di Lino Catello Pagano
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Lento è il tragitto, nel tratto di mare verso Palmarola,
il Faro della Guardia alle spalle.
Il pescatore solitario canta al vento la sua canzone,
allunga i remi che affonda nell’acqua blu cobalto
e con uno sforzo di spalle
si sposta nel mare calmo e silente.
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Il suono della sua voce intonata
canta la canzone dell’amor perduto,
mentre dall’alto, inaspettato,
gli fa eco un coro di gabbiani.
Allunga e affonda i remi e tira, affonda e tira.
La costa di Palmarola ora si tocca con un dito
Passa tra i faraglioni e si dirige alla spiaggia.
Appare da lontano come un fanale,
lo scoglio del nostro santo protettore.
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Lui continua la voga e intona un canto al santo.
Solo com’è la sua voce rimbalza,
sulle pareti di roccia e fa eco a se stesso;
con la sua postura aumenta l’andatura.
I remi che con foga affondano in mare
lasciano una scia, che piano piano scompare .
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La spiaggia l’abbraccia con quei sassi
portati dal mare quando è arrabbiato,
l’acqua immobile e trasparente riflette
immagini di cieli tersi
e delinea l’ombra della barca sul fondale.
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Respira quell’immenso silenzio
e profumi di ginestre
Ritrova se stesso al cospetto del Santo
che dall’alto lo guarda,
pescatore solitario