Ambiente e Natura

Parracine. ’Ncopp’u Schiavone

di Sandro Russo

 

È  un po’ che parliamo di parracine. Di quanto erano utili (e anche belle) e quanto geniali, per la loro funzione di recuperare terra coltivabile in piano, da un terreno scosceso.

C’è chi, guardando le parracine del Fieno – per fortuna da qualche tempo in attivo ripristino – ha parlato di ‘monumento storico’ del tempo della colonizzazione borbonica a Ponza (1734 e segg.) e qualcuno degli isolani più anziani ricorda ancora quando Ponza era tutta terrazzata e coltivata, dai declivi più scoscesi fino al mare…

Ci ha interessato anche l’origine del nome, che nel dialetto napoletano originale non è presente, mentre lo è nell’ischitano.

Da dove deriva allora il termine “parracina”?

Ci dà qualche lume Rosanna Conte, che abbiamo coinvolto nelle nostre curiosità. È lei ci ha fatto pervenire una ricerca storico-filologica di Pasquale Balestriere, poeta ischitano, docente di materie letterarie negli istituti superiori [La Rassegna d’Ischia, n°6/2012].

Egli riporta un brano dell’Odissea, i versi in cui si dice che, recatosi Ulisse nella casa di campagna del vecchio padre Laerte (un re-contadino) e nell’orto circostante, per riabbracciarlo, dopo tanti anni e tante imprese, non incontrò alcun servo; tutti erano andati a raccogliere pietre per costruire un muro alla vigna: il vecchio padrone li aveva addottrinati sulla via da seguire per trovare il posto giusto. Nel podere Ulisse vede finalmente il padre che, solo e malvestito, zappa il terreno intorno ad un albero…

Balestriere conclude che “parracina” può avere diverse origini etimologiche, dal greco, tutte recanti in sé l’idea del riparo, della difesa, della protezione, sia che si faccia derivare il termine da paràkeimai: giaccio accanto o lungo o di costa, sia da perìkeimai, giaccio intorno, sia da parà (con idea di opposizione) e chèima, -atos , contro la tempesta, il tempo invernale.

 

Siamo andati, a Ponza, nel luogo ‘madre di tutte le parracine’: ’ncopp’u Schiavone, rinomata cava ‘a cielo aperto’ di pietre… [secondo Franco De Luca la denominazione del luogo può derivare dai coatti che in epoca borbonica lavoravano su quel pizzo a estrarre pietre da costruzione e soprattutto per le parracine dell’isola…]

Attualmente ’u Schiavone è una zona di Ponza intensamente abitata nella parte più bassa accessibile dalla via provinciale; le case diradano man mano che si procede verso l’alto e contemporaneamente la visuale si allarga, fino a che, continuando a salire, si rende visibile l’altro versante dell’isola.

Si fa ovviamente attenzione alle ‘tipiche’ pietre costituenti i muri a secco lungo la strada, riconoscendo quelle più grosse e importanti, utilizzate per gli angolari e quelle più piccole e i detriti di scarto ’a sfragliucatura, come vedremo meglio più su.

Già lungo la salita per il viottolo scosceso, si incontrano varie tipologie di ‘parracine’, alcune più antiche e in parte degradate, altre nuove, rifatte; ma non più a secco con l’antica tecnica, bensì con largo utilizzo di cemento a legare le pietre, lasciando ‘a facciavista’ l’ultimo strato che fa vedere solo le pietre (anche se in profondità esse sono ben legate con la malta). L’effetto finale è simile, con innegabili vantaggi di solidità e durata; ma di mezzo c’è tutto un mondo che è cambiato.

Si giunge quindi per vie contorte al crinale, ’u ciglie, dove la visuale si allarga: da una parte sul versante delle Forna che guarda Palmarola e dall’altra sulla spiaggia del core (Cfr. Mappa) e in fondo il Porto.

Poco più avanti e siamo in vista della zona della ‘cava’ a cielo aperto.

Si tratta di basalto di colore tra il grigio e il marrone con tutte le sfumature intermedie, a parallelepipedi irregolari. Somiglia, in orizzontale, a quel che siamo abituati a vedere in verticale alla ‘Cattedrale’ di Palmarola e che altrove è quasi considerato monumento nazionale…

Il ‘Selciato dei Giganti’ nell’Irlanda del Nord: lava che raffreddandosi si è solidificata e fissurata in una struttura (quasi) regolare, creando come delle colonne 

La caratteristica di questa roccia, nella sua ‘cristallizzazione’, è quella di dar luogo a dei blocchi che si separano facilmente gli uni dagli altri, usando un paletto di ferro (o anche un bastone) a mo’ di cuneo.

Nelle vicinanze la pratica applicazione: la parracina su cui passiamo – di meno di un metro di spessore – ha due facce; le pietre più grandi all’esterno e i detriti  all’interno, con il risultato di buona stabilità e ottimo potere drenante.

Raccontava Domenico Musco, riferito da Daniele Vitiello, che la madre Ortensia, da piccola insieme a tutti gli altri bambini, avevano il compito/l’obbligo di portare da lì sopra, sotto il braccio quando si recavano a scuola, ’nu mazzariell’ di dimensioni congrue all’età, che veniva depositato di fuori, prima di entrare in classe. Immaginiamo che così – tanti bambini, per ogni santo giorno di scuola – si facessero i muretti a secco intorno alla scuola e, con piccole varianti un po’ dappertutto: con materiale – il migliore disponibile – che veniva da ’ncopp’u Schiavone, appunto…

Sulla via del ritorno uno sguardo all’estremità dell’isola, verso punta Incenso, con Gavi che pian piano si scopre e Zannone sullo sfondo.
…E abbiamo parlato solo di pietre. Tra le piante della macchia mediterranea ci sono altre perle ancora…

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