di Vincenzo Ambrosino
Al Sindaco, agli amici residenti, agli innamorati di Ponza.
Solo per amore
Gli amici di Ponza racconta sono tanti, molti sono ponzesi ma tanti sono anche i ‘turisti’ innamorati dell’isola. L’isola gode da sempre di questo privilegio di essere, ancora, un pezzo di terra unico, che chi ci è nato, ma anche chi l’ha conosciuto, soffre moltissimo a vedere ridotto male, senza un suo orgoglio di emergere, senza un progetto che ne rivendichi la rinascita.
Le diverse persone mostrano questa sofferenza in modo diverso, ma pochi credono che qualcosa possa cambiare in meglio, che ci sia finalmente un segnale di speranza.
Lo affermiamo noi residenti invernali, con appelli e ragionamenti.
Franco De Luca ci prova, con i suoi articoli e con i suoi incontri culturali.
Polina che si ribella all’anonimato: la piaga di un’isola che non sa mostrare il suo volto, che incattivisce ulteriormente, che alimenta l’individualismo, la rassegnazione e la fuga.
Michele Rispoli, con le sue brucianti verità, l’unico modo che conosce per dimostrare il suo attaccamento a questa terra.
Il gruppo ’A Priezza, che ha trovato nuova linfa vitale, per proporsi come ciambella di salvataggio, alla quotidiana rassegnazione: si vive oggi, in questo tempo, per cui meglio fare, sorridere, seminare speranza che stare a piangersi addosso.
Ma come non ricordare Silverio Lamonica con la sua moderata arte di ragionare; Gino ha dimostrato infaticabile amore a raccogliere documenti impolverati, umidi, abbandonati con il desiderio di raccontare la storia di quest’isola; la grande passione di Gennaro Di Fazio che in alcuni momenti diventa incontenibile, Sandro Russo che ha orgoglio, tempo e competenze da regalare ancora a questa comunità di isolati; per mai dimenticare Ernesto che ci ha regalato un patrimonio di un’esistenza irripetibile.
Anche i tanti amici di Ponza sparsi nelle varie città che anche godendo della loro quotidiana soddisfazione professionale hanno orecchie e cuore sempre rivolti a quest’isola e forse sono in cerca di un modo per essere realmente felici: fare qualcosa per la loro terra.
Infatti c’è chi scrive, c’è chi esprime il suo amore per l’isola e lo fa anche comunicando fortemente la sua delusione.
Pasquale Scarpati come Lino Pagano sono persone che si vede raccontano l’isola con la speranza di trovare nel vecchio una nuova alba; come Michele Ungaro che ha trovato il tempo per parlare del suo amore per l’isola; come Arturo Gallia che ci segue con tanto interesse. Ma quanti amici, in questi due anni di vita di Ponza racconta, hanno spedito il loro messaggio “come in una bottiglia”. Questi messaggi stanno ancora viaggiando, ancora sbattuti da onde e trasportati da correnti, arriveranno mai a Noi? Saremo mai capaci di elaborare questi messaggi di amore?
Tutti sarebbero da nominare, tutti quelli che Ponza racconta ha avuto il merito indiscusso di sistemare intorno ad un tavolo virtuale. Tutti hanno scelto forme e modi diversi di esprimere questo amore per l’isola ma che forse si aspettano qualcosa anche perché possono dare qualcosa in più.
Mentre tutti amiamo l’isola, tra di noi non ci amiamo, non ci rispettiamo; eppure sogniamo lo stesso sogno.
L’isola è patrimonio di tutti gli uomini e le donne che l’amano. L’isola deve chiedere aiuto a tutti gli uomini e le donne che l’amano, che siano residenti o che siano sparsi per il mondo.
Non basta l’amore, non basta la passione per una terra! Ecco quel filo di tristezza, di delusione che si intravede quando ci rifugiamo nel passato, nel c’era una volta.
E tra un contesto di amore e di passione rassegnato, dimostrato da chi ha subito l’ammaliamento dell’isola e nell’altro contesto di sofferto, impotente, impegno quotidiano, c’è a mio avviso una terza opzione: il progetto, l’azione comune basata su una teoria di isola condivisa.
Ognuno di noi ha un’idea di isola ed io penso che la maggior parte delle persone che scrive o legge Ponza racconta non ha un’idea molto dissimile.
E’ chiaro che il concorso di idee per arrivare ad elaborare un progetto, che deve coinvolgere l’umanità che vive e che ama l’isola, deve partire dall’Amministrazione Comunale.
Quando dicevo, caro Vigorelli, che si deve “buttare il cuore oltre l’ostacolo” dicevo appunto questo: metti in movimento le energie positive che esistono, interne ed esterne all’isola; fa’ in modo che si parli di sviluppo economico ma partendo dalle basi, cioè partendo dalla salvaguardia della residenza.
Per sconfiggere i mali dell’isola che sono l’individualismo e la competizione distruttiva devi inserire nel sistema isola quelle gocce di pratica solidale: il cooperativismo e l’associazionismo senza distruggere l’economia reale. Devi liberarti da subito della presunzione di poter fare da solo, devi liberarti dei consiglieri, se ci sono, che predicano la prevaricazione, devi organizzare la macchina amministrativa basata sulla comunicazione esemplare: trasparenza e dialogo.
Mettere in moto le menti più che le braccia che esistono nell’isola e soprattutto fuori dell’isola, con l’intento di correggere e salvare questa comunità di residenti i quali devono imparare ad accogliere il mondo.
Vedi Caro Vigorelli, quest’isola ha già dei valorosi volontari che vanno ulteriormente valorizzati; le loro azioni quotidiane non emergono o comunque vengono diluite se non addirittura soffocate da tutta una serie di azioni negative che fanno emergere la sottocultura isolana: invidia, interesse privato, disinteresse per la cosa pubblica.
Vedi caro Vigorelli, quest’isola ha all’esterno tanti amici che fanno professioni, occupano posizioni istituzionali, fanno impresa, frequentano il mondo, vivono il loro tempo e hanno idee da mettere a disposizione solo per amore.
Ma il successo di questa impresa, caro Vigorelli, è basato sul carisma della guida. Carisma: farsi riconoscere come modello da imitare, di cui avere fiducia.
Un Sindaco può fare il “miracolo”, ma deve avere la volontà e il carisma per fare il “miracolo”.
Silverio Tomeo
28 Gennaio 2013 at 01:56
Credo che sia inutile tentare di far “quadrare il cerchio”. Credo che sia fuoriluogo autoproporsi come “consigliere del Principe”. Credo che sia dannoso riproporre il luogo comune che l’amore è la salvezza: quando l’amore è proprietario e patologico, allora non salva affatto, ma distrugge. Anche nella cultura liberale è contemplato il conflitto di istanze e ragioni diverse, da gestire, certo, democraticamente. A meno che non si pensi che l’unanimismo interclassista sia costruttivo e che il conflitto sociale sia distruttivo (un’idea tipica e storica della destra paternalista). Ostinarsi poi in un’idea confusa e illiberale di “comunità organica” (altro storico e tipico concetto sociologico tradizionalistico di destra)è francamente stucchevole. A volte mi sorprende quando si parla insistentemente di “categorie”, come se l’isola fosse una impresa comune turistica con le diverse “categorie”: come se non esistessero le classi sociali, le differenze di genere, le differenze di età, le differenze degli interessi sociali ed economici, oltre che quelle culturali e politiche. Il futuro dell’isola è per lo più nelle mani dei cittadini residenti votanti e operanti: se saranno in grado di costruire alternative è bene, altrimenti il declino è già visibile. Si tratta di costruire con pazienza e lungimiranza un’alternativa al populismo affaristico, alle corruttele del passato recente, alla grettezza della deculturalizzazione e degli interessi corporativi. Se poi qualcuno si convince di aver capito tutto e di avere la soluzione per tutto e per tutti, allora ecco che siamo ai consigli gratuiti e inascoltati al vincitore (provvisorio) di turno. Che, come al solito, lasciano il tempo che trovano. Scusate un pò la mia ruvida franchezza… E neppure mi risulta che qualcuno in particolare sia stato delegato dai più a “fare sintesi” in quella che è una pluralità di voci, vera condizione affinchè la “conversazione continui”, come diceva Richard Rorty, il pensatore di New York scomparso nel 2007, noto anche per aver tracciato un ponte con il pensiero europeo contemporaneo.
Pasquale Scarpati
28 Gennaio 2013 at 13:59
Leggendo ciò che scrive Silverio Tomeo a proposito dell’importanza del concetto della collettività e della sinergia che, a mio avviso ci deve essere tra tutte le componenti della società, e che cito: “Ostinarsi poi in un’idea confusa e illiberale di “comunità organica” (altro storico e tipico concetto sociologico tradizionalistico di destra) è francamente stucchevole”, mi è venuta in mente la storiella seguente…
“La parola collettività contiene in sé il concetto di pluralità di voci e di interessi, spesso distanti e/o contrapposti. Ma la collettiva è come un’orchestra: ognuno deve fare la sua parte così, stando al posto assegnatogli, crea, insieme agli altri, l’armonia. Si racconta (è solo un aneddoto) che una volta, forse per essere più appariscenti, degli sposi chiamarono un buon numero di orchestrali, con il loro Maestro, affinché suonassero in Chiesa durante la Messa. A un certo punto, nel silenzio più assoluto, nella navata si espandevano le dolci note dell’ “Ave Maria” di Schubert suonate soltanto dal violino e dall’arpa mentre gli altri strumenti tacevano. I genitori degli sposi, molto irritati, sussurrarono tra loro: “Diamine, dobbiamo pagare tutti gli orchestrali quando invece sono soltanto due che suonano!” Detto fatto si alzarono e, con modi non proprio urbani, indussero tutti a suonare. Impauriti, quelli diedero fiato ai loro strumenti a casaccio. Il maestro che in quel momento si era un po’ distratto, riprendendo la bacchetta, ordinò : “Tempo, tempo!” Quelli, agitati, risposero: “Maestro, ca’ nun ce sta’ chiu’ tiemp’!” e la cacofonia continuò… Chi ha orecchi da intendere, intenda….
Silverio Tomeo
28 Gennaio 2013 at 14:11
Vedi Pasquale, in analogia con quella idea che metti in forma di storiella il grande Federico Fellini ci fece nel 1979 il suo film “Prova d’orchestra”. Qui non si sente alcun bisogno di un unico direttore d’orchestra. Noi democratici siamo per un’idea aperta di comunità, di comunità liberale piuttosto che organica e organicistica. Mi permetto di consigliare a chi abbia attitudine alla lettura il testo “Comunità” del mio amico Francesco Fistetti (il Mulino, 2003) che ricostruisce tutto il dibattito di idee attorno al concetto stesso. Oppure “Communitas. Origine e destino della comunità” (Einaudi, 1998) del filosofo partenopeo Roberto Esposito, che ho avuto modo di conoscere. Questo per elevarci un poco verso un uso critico dei termini e del lessico che usiamo nel dibattito e nella conversazione.
vincenzo
28 Gennaio 2013 at 18:18
Silverio forse cerca la lotta di classe anche nel suo condominio dove si dovrà decidere se fare o non fare i lavori dell’ascensore ma io lo ringrazio lo stesso del suo commento, come ringrazio Pasquale e tutti quelli che vorranno intervenire perchè il mio appello appunto è rivolto ai più che hanno una proposta per quest’isola. Hai ragione Silverio, quando dici: “ma come ti permetti a dare consigli al Principe il quale non è sbarcato sull’isola per stare ad ascoltare un indigeno come te”. Sarò indigeno ma non sciocco, conosco i miei 1500 individui residenti che saranno alcuni giovani, altri lavoratori della terra, altri impiegati, altri operatori economici, altri pescatori, altri cacciatori, altri bracconieri, altri e altri ancora ma non sanno organizzarsi, non sanno creare alternative politiche e sociali, e non ci sono e non ci saranno “avanguardie culturali” che possano guidare la svolta che a te forse piacerebbe. Quello che c’è è quel che resta dell’isola che tu hai conosciuto e molti altri hanno conosciuto, quello che c’è è questa comunità di individui che alla chetichella, in silenzio, stanno sfilando via. Quello che c’è e che forse senza neanche aver detto la “nostra” in modo chiaro e forte, ci sarà qualcun altro che farà il suo predeterminato gioco. Allora sì che non ci saranno più bracconieri da bacchettare né isolani da ammonire, ma solo ricordi da ricordare.
Silverio Tomeo
28 Gennaio 2013 at 18:35
Io il pathos di dover difendere la comunità residente dal declino evidente lo percepisco, per empatia e per essere un ponzese della diaspora. Voi avete Ponza sotto i piedi, io ed altri l’abbiamo nel cuore, nella mente e nella memoria, oltre che nei sogni. Visto che non possiamo affidarci ragionevolmente al miracolo di S. Gennaro o di S. Silverio creiamo allora spazi di nuova cultura politica per costruire un’alternativa, per sognare un futuro possibile per l’isola e i suoi abitanti, come si cerca di fare dappertutto nonostante la crisi della politica e della stessa democrazia. Senza finte unità ed unanimismi forzati, senza delegare al vincente di turno o a qualche aspirante direttore d’orchestra. La dialettica sociale e democratica serve anche nei condomini, certamente.
vincenzo
28 Gennaio 2013 at 20:41
Silverio ma io è quello che voglio, vedi tu sai che gli spazi sono dei vuoti da riempire, che possono essere riempiti dalla cultura oppure dall’economia affaristico speculativa. Vedi io parlo al principe di turno ma poi aggiungo che deve avere due caratteristiche fondamentali: volontà e carisma. Volontà di perseguire la strada della conoscenza plurale e carisma nel sapersi far riconoscere come uomo da cui partire per la rinascita. Oddio ma ti sembra consociativismo? Questo è un vero miracolo, i contenuti non vengono dal principe, che comunque deve avere queste caratteristiche di apertura, ma dal Concorso di idee che provengono dal confronto di culture diverse. Il tema: l’isola che non c’è!