Un vecchio adagio ammoniva “devi mangiare per vivere, non vivere per mangiare”, ma bando a quanto sostenevano certi “antichi” (altri invece, come Trimalcione e Lucullo, si ingozzavano con cibi raffinati), oggi (come ieri) chi non ama o non ha mai amato la buona cucina? La cucina è, al pari del paesaggio, dei monumenti e del dialetto, una importante nota caratteristica di una località, tale da rendere quest’ultima meglio identificabile.
Silverio Mazzella (Al Brigantino) & famiglia, partendo per l’appunto da una tale premessa, hanno pubblicato di recente un pregevole volume riguardante la cucina ponzese: “Ponza – Cucina tradizionale e nuove tendenze – cibo e cultura”.
Non è il solito ricettario scarno, in cui i “piatti” e ingredienti relativi si susseguono uno dietro l’altro, in maniera del tutto anonima, privi di “anima”, qui invece, come viene evidenziato nel “Piano dell’opera”, le varie pietanze vengono mirabilmente incastonate nel contesto storico, ambientale e culturale della nostra isola di sogno, con una ricchezza di foto e acquerelli davvero incantevoli.
Così, pagina dopo pagina, il nostro sguardo si “tuffa” in una miriade di colori e sapori, dove il rosso degli “spaghetti al fellone” o dei “calamari ripieni di gamberi” oppure dell’“aragosta alla ponzese”, ben si armonizza con il giallo dorato della “sogliola alla mugnaia”, della “pizza rustica” e delle “mulignane sotto e ’ngoppa”. Ma anche piatti della cucina “povera” come “l’ammullucata di alici”, i “pesci alla scapece” e persino la “trippa di ricciole”, sapientemente “innaffiati” dai vini locali, non ultimo “il fieno”, grazie anche ai sorrisetti sornioni degli “artefici”, magistralmente ritratti, provocano una immancabile acquolina in bocca, perfino al lettore meno attento, sia italiano che anglo – americano. Giustamente il “ricettario” dei Mazzella è un testo bilingue, tradotto in inglese dalla Dott. Maria Gentile Cortese e da Francesca Avellino Mazzella, proprio perché la nostra meravigliosa cucina merita di essere “esportata”.
Insomma, un’allegra carrellata di vere e proprie “opere d’arte, proposta da ponzesi “vecchi” e “nuovi”, “cuochi provetti” e “dilettanti”, dove i vari menù, suddivisi in “quartine”, si fondono in una “sapida poesia”:
La zuppa di lenticchie,
i pesci alla scapece
poi noci e fichi secchi
e un po’ di limoncello.
Lasagna al finocchietto,
coniglio alla fornese,
nocchette zuccherate,
spalmate al sanguinaccio.
Frittata ‘e pirchiacchielli,
la trippa di ricciole,
finocchi gratinati,
le zeppole ben calde.
Due paccheri allo scorfano,
carciofi con le quaglie,
piselli per contorno
con casatiello e fave.
La coccia di fellone
unita agli spaghetti,
le seppie coi piselli,
la pizza di buon grano.
Le cozze gratinate,
spaghetti all’aragosta,
la stessa alla ponzese,
liquore di mortella.
Alici marinate,
linguine con gli scampi,
il pesce spada al forno,
le clementine a zero.
Le melanzane al forno,
l’orata sfilettata,
di zucca i fiori fritti,
liquore al finocchietto.
Linguine alla cafona,
il polpo alla luciana,
con pane casereccio
e pietre “Palmarola”.
Fusilli alla ponzese,
salcicce e peperoni,
la sfogliatella frolla
oppure turtanielli.
Candele cacio e pepe,
le perchie nel guazzetto,
finocchi gratinati,
mustarde al vino cotto.
Nel sugo di maiale
strangulaprieutri o gnocchi,
capretto con patate
struffoli e roccocò.
Teniamo a mente il vino
di Ponza “quattro effe”:
Frontone, Fieno, Forna,
compreso i Faraglioni,
di lor nessuno è fesso.
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