di Michele Rispoli
Peppe ’u cafone, tanta intelligenza e poco cafone, durante la vacanza invernale dalle attività di pesca, coltivava fra l’altro anche il vigneto del suocero, ubicato sul Monte Guardia luogo chiamato ’a terra ’i vascie perchè era più bassa del Monte Guardia. Aveva una cantina, anzi per essere esatti un cellaio con soprastante casella, dove aveva disposto un letto e una cucina.
Il terreno era un ottimo luogo di caccia ai tordi, frequentato tra l’altro da Giovanni ’i Giulio Matrone alias Giovanni Conte.
Spesso, in particolar modo la domenica, dopo la battuta di caccia, ci riunivamo per il caffè.
Una domenica, eravamo Giovanni, Cesare (‘i Panzatuoste), Peppe, e io.
Peppe ci disse: – Tirate fuori gli uccelli che facciamo colazione.
Avevamo meno di una diecina tordi, immediatamente spennati.
Alla domanda: – Facciamo due spiedini? – risposi – No, li facciamo fritti, con aglio, olio, olive fresche e sale. Non occorre svuotarli, è sufficiente tagliare il becco e le zampe.
Vari brontolii, ma io li rassicurai: – State tranquilli, sono ottimi. In fondo anche i rotondi sia fritti che alla brace li cuociamo senza svuotarli.
Così fu. Cotti i tordi, Peppe tirò fuori due friselle ammuffite, un boccione di vino …e buon appetito!
La quota era di due tordi a testa.
Diedi il via per mostrare come procedere. Aprii l’uccello, tirai fuori la pallina tutta chiusa delle interiora, salai e incominciai a mangiare.
Logicamente mangiammo solo la poca cacciagione, lasciando nel piatto la trippa dei tordi.
Nel piatto di Peppe invece non c’erano avanzi di nessun tipo, nè ossicini nè trippe.
Guardò i nostri piatti con le interiora dei tordi, e allungando la forchetta, disse:
– Che miseria, nu’ sapite propie mangia’..! Avìte lasciate ’u ‘mmeglie!