di Antonello Feola
Da un antiquario ho acquistato 10 numeri, e penso siano tutti, di “Ponza mia”, la rivista pubblicata negli anni 65-66. Il primo articolo, che per me, per ovvi motivi, è il più caro e il più commovente, quello che ogni volta che lo leggo mi fa venire la pelle d’oca… E’ del marzo 1966.
Da ”Ponza mia” marzo 1966
Una pagina triste e gloriosa della nostra storia e un uomo da non dimenticare oggi che la fame in India ce lo ha fatto ricordare
TEMPO DI FAME
TEMPO D’ EROI
Abbiamo assistito nelle scorse settimane ad una gara di generosità tra i ponzesi che ci ha profondamente impressionato. Il ponzese che in diverse manifestazioni collettive non è tanto prodigo se non dopo essersi reso conio della reale sorte dei suoi soldi, di fronte alla fame non ha ammesso discussioni. Chiunque si è mosso alla testa di qualche sottoscrizione pro India ha raccolto fondi senza rilasciare ricevute e nessun offerente ne ha chieste: tutti hanno dato senza il minino pensamento. Si è potuto constatare che tutte le somme raccolte a Ponza hanno superato la cifra raccolta negli ultimi anni per la festa Patronale: una cosa mai successo precedentemente.
Ma chi visse su questi scogli il brutto inverno 1944 ha facilmente intuito il significato di tanta generosità. Anche a Ponza si morì di fame nelle giornate tra il 26 febbraio e il 5 marzo 1944.
Il fronte si era arrestato al Garigliano sin dalla fine di ottobre. Sulla costa vicina i Tedeschi, a Ischia e in Campania gli alleati Anglo- Franco-Americani. Il traffico si svolgeva coi motovelieri ponzesi tra Napoli, Ischia, Ventotene e Ponza. La nostra isola, come molti sanno, può soddisfare il fabbisogno della popolazione solo con la produzione del pesce; per il resto importa tutto dal continente. L’approvvigionamento, che era stato già molto precario nel periodo bellico precedente l’otto settembre ’43, divenne caotico in quell’inverno a causa della occupazione. Tutte le zone occupate vennero suddivise in governato rati affidati a corpi di polizia per lo più inglesi che svolge- vano la funzione di governo con lo spirito di chi, trovandosi spaesato in terra straniera, si preoccupa soprattutto della propria salute. A. Ponza avevamo il Commissario < ex » prefettizio il compianto don Peppe Di Monaco, il quale, dopo l’occupazione reggeva le sorti del paese solo in virtù di un successivo atto di riconoscimento da parte del governato re delle isole Pontine e Partenopee. Non sempre si trovava nei magazzini di Napoli la partita di viveri pronta quando le scorte si andavano già esaurendo nell’isola. In quell’inverno il maltempo aggravò la situazione. Verso la metà di febbraio una serie di tempeste a catena tenne Ponza isolata dal resto del mondo per quasi venti giorni. Logicamente mancò anche il pesce a causa della forzata inattività dei pescatori. Dopo una settimana di isolamento le persone più deboli cominciarono ad accusare la fame. Qualche vecchio ammalato morì. Magri spettri umani si aggiravano per la campagna in cerca delle erbe anche più immangiabili (corse voce che alcuni avevano mangiato anche i nopali di fico d’india). Ai primi di marzo, quando la tempesta non accennava a diminuire, vedemmo sfilare una decina di cortei funebri. Ora morivano anche i bambini. Che brutta impressione! E’ crudele la morte di fame! I famigliari dei morti non piangevano: erano muti, storditi e comunicavano a tutti uno squallido senso di vuoto, di incolore e di atonico: lo spettro vivente della fame che ti ammazza senza farti male. Da Ponza partì un telegramma a firma del compianto don Salvatore Vitiello e del Com.te del Porto Cap. Di Cecca così concepito: «POPOLO PONZA MUORE FAME ». La gente si affollò in Chiesa ad implorare. Il tre marzo cominciò un triduo di preghiere a S. Silverio.
« Al termine – scrive don Luigi Dies, allora parroco – era domenica, avvertii che l’indomani avremmo celebrato la messa di ringraziamento conclusiva del triduo » e prosegue « … aggiunsi: del resto il proverbio dice: in un’ora Dio lavora ». E il miracolo avvenne. Verso le sei e mezza di quella stessa sera, il suono festoso delle campane trasmise a tutti un senso di gioia. Tutti intuimmo che era arrivato il mezzo coi viveri.
I fatti erano andati così : il governatore, appena ricevuto il telegramma diede ordine di trasbordare su una grossa nave inglese i viveri che si trovavano da più di una settimana su due piccoli motovelieri ponzesi. Appena al primo accenno di miglioramento il capitano inglese Simpson doveva salpare dal porto di Ischia per Ponza. Ma il tempo peggiorò. Si trovava a Ischia l’armatore Antonio Feola, detto Totonno Primo. Grazie alla sua diplomazia col governatore, Ponza era riuscita a strappare grandi vantaggi e ora questa ultima disposizione era frutto dei suoi buoni uffici. Animato da grande coraggio e dalla intima gioia che provava nel fare il bene dell’isola, Antonio Feola salì sull’unità inglese che aveva completato il carico e disse al capitano di salpare. Il valente cap. Simpson lo guardò col sorriso del vero inglese che osservaun pazzo e per accontentarlo in parte volle fare la mossa di salpare sicuro di rientrare in porto ai primi convincenti colpi di mare. Una popolazione moriva di fame, un altro giorno sarebbe costato la fine di una cinquantina di vite; bisognava osare. Appena fuori del porto di Ischia, Antonio Feola, spalleggiato da altri ponzesi, quasi con atto di amichevole violenza assunse la guida del timone, affidando al timido capitano una bottiglia di whisky come per sollevarlo. Come fecero ad arrivare nel porto di Ponza fu un miracolo vero e proprio. A seguito di ciò il 5 marzo diventò una solennità civica dell’isola e ogni anno venne celebrata la messa solenne di ringraziamento. Sono solo tre anni che di questa solennità non si parla più. E’ invece doveroso ricordare quanto abbiamo sofferto e solennizzare le pagine belle della nostra storia perché così ci sentiremo più uniti. E in tutto questo è doveroso ricordare uomini generosi che l’ amore e la bontà resero protagonisti di azioni eroiche. Oggi a distanza di 22 anni in tutte le coscienze è latente il ricordo di Antonio Feola, ma niente è stato fatto per onorarne degnamente la memoria. Nel ringraziare i cittadini per quanto hanno fatto per gli indiani, ammoniamo i ponzesi perché non dimentichino l’uomo che li salvò dalla fame. Per questo la nostra rivista suggerisce a chi di competenza di intitolare per lo meno una strada o dedicare una stele ad Antonio Feola con le parole finali di una poesia dì Fedele Carriero a lui dedicate:
“…e quando il vento spira
e la tempesta infuria con fragore,
per lui – nocchier audace – alla memoria recitate una prece, ch’egli boria
non ebbe, ma bontà; per Ponza Amore”
admeto
14 Novembre 2012 at 16:22
Veramente notevole la figura di Antonio Feola.
Da rivalutare. Complimenti.
Admeto Verde