di Francesco De Luca (Franco)
Cuofane saglie e
cuofane scenne
l’annema mia
chi s’a piglia, piglia
Zi’ Veruccella aveva l’animo irrimediabilmente incappucciato nel terrore della colpa che l’insegnamento cristiano le aveva fatto calzare, per cui ogni intimo sobbalzo doveva epurarsi nell’espiazione. Diversamente si era dannati.
Cosicché, quando voleva convincermi a seguire gli indottrinamenti cristiani, celati dietro alle sue richieste e ai suoi inviti, mi presentava questa “tiritera”, la cui irrisolutezza mi intimidiva, mi toglieva sicurezza e mi rendeva supino all’obbedienza.
E già… perché questo salire e scendere indistinto, vago, onnicomprensivo “d’i cuofane”, già questo rendeva instabile il mio animo.
Cosa è che sale e… cosa scende? E poi, chi regge le funi dell’aggeggio?
Nulla si diceva… ma in quella indistinzione era insito il peccato.
L’anima mia non poteva pendere che da una parte: quella di Gesù (e dei suoi epigoni).
Se questo non avessi avuto chiaro c’era una volontà vorace che avrebbe fatta sua la mia anima.
Non era esplicitato e nemmeno accennato ma, nel tumulto del salire e scendere, indefinito e indefinibile, il diavolo avrebbe fatto incetta dell’anima mia.
Quale anima? Quella di un fanciullo esitante di fronte ai comandi non elusivi di zia Veruccella, i cui rimandi si propagavano nei precetti divini: ubbidire, non esitare, ossequiare i parenti anziani, a questo portavano gli insegnamenti cristiani. Non mi era dato scegliere: io dovevo essere di Gesù, altrimenti…
Cuofane saglie e
cuofane scenne
l’annema mia
chi s’a piglia, piglia
Un’eco profonda, luciferina aleggiava e minacciava un agguato, nel fondo.
Ieri impauriva ed oggi sollecita il sorriso.