per ammirare questa geniale opera, che da manufatto tecnico per scopi pratici è diventato un capolavoro di architettura ed un miracolo di integrazione con la natura.
Non è una sua esclusiva dote; essa la divide con innumerevoli altre opere simili, alcune ancora attive ed altre ormai da tempo inutilizzate ed abbandonate, ma questi diffusi caratteri ne aumentano la peculiare bellezza e lo straordinario interesse che suscitano.
Sandro Russo
19 Agosto 2013 at 05:26
Due idee strampalate, certo indotte dal gran caldo, mi sono venute leggendo del ricordo di Giuseppe Massari (nei commenti a questo articolo): l’immagine di Vittorio Coppa che scende in bicicletta per la dissestata stradina che taglia la Scarrupata verso il faro della Guardia; evento considerato possibile da Enzo Di Fazio e confermato da Biagio Vitiello.
Quante volte ’u zi’ Vittorio sarà andato a riparare la sua bicicletta nell’officina del Faro? Una, due volte? Ebbene una di quelle volte a mare c’era Giuseppe Massari che guardava proprio in quel punto preciso, e ce ne ha regalato un’istantanea indelebile: esista o no una foto, è come se la vedessimo!
L’altra fantasia è nata guardando l’immagine del Faro di Strombolicchio, mostrata nell’articolo di Tano Pirrone (guarda qui). Sarà per la forma, o per la schiuma bianca dove il mare frange sulle rocce… Ma non sembra un pezzo che si è staccato dal Faro della Guardia e si muove in mezzo al mare? Come una zattera di pietra di Saramago…
…Ma l’avevo premesso. Non ci fate caso: è il caldo!