di Rosanna Conte
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Mia madre aveva l’abitudine di aprire ‘a cascia spesso e volentieri. La biancheria doveva prendere aria e si metteva lì, a tirare fuori tutto, distribuendo lenzuola, federe, tovaglie sul letto. Passava a controllare che non ci fossero macchie e che ‘a cascia non avesse fatto i tarli, se la carta che la foderava era intatta o fosse necessario cambiarla. In primavera, poi, lavava i capi che necessitavano di una rinfrescata, li stirava e li riponeva con cura mettendo dint’a cascia un nuovo sacchettino di fiori (mortella o lavanda) essiccati.
Con l’avanzare dell’età, era diventata gelosa della sua cascia e nemmeno io potevo metterci mano, anche quando lei non ce la faceva più. Così per diverso tempo la biancheria è rimasta lì, un po’ abbandonata.
Quest’anno, il primo in cui lei non c’è più, ho aperto io ‘a cascia e, come lei, ho tirato fuori quanto c’era. Ho separato i capi, dividendo quelli da rinfrescare da quelli da smacchiare (le macchie di chiuso o di ruggine) ed ho iniziato a lavare e stirare.
Ho ritrovato delle lenzuola di mia nonna, ricamate sicuramente da lei (era bravissima a ricamare) agli inizi del ‘900 e quelle di mia madre, ricamate sempre da mia nonna dal 1916 in poi. Ci sono quelle di lino e quelle di pelle d’uovo, quelle formate con un unico telo e quelle con tre teli uniti con la cera, quelle dal ricamo compatto e quelle con traforo, quelle con merletto e quelle senza.
Una volta, come ha rilevato Rita Bosso dal testo del Tricoli (leggi qui), le donne compivano tutto il percorso che dalla produzione della fibra animale o vegetale arrivava al capo finito.
La pianta e il fiore del lino (Linum usitatissimum – Fam. Linaceae).
Ampiamente coltivato nell’antica Etiopia ed Egitto. In una grotta, in Georgia, sono state trovate fibre di lino tinte datate 30.000 a.C.
Se c’era la macerazione del lino (nel testo è proibito farla a mare) a Ponza si faceva per forza anche la stigliatura, cioè quell’insieme di operazioni che si facevano dopo la macerazione degli steli per liberare le fibre: la scavezzatura (prima spezzettatura delle parti legnose), la maciullatura (spezzettatura minuziosa), la scotolatura ( separazione delle fibre dalle parti legnose). Ottenuti i biocchi di fibra, le nostre ave passavano alla filatura con la conocchia e il fuso. Erano abilissime.
La conocchia (o rocca) era una bastone leggero, da tenere infilato in vita o sotto il braccio, di solito rotondo, bucato ad una estremità, con un nastro per tenere uniti i biocchi di fibre da filare.
Il fuso era costituito da un bastoncino di 15-20 cm di varie forme, con un piccolo ingrossamento (la cocca) sulla punta superiore dove si fissava il filo che usciva dalla conocchia. All’estremità inferiore si inseriva un tondino forato di 4-6 cm, la fusaiola, che era di pietra o terracotta: facendo da contrappeso, dava al fuso un movimento rotatorio regolare e consentiva di produrre un filo fine ed uniforme.
Ho ancora negli occhi l’immagine di qualche vecchina che prendeva la conocchia nella mano sinistra e con l’indice e il pollice cominciava a tirare una piccola quantità di materia da filare, la arrotolava con le dita bagnate di saliva e la fissava all’estremità superiore del fuso con un nodo scorsoio.
Prendeva poi tra il pollice e l’indice della mano destra il fuso e vi imprimeva un movimento rotatorio rapido, che ripeteva ogni volta che tendeva a fermarsi. Questi movimenti continuavano anche per ore: tirava dalla gabbietta della conocchia altre fibre, le attorcigliava con le dita, bagnandole di tanto in tanto con la saliva, per rendere più compatto il filo, e lasciava che il filo si formasse attorno al fuso. Quando il fuso si avvicinava a terra e quando lo toccava, lo sollevava con la mano destra; col pollice disfaceva il nodo scorsoio, avvolgeva intorno al fuso il tratto di filo prodotto e ne fissava di nuovo I’ estremità alla sommità del fuso con un altro nodo scorsoio. Quando il fuso era pieno di filato, il filo veniva staccato ed avvolto attorno ad un rocchetto.
La filatura è tra le più antiche attività femminili. Fuso e conocchia sono tra gli oggetti più antichi e tradizionali delle donne e ne sono state ritrovate tracce (le fusaiole in ossidiana o terracotta) in siti archeologici risalenti anche a settemila anni fa, documentando la presenza, nel neolitico avanzato, della cultura agro-pastorale.
Fusaiola preistorica
Fusaiole etrusche in vetro (VII secolo a.C.)
Fusaiole medievali
La loro permanenza millennaria nella quotidianità femminile ne ha fatto i simboli del lavoro domestico, dell’amore per la casa e la famiglia, entrando a pieno titolo nel racconto e nell’iconografia laica, ma anche sacra.
Eva col fuso (Duomo di Monreale)
Così li troviamo in mano ad Eva dopo che è stata cacciata dal Paradiso terrestre e alle donne virtuose dell’Antico testamento.
La donna perfetta, descritta nel libro dei Proverbi (31:10 – 31:19), sa filare:
“Una donna perfetta chi potrà trovarla?
Più prezioso assai delle perle è il suo valore”.
“Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani”
“Stende la sua mano alla conocchia
e mena il fuso con le dita”.
Troviamo il fuso e la conocchia anche in mano alla Madonna nel momento dell’Annunciazione.
Madonna che fila da Ocrida (Macedonia) XI sec.
L’iconografia occidentale ci ha abituato a vedere una giovane Maria che, all’arrivo dell’arcangelo Gabriele, legge probabilmente un libro sacro o prega con le mani raccolte al seno. Se invece osserviamo quella orientale, che ebbe qualche influenza nell’Italia meridionale, la Madonna sta filando o ha in mano una matassa rossa. Come mai?
Madonna che fila (inizi del XX sec.)
Certamente questo tratto iconografico è di provenienza palestinese, la cultura che ha avuto un contatto più intenso con i Vangeli apocrifi, cioè quei vangeli che, inizialmente considerati veritieri, furono successivamente dichiarati falsi. E’ da alcuni di essi, come il Protovangelo di Giacomo,( X-XII) e il Pseudo Matteo (VIII, 5; IX, 2), che è emersa l’immagine dell’Annunciazione orientale.
Maria è stata chiamata dal gran Sacerdote a filare e tessere il velo, destinato a coprire il Sancta Sanctorum del Tempio, insieme ad altre fanciulle senza macchia. Si sorteggiano le tipologie di filo (bisso, oro, amianto, seta, porpora, scarlatto..) e a Maria toccano la porpora e lo scarlatto: è con questi elementi che lei sta lavorando, quando le appare l’arcangelo Gabriele.
Madonna che fila (Belgrado prima del XIII sec.)
La simbologia è chiara. Qui, Maria è la “nuova Eva” perché nel generare il filo col fuso, salda le due nature (umana e divina) del figlio che porta in grembo, e il rosso porpora, riservato solo agli imperatori, prefigura il sangue della Passione di Gesù ma anche la sua regalità.
Anche nel mondo greco ed etrusco, ed in epoca romana, le virtù domestiche femminili erano sintetizzate dalla conocchia e dal fuso, e con valore simbolico li ritroviamo rappresentati nelle mani delle donne sulle loro tombe.
In quanto strettamente connessi alla quotidianità femminile, erano donati nei riti nuziali ed erano inseriti nei corredi funerari.
Ma il fuso e la conocchia hanno assunto anche un carattere simbolico più ampio che attiene al destino e al tempo.
Essi sono in mano alle grandi Dee ed alle figure che, nell’antica mitologia, governavano i momenti più importanti del ciclo della vita, nonché alle donne presenti nelle scene di nascita.
Le Moire
Le Moire (le Parche per i romani), figlie di Zeus e di Temi o, secondo altri di Ananke, erano la personificazione del destino ineluttabile poiché avevano il compito di mettere in atto l’esistenza assegnata a ciascuna persona.
Le Moire. Erano tre: Cloto filava lo stame della vita, Lachesi lo svolgeva sul fuso e Atropo, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile. La lunghezza dei fili prodotti variava come quella della vita degli uomini.
La simbologia del tempo e del destino è presente anche in alcune immagini tradizionali popolari, come la Quaremma (Quaresima) del sud Italia, che, inserita nella ciclicità delle stagioni, è rappresentata con conocchia e fuso,
Quaremma
Ma il fuso è arrivato anche nelle fiabe e pensiamo alla Bella Addormentata che vede sospeso il suo destino quando si punge il dito mettendo in moto un arcolaio, primo filatoio meccanico a pedale.
Arcolaio
Quindi, la canocchia e il fuso, strumenti femminili per eccellenza, sono assurti dal piano storico a quello metastorico, ricordando alle donne che sono state e sono un motore della storia, quella storia che, a differenza di quella ufficiale, dominata dal maschile e incentrata sulla conquista e detenzione del potere, attiene alla vita quotidiana e alla distribuzione orizzontale di quanto si inventa e si produce.
Del resto sono tra le prime invenzioni umane e, come l’arco e la ruota, hanno accompagnato le civiltà umane nel loro percorso fin dagli inizi.