di Gabriella Nardacci
Ieri ho volentieri rivisto un film: “Io sono Li” e la somiglianza dell’attrice con un’alunna che ho avuto qualche tempo fa in una scuola riconosciuta “ad alto processo immigratorio”, mi ha riportato alla memoria questa esperienza.
.
Quando si entra in classe e ci si trova davanti a tanti bambini che chiedono ascolto e impauriti ti fanno capire che non sanno ancora spiegarsi con le parole, la paura di non farcela ti assale.
I bambini stranieri, in alcune classi, sono più della metà e a volte si ha la certezza che siamo di fronte al resto del mondo. Poi però, lo sguardo impaurito e velato di pianto di alcuni, lo sguardo spavaldo e di sfida di altri bambini, mette addosso una forza nuova e ci si meraviglia della consapevolezza di potercela fare.
Allora si comincia a progettare una modalità giusta per entrare nella loro cultura e trovarvi le cose belle perché ciò che piace arriva a tutti.
Alcuni ‘mediatori culturali’ ci aiutano.
Tutti hanno la volontà di lavorare e di collaborare con avvisi in lingua, lo sportello per le famiglie, i laboratori teatrali, espressivi, linguistici.
Nada accoglie tutti con molta gentilezza che mette a proprio agio grandi e piccoli.
Il laboratorio è ancora sprovvisto di materiale ma non mancano lo spazio, i colori, i fogli, i libri di favole e di leggende che noi maestre abbiamo comprato autotassandoci…
I bambini entrano timorosi.
“Si va al laboratorio linguistico…”
Sicuramente sono in molti a chiedersi di cosa si tratta, ma il clima che si respira è sereno.
I banchi sono tutti uniti come fosse un grande tavolo quasi a voler ricordare il tavolo della cucina di casa dove, si spera, il dialogo non manchi mai così come le risate, le confidenze, i resoconti di gioie e dolori.
Tutti si guardano: tutti hanno colori diversi. È una bandiera che non si trova in nessun libro di geografia! Cina, Turchia, Albania, Romania, Croazia, Egitto , Marocco, Russia…
È una bandiera che raccoglie diversi colori con tutte le sfumature. Tra qualche mese si potrebbe provare a disegnarla.
Siamo tutti qui. Cominciano le presentazioni e ognuno di loro dice il proprio nome. Qualcuno ride nel sentirne il suono, altri lo dicono con un filo di voce ma tutti si presentano. Ci presentiamo anche noi maestre con i mediatori.
Un bambino che comprende qualcosa della nostra lingua, prende la parola e comincia a raccontarsi un po’. Riusciamo a capire il nome e non molto di ciò che riguarda il resto del racconto, ma sorridiamo e ne apprezziamo il coraggio. Gli altri rimangono in religioso silenzio anche se quei silenzi traducono i pensieri e raccontano le paure, i timori di non farsi capire ma anche la gioia di essere al centro dell’attenzione e quindi protagonisti e depositari della propria cultura.
Maisha, che ha frequentato per un anno la scuola dell’infanzia in Italia, racconta che è contenta di vivere a Roma ma che ogni tanto torna in Bangladesh e descrive i colori del suo paese e le sue ciabattine dorate e poi mostra a tutti i disegni sul braccio, precisando che vanno via lavandoli col sapone.
Descrive le strade non asfaltate e polverose, il caldo umido, i tappeti ricamati e le belle zanzariere sui letti che sono belle come i veli delle spose. La sua mamma non ha la lavatrice e il frigorifero in Bangladesh ma qui a Roma sì e c’è pure la televisione in casa e lei vede i cartoni animati che le insegnano le parole italiane.
Parla in un italiano stentato, ma sembra che gli altri abbiano afferrato qualcosa.
Arpon dice che si sta meglio in Italia. Ha un linguaggio appropriato ma non vuole parlare del suo paese di origine: lui vuole essere italiano a tutti i costi. Ama la scuola, la televisione. A casa ne ha una grande ed è informatissimo: documentari, cartoni, programmi di varietà. Assorbe tutto con grande facilità ed è orgoglioso di esprimersi meglio di altri concedendosi anche il “lusso” di correggerli quando sbagliano termine. L’unica cosa che ama della sua cultura, sono le favole.
Tresa e Suli non vogliono parlare. Il ‘mediatore’ cinese le incoraggia ma si rifiutano categoricamente. Preferiscono ascoltare e sembrano interessate.
Arpon propone di leggere qualche favola. Tutti sono d’accordo.
Si comincia con le favole africane e si comunica a tutti che in Angola abbiamo due amichetti adottati.
Penso a come sarebbe bello trasferirci sotto l’ombra di un baobab come in Africa dove il racconto orale svolge un ruolo determinante nell’educazione dei giovani e nella vita stessa del villaggio, o dentro una capanna intorno al fuoco . Ma le favole sembrano trasportarci nelle foreste e sembra di sentire il suono del tam-tam così come il suono delle parole del mediatore cinese, ci trasportano lontano e l’aula si trasforma ora in foresta, ora in fiume, ora in oro e sembra si sentano anche gli odori dei cibi di quelle terre lontane.
Si raccontano anche favole italiane che parlano di animali ma tutte hanno un tema in comune: l’amicizia.
Tutti ci ascoltiamo rapiti e le immagini traducono quelle parole che sembrano diventate comprensibili a tutti.
Suli sorride non tanto della favola quanto nel vedere le nostre facce che sicuramente hanno assunto un’espressione comica.
Nada, l’insegnante di inglese, ha portato anche un piccolo amico: un pesciolino rosso che nuota tranquillo girando vorticosamente nell’acqua quasi a voler salutare tutti.
Si cominciano a chiamare con il loro nome tutti gli oggetti presenti nell’aula e nel chiamare quel pesciolino Suli dice: MARE e all’improvviso tutti puntano gli occhi addosso a lei e il mare sembra creare la catena dell’amore.
È azzurro il mare? Tutti vogliono disegnare il mare e ognuno di loro lo disegna come lo vede .
Suli disegna il mare con tanti pesciolini colorati, con un sole all’orizzonte che sta per tramontare mentre la luna prende il suo posto nel cielo che mette il vestito da sera. Il disegno ha un titolo scritto in lingua cinese che il mediatore ci traduce: “Suli e gli amici della scuola dentro un vaso di vetro”.
Sono convinta che le favole raccontate hanno tradotto significati d’amore importanti. È una buona partenza.
“Tutto quello che esiste
è stato fatto dal più vecchio.
Il cielo, la terra, il mare.
L’uomo, il sapere, la forza.
La luna, il sole e le favole…
Le favole sono storie belle
Vere o false, chi lo sa?
Chiedetelo alle nostre origini.
Chiedetelo alla “ coda dell’universo”
.
“Io sono Li” – Un film di Andrea Segre. Con Zhao Tao (che interpreta il personaggio di Shun Li), Rade Šerbedžija (Bepi il poeta), Marco Paolini, Roberto Citran, Giuseppe Battiston. Drammatico, durata 100 min. – Francia, Italia, 2011.
“Del quadrato si può fare un cerchio?
Strade lontane si possono incrociare?
Vivo è il rimpianto per la via smarrita
nell’incerto cammino del ritorno.
A ritroso il mio carro si volge.
Confusa tra gli errori era la strada”
(dal film Io sono Li)
Guarda qui da Youtube il trailer del film