di Francesco (Franco) De Luca
Il profumo delle ginestre discende dai colli, portato dal libeccio che, quest’anno, allontana l’estate dal suo naturale inizio.
Si spande per i borghi l’olezzo delle ginestre e lì dove si stanno approntando i pali per le luminarie diffonde un’attesa di festa.
Per Ponza l’estate è la festa, e l’annunciatrice ufficiale è la ricorrenza del 20 giugno.
Nel porto non ancora intasato di natanti l’odore salmastro si mescola a quello che dalle colline vien giù e sa di giovani viti in cui pendono eterei grappoli, o sa di gelsi anch’essi abbozzati, e di fichi chiusi nella propria immaturità, e di sole.
E’ lui che dà ai caseggiati forme, alle stradine dona contorni, alle scalinate la loro figura.
Poche barche, poca confusione, il paese appare pensieroso dell’imminente domani. Dopo un inverno racchiuso nel guscio il presente non offre segnali rincuoranti.
Ma gli isolani come le canne mugugnano al vento contrario e si piegano, hanno radici dure da estirpare. Attendono speranzosi.
I pontili pettinano il bacino del porto borbonico, le barche della Cooperativa pendolano fra Punta Bianca e Frontone. Da Terracina si aspettano le comitive affinché vivacizzino le magre tasche degli operatori turistici ma anche per un bisogno di rinnovare la socialità con nuove immagini, nuove parole. Le comitive sciamano e un nuovo palpito pervade le strade, di bianco ammantate.
Tutto appare però piantato su fondamenta fragili perché l’economia, per attestarsi solida, ha bisogno di una cultura imprenditoriale che abbia sondato previsioni e accidenti, colpi di fortuna e condizioni meteo.
Faccio ammenda: la mia analisi è inficiata dal profumo di terra che l’irritante pioggia soffonde. Sarà smentita dalla realtà. Dio lo voglia !