di Gabriella Nardacci
Per la prima parte di questo articolo, leggi qui
Saudade – abbiamo detto – è un vocabolo portoghese che indica una forma di melanconia ma anche nostalgia, struggimento o tristezza per qualcosa di bello che più non si ha.
Ora, anche se nessuno è riuscito a dare a questa parola un significato che mettesse tutti d’accordo, ognuno di noi però è in grado di riconoscere questo intraducibile sentimento, allorché si manifesta nel nostro animo.
In una lettera ad un amico, il nostro grande Antonio Tabucchi, racconta il ‘viaggio’ della saudade attraverso i secoli.
Incomincia dalla poesia di Dante, quando evoca il dolore che si prova nell’animo, come una tenerezza struggente… quando ad una certa ‘ora’ il ‘desìo’ ai naviganti intenerisce il core… (mi è facile addentrarmi nel sentimento della saudade ricordando il verso di Dante, ma esso subito scompare allorché penso a una scena del film “Pane amore e…” quando De Sica, portando l’ostetrica sulla canna della sua bicicletta verso la casa di una partoriente, le fa la sua dichiarazione d’amore recitandole questo verso ed aggiungendo subito dopo: “…e ho detto tutto..!”).
Continua Tabucchi a raccontare quello che fino diventa un sentimento impetuoso e passionale che s’insinua nei concetti di mito, romanticismo, libertà, patriottismo attraverso gli anni.
Un sentimento che arriva nei cuori tormentati, negli amori non vissuti interamente, dalle prigioni e dalle terre lontane, dal mare e nei pensieri dei pescatori.
Arriva al Novecento quando il grande Pessoa dice che la saudade appartiene solo alla parola, e con essa “evapora come il fiato…”. Pessoa la definisce anche una malinconia contraddittoria e cioè dolore dell’assenza e compiacimento del ricordo che è eterno ed ancorato al sogno.
“Si muore solo quando non si sogna più”, scriveva, introducendo un concetto politico di nostalgia del futuro.
Così, benché questo concetto di saudade sia rimasto intraducibile in una sola parola, stranamente però a me (e credo a molti altri) ne è ben chiaro il significato.
Amália da Piedade Rebordão Rodrigues (Lisbona, 1920 – 1999) è stata una cantante e attrice portoghese, considerata la miglior esponente del genere canoro noto come fado e, a livello internazionale, riconosciuta come la voce del Portogallo.
Attiva per sessant’anni, è stata inumata nel Pantheon nazionale tra altre personalità che hanno dato lustro al suo Paese.
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La casa di via del Campo
C’era sempre
una canzone per voi
un bicchiere
due risate con noi
nella casa in via
del campo
dove dolce andava
il tempo
dove ho riso amato
e tante volte
ho pianto.
Ci scaldavano
le ore
qualche volta
in fondo al cuore
rimaneva un’ombra triste
di rimpianto
nostalgia di non poter
guardare il sole
nella casa in
via del campo.
Han riaperto le
finestre quel dì
le risate son
volate lontano
una ditta di trasporti
per coloro che
son morti
con le insegne
bianco e oro
al terzo piano
dove son le tende
a fiori
delle lampade i colori
i capelli di Maria
le sue mani
si direbbe ormai
finito tutto quanto
nella casa in
via del campo.
Una notte
son tornata però
mi pareva di sentire
come allora
quelle voci
rider forte
un dischiudersi
di porte
quattro note
di chitarra
cose morte
Ho cercato a
lungo invano
quella luce al
terzo piano
quella donna che
sapeva anche amare
io l’ho detto
ormai è finito
tutto quanto
nella casa in
via del campo.
No non piango
i miei vent’anni
e poi…
tante volte abbiamo
pianto anche noi
ma potevano lasciare
tutto quanto riposare
ora che non si potrà
mai più cantare
io l’ho detto
a Maria
vieni a bere
vecchia mia
un bicchiere per
poter…
dimenticare.
Tanto vedi è
finito tutto quanto
nella casa in
via del campo…
Tanto vedi è
finito tutto quanto
nella casa in
via del campo…
[Il fado e la saudade. La presenza dell’assenza. (2) – Continua qui]