di Tina Mazzella
Era stata la nostalgia per la sua terra d’origine ad ingiungerle di tornare dopo più di venti anni di lontananza. Si era trattato dapprima di un vago rimpianto per le cose perdute, poi di un dolore sempre più acuto che, con lo scorrere inesorabile del tempo, le era lievitato dentro e l’aveva costretta ad assecondare quel bisogno dell’anima.
Così, sebbene in età avanzata, di salute malferma ed ormai cieca, Santa Vitiello, detta Santella, si era imbarcata sul Quirino, il piroscafo di linea che collegava Ponza con la terraferma in compagnia di Silveria, la nipotina tredicenne.
La donna trasalì nell’udire pronunciare il nome del traghetto, lo stesso su cui aveva viaggiato l’ultima volta in cui aveva salutato la sua isola. Nel salirvi a bordo, le parve di ritrovare già qualcosa che la legava al passato; era forse un po’ dell’antica cordialità che si respirava in paese e che ne accomunava gli abitanti e, insieme ad essa, gli odori ed i rumori mai dimenticati: sentore pungente di nafta e di chiuso, rombo dei motori che si preparavano per la partenza, scricchiolio del cordame affaticato dalle manovre usuali e finalmente la parlata natia mai dimenticata.
Tutto rievocò la giovinezza e la confermò nell’idea di trovarsi sulla via di casa.
Il beccheggio del traghetto la ricondusse in stagioni lontane quando, costretta dalla necessità, soleva sfidare con frequenti viaggi i capricci del mare. Com’era giovane ed impavida allora! Niente l’impensieriva o la turbava, perché il mondo intero le apparteneva.
La notizia che la nave si trovava nelle prossimità di Zannone la riscosse.
Provò a ricordarla, mentre nella sua mente si affacciava l’immagine sbiadita di una terra aspra e forte stagliata sul mare, uno scoglio remoto e misterioso eppur ricco di fascino, come lo era l’isola sulla quale presto sarebbero approdati.
Chissà se lungo quei faticosi sentieri si poteva ancora udire il raglio dei due somarelli Venerdì e Sabato che si alternavano nel trasportare su e giù le magre provviste del guardiano del faro di un tempo!
Arrivate a destinazione, Santella e Silveria si caricarono i rispettivi zaini sulle spalle e s’incamminarono a piedi verso Santa Maria, la località in cui si trovava l’abitazione presa in affitto per una settimana.
Procedevano a braccetto sotto il sole implacabile di un mezzogiorno infuocato di giugno, stordite dall’andirivieni chiassoso delle auto e delle moto affannate nel chiedere strada nell’angusta zona del porto. Soprattutto la nonna appariva un po’ confusa e stranita: il ruggito dei motori e l’urlo persistente dei clacson la disorientavano impedendole di captare i segnali provenienti dal mondo circostante e ponendola in uno stato d’insicurezza.
Percorrendo la banchina, riuscì comunque ad apprezzare i recenti lavori di pavimentazione che la rendevano più agibile anche ai pedoni.
La mescolanza degli odori del mare imprigionato nel porto, della salsedine, del carburante e del pesce appena pescato risvegliò in lei sensazioni che credeva dimenticate.
Più avanti, il breve grottone di Giancos e quello più lungo di Santa Maria le mossero incontro con la loro frescura intrisa di umidità e con le loro oscurità misteriose dal sapore antico e con le rimembranze di vecchie storie di visioni angosciose.
Riappropriarsi di quei luoghi le comunicò una gioia infantile, un’eccitazione straordinaria tipica di altre età.
L’appartamento loro assegnato era un monolocale di pochi metri quadrati ricavato da una vecchia grotta scavata nella roccia, dalle pareti spesse trattate con metodi moderni d’impermeabilizzazione e di verniciatura e da subito si mostrò fresco e confortevole.
Si affacciava su un cortile piastrellato di forma irregolare che, non appena sistemati gli effetti personali, aiutata da Silveria, Santella volle esplorare sin nei minimi dettagli.
Amava conoscere la realtà in cui doveva muoversi e difendeva nei limiti del possibile la propria autonomia con ogni mezzo.
Ben presto, imparò ad orientarsi anche in quel cortile, ricercò punti di riferimento, s’ingegnò a scansare gli ostacoli e a non volare i gradini e rimpianse di non aver portato con sé il bastoncino bianco, valido ausilio per muoversi con maggiore sicurezza in ambienti sconosciuti.
All’improvviso s’imbatté in una sedia di plastica e vi sedette. In quell’angolo solitario poteva godere di una benefica ombra e di un grande silenzio rotto soltanto dai richiami e dalle voci della natura.
Ascoltò volentieri il fruscio del vento che faceva stormire le foglie e le canne producendo un suono familiare in tutto simile al lieve sospiro della risacca.
Udì in lontananza il tubare amoroso delle tortore che si parlavano tra gli alberi, il canto festoso dei galli, lo stridio roco dei gabbiani e quello più acuto dei loro piccoli.
L’aria era pregna del profumo dolciastro dei fichi maturi. Santella alzò un braccio e con la mano sfiorò le foglie dell’albero sotto il quale si era riparata: smosse dalla brezza, tremavano leggermente. Erano grandi, ruvide, umide di linfa! Le toccò una ad una accarezzandole con amore; poi le sue dita si posarono su un fico nato sul ramo più basso della pianta. Pur generoso e ben sviluppato, le parve ancora troppo duro per essere colto. La donna individuò alcune delle particolarità di quel frutto: si trattava di uno dei fichi neri che maturano prima di tutti gli altri per onorare la festa di San Pietro.
Pensò che quella era la sua isola, la natura che aveva imparato ad amare ed a rispettare sin da bambina.
L’incontro con il mare le riservò qualche sorpresa; si rivelò ricco di emozioni ed al tempo stesso deludente. Santella fu felice d’immergersi nell’acqua profumata e frizzante della baia di Frontone, un abbraccio intimo ed avvolgente che sapeva di libertà e d’infinito.
Si crogiolò al sole lieta di ascoltare il rumore sordo dei sassi calpestati dai bagnanti e quello più morbido della sabbia in cui i piedi affondavano senza troppa resistenza.
Tuttavia, ciò che la deluse profondamente e le sembrò addirittura inconcepibile in un’isola ricca di sbocchi al mare come quella fu l’inagibilità delle spiagge facilmente accessibili riservate a tutta la popolazione.
Si domandò perché mai la Caletta e le spiagge di Chiaia di Luna, di Giancos e di Santa Maria venissero negate ai bagnanti per essere occupate in maniera pressoché totale dai pontili e dalle barche.
Possibile, neppure una spettava interamente alla collettività!? Forse che procacciare denaro contava molto di più del diritto di tutti i cittadini di godere liberamente almeno di un lembo della loro terra?
[I sogni della notte di S. Giovanni. 1. Continua]