Ambiente e Natura

Oltre Ponza: in giro per isole. Procida (3)

di Rosanna Conte

Per la seconda parte: leggi qui

 

Basta con i ricordi e riprendiamo il cammino.

Per non perdere un altro angolo del Vasciéddo, invece di tornare sulla piazza, basta infilarsi nel passaggio di sud-est ed arrivare, attraverso un andito buio e poche scalette, nella Schianata, che come dice la parola è un terreno spianato realizzato, quando fu costruito il palazzo d’Avalos, sia per agevolare la coltivazione sia per avere sotto controllo la zona immediatamente sottostante la nuova cinta muraria fortificata. Di forma rettangolare, è delimitata da case, generalmente basse; si apre in fondo, verso ovest, dove incrocia la salita che da piazza dei Martiri porta alla Terra murata.

Mentre saliamo ci possiamo chiarire l’origine della denominazione Terra murata.

Dopo il periodo antico (abitata da coloni  calcidesi e cumani) e il periodo romano (adibito a luogo di villeggiatura  con la presenza di ville), Procida si affaccia al medioevo con la sola presenza di monaci. È nel IX secolo che, in seguito alle incursioni saracene, quando gli abitanti di Miseno scapparono e trovarono rifugio nelle zona alta dell’isola, che nasce il primo agglomerato di abitazioni, la Terra casata.

Le Terre erano le suddivisioni del territorio. C’era la Terra aratoria destinata alla produzione del frumento, quella campiva  destinata al pascolo, quella cultiva destinata alla coltivazione di ortaggi, alberi da frutta e ulivi, quella vitata destinata alla vite e quella casata destinata alle abitazioni poste tutte vicine e in alto per meglio difendersi dalle aggressioni esterne.

Nel 1563, con l’edificazione del palazzo d’Avalos (rivediamone l’insieme nell’immagine qui sotto), lo spianamento della piazza d’armi al posto dei vecchi fossati (nella foto corrisponde alla strada con le auto) e la costruzione delle mura fortificate, la Terra casata divenne Terra murata.

Oggi per i procidani è  semplicemente ‘ncopp a Terra.

La Terra murata dall’alto

Intanto è finita la salita e ci troviamo all’esterno della cittadella. L’accesso alla Terra murata, per chi veniva dal paese,  avveniva per una sola porta, la Porta di Ferro, situata nell’estremo angolo destro inferiore della foto; ma, successivamente, dopo il 1830, con le modifiche apportate per la trasformazione del palazzo in carcere, fu aperto un altro passaggio che immetteva nel fossato delimitato da quella muraglia che taglia in maniera obliqua la foto nella parte inferiore.

La Porta di Ferro

Dovendo riprendere il cammino dobbiamo decidere se proseguire per la porta di Ferro o prendere la breve e lieve salita alla nostra sinistra che porta all’ingresso attraverso il fossato.

Decidiamo per quest’ultima e ci troviamo davanti  ad una costruzione sul cui portone centrale c’è  scritto “Casa Circondariale”.
Del carcere abbiamo detto che era situato nel palazzo d’Avalos, ma il complesso era molto più ampio. Tutte le costruzioni che, nella foto della Terra, occupano il lato sinistro di chi guarda e la parte inferiore (che taglia purtroppo diversi edifici) ne facevano parte, in quanto alloggi del personale, luoghi di lavoro dei detenuti, di servizio e di accesso dei civili.

Oltre alla presenza anche di ergastolani pericolosi, rinchiusi nelle celle di palazzo d’Avalos a picco sul mare, nel carcere di Procida c’erano anche detenuti che avevano condanne più lievi e che potevano essere rieducati mediante il lavoro. Non essendo pericolosi, coadiuvavano anche gli agenti nella vendita dei loro prodotti, a contatto col pubblico. La loro attività lavorativa si svolgeva nell’opificio (il caseggiato che sta più giù nella foto) dove producevano tessuti per biancheria, molto richiesti dai procidani, o mobili in legno; ma lavoravano anche nelle stalle e nell’orto di cui si intravede uno spicchio giù a sinistra e ogni giorno vendevano i prodotti, dal latte fresco alle verdure, alle famiglie degli agenti di custodia a costi contenuti.

Considerato che l’accesso per il fossato non è praticabile, riprendiamo il cammino verso la Porta di Ferro.  

Carcere: edifici esposti ad ovest

L’immagine qui sopra  ci fa vedere gli edifici tagliati nella foto grande e ci dice dove siamo. Il grande caseggiato a sinistra era il luogo degli uffici centrali, delle vendite e dell’ingresso agli orti; la  muraglia in continuità verso destra è il Mulino, costruito nel 1764, in concomitanza con la carestia che si era abbattuto sul regno di Napoli l’anno precedente, per facilitare la conservazione delle scorte. Al suo fianco c’è un terrazzo (vedi nella prima foto): era l’abitazione del Direttore del carcere che poggia su un caseggiato che si sviluppa ad angolo retto verso l’estremità destra della foto. Lì sotto c’è la Porta di Ferro, costruita col palazzo d’Avalos.

Negli edifici a destra erano situati l’infermeria del carcere, la cucina, il bar con un campo di bocce. Era una delle parti più frequentate da me fino ai dieci anni, perché mio padre lavorava alle cucine e spesso io, o mio fratello, gli portavamo il pranzo preparato a casa da mia madre. Nel locale del bar, che per un certo periodo servì anche da sala cinematografica per il personale del carcere, ho visto per la prima volta un film (anni cinquanta, di esso ricordo solo una notte tempestosa con una giovane donna che cercava un riparo) e se con mio padre entravo nel bar venivo sempre omaggiata di qualche dolcetto. Questa cortesia mi veniva non solo dai suoi colleghi, ma spesso anche dai detenuti che in questi spazi, attraversati normalmente dai civili, passavano senza essere ammanettati, ma scortati da una guardia armata: per quanto avessero quell’uniforme triste e avessi la consapevolezza della loro condizione di esclusi dalla società per aver commesso dei reati, io non ne avevo paura. Mi chiamavano “contessina” come diminutivo del cognome di mio padre che, e ne ho avuto conferme successive, era da loro molto rispettato.

Questo spazio era per me, da sola, invalicabile, perché avevo timore di entrare nella porta di Ferro e preferivo spostarmi sul belvedere, il Belvedere dei due cannoni, una terrazza prospiciente quest’area che si affaccia su… Tutto!!!

Resti del cenobio di S. Margherita con la chiesetta restaurata

Più in fondo sulla punta c’è la chiesa del cenobio domenicano di S. Margherita nuova, che negli anni della mia infanzia  era tutta dirupata mentre oggi si può ammirare restaurata. La cerimonia dell’inaugurazione – il 25 sett. 2012 – ha visto presenti oltre che i cittadini, il cardinale Sepe e rappresentanti  della Sovrintendenza, anche personalità internazionali come i giornalisti  della delegazione russa al congresso della stampa mondiale e  l’attore, di origine procidana, Peppe Barra.

Ruderi del Cenobio

La Chiesa restaurata 

Peppe Barra all’inaugurazione

E sì, perché Concetta Barra e suo figlio Peppe sono di Procida, proprio della Terra Murata, da dove Concetta partì ventenne, nel 1942, in pieno conflitto mondiale, per affrontare la carriera di cantante e attrice. Lavorò con grandi nomi, Totò, Fabrizi, Sordi. Quando si sposò, decise di ritirarsi dalle scene per allevare i due figli; riprese l’attività negli anni settanta insieme al figlio Peppe, nato a Roma e cresciuto a Procida, che con De Simone aveva fondato la Nuova Compagnia di canto popolare.

Concetta e Peppe Barra

E a Procida sono legati altri personaggi dello spettacolo. È memorabile, Vera Vergani, grande attrice milanese del secolo scorso, richiesta da Pirandello e D’Annunzio, che innamoratasi di un capitano procidano, abbandonò le scene a 35 anni, lo sposò e si ritiò a vivere a Procida come qualsiasi altra donna isolana in attesa del ritorno dell’uomo amato.

Vera Vergani

I suoi figli Leo e Vera Pescarolo hanno lavorato nel mondo del cinema come sceneggiatori, produttori e Vera, che ha sposato il regista Giuliano Montaldo, è stata anche attrice.

A questo punto ci dobbiamo decidere ad entrare nella Porta di Ferro. Io la attraversavo sempre volando perché avevo paura delle sette croci nere sovraimposte sulla parte di sinistra; la cappella dedicata alla Madonna del Carmine in fondo sulla destra mi diceva che era passato il peggio. Le croci segnano le sepolture di sette detenuti politici massacrati nel 1849.

L’interno della porta di ferro

Oltrepassata la porta ci troviamo sulla destra delle scalette che si arrampicano sul blocco di tufo e portano direttamente sulla strada principale della Terra: è la scorciatoia per chi ha fiato. Noi proseguiamo diritto giungendo sulla piazza d’armi.

 

[Oltre Ponza. Procida. (3) – Continua]

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