di Sandro Vitiello
Era la fine degli anni settanta e con la mia futura moglie, milanese, tornammo a Ponza in luglio.
Ponza in quegli anni conservava una sua tranquillità anche d’estate, specialmente a Le Forna. Tant’è che ci godemmo quelle vacanze soprattutto con tanto mare.
Certo bisognava convivere spesso con una “fauna” un po’ strana, ma ci stava pure quella.
Uno degli ultimi segni di quella che era stata la stagione della ‘contestazione’ era ancora rappresentato dalla presenza di nudisti o naturisti che approdavano sulla nostra isola sapendo di non disturbare e di non essere disturbati.
Cala Felce o le due cale laterali di cala Fonte, il Pitruzziello e il Catrulillo, insieme al Gaetano erano luoghi dove abitualmente i villeggianti prendevano il sole o facevano il bagno “nature”.
Credo che queste cose succedessero in tante altre parti delle nostre isole.
Mio padre che era già anziano all’epoca, veniva spesso aiutato a tirare a secco la barchetta da giovani nudisti, al Pitruzziello.
Tornava a casa, ne parlava a mia madre e si facevano qualche risata.
In quel tempo dalle mie parti non c’era neanche un affittabarche; forse alle Piscine, ma non ne sono sicuro. Un giorno di fine luglio comunque rimediammo una barchetta con fuoribordo “Seagull” e partimmo per Palmarola.
Arrivammo al “porto” di Palmarola: in tutta la cala, verso la spiaggia e in lontananza non si vedevano barche e tantomeno persone.
Il Paradiso davanti ai nostri occhi, tutto per noi.
Dopo aver preso possesso del nostro spazioe dopo un lungo bagno già si lavorava di fantasia pensando ad una lunga giornata in solitudine a Palmarola.
Non passano neanche cinque minuti e dalla boscaglia viene fuori un’anziana signora con un vistoso cappello di paglia in testa.
Punta diritto verso di me, in quel momento da solo, e dopo aver capito che sono ponzese e dopo averle detto che “appartengo alla razza dei Sacco”, la signora si presenta come Civitella.
In pochi istanti si “mette comoda” al mio fianco e incomincia a raccontarmi della bellezza di Palmarola rovinata soprattutto dalle “puttane di Milano”.
Mia moglie che nel frattempo ci aveva raggiunto, ascoltava silenziosa gli sproloqui di Civitella e cercava di capire il senso di quella chiacchierata.
Sostanzialmente per Civitella il mondo si era degenerato da quando erano arrivate le turiste cu ’i zizze ’a fore. Per lei questi costumi moderni erano un affronto assolutamente non tollerabile.
Da lì tutta una serie di considerazioni molto colorite sulle donne di Milano e sulla loro vita scellerata. Chissà perchè poi solo quelle di Milano…
Mia moglie, in genere molto loquace, ascoltò tutta la discussione e senza aprire bocca evitò di far a conoscere a Civitella la sua provenienza.
La giornata si era messa male; faticammo non poco per riconquistare la nostra tranquillità ma l’incantesimo di Palmarola era andato in parte perduto e quindi, ad una certa ora, tornammo a casa.
Mia madre, donna abbastanza riservata che usciva anche poco di casa, conservava il piacere di farsi raccontare di chi incontravamo nei nostri giri e di cosa succedeva in paese.
Le parlammo quindi del nostro incontro a Palmarola e usando parole giuste, come quando si affrontano certi argomenti con il proprio genitore, raccontammo tutto quanto.
Alla fine scoppiò a ridere e chiuse la discussione con una considerazione che non lasciava dubbi: “Chella… quande n’ha truvate chiù nient’ a Ponza, se n’è gghiut’a Palmarola”.
Alcune foto di Le Forna, negli anni ’70: