di Franco De Luca
Al di sotto del Corso Pisacane, dove s’erge il caseggiato del Municipio, c’è lo scalo d’alaggio “storico” di Ponza. Lo giudico così perché già dai disegni che il Mattej fissò nel 1837 si vede che lì le barche dei pescatori erano ormeggiate, e talune erano tirate a terra .
Negli anni ’50 le barche che trafficavano nel porto per lo più erano quelle dei pescatori, ed erano gozzi. Il gozzo ponzese: stretto e lungo, con la prua perpendicolare alla carena, e la poppa che ne segue il disegno; ai fianchi le forcine con i remi appoggiati, insieme all’albero per la vela latina.
Ci si andava a Palmarola, ma poi ci si era arrischiati anche in Sardegna e in Tunisia, e nell’ Illiria.
Il gozzo ponzese, diverso da quello amalfitano e ancor più dal genovese.
Talora doveva essere tirato a secco perché il mastro d’ascia Ciro doveva cambiare una tavola del fasciame.
Si seguiva allora un rituale preciso. Innanzitutto era sorprendente per me vedere quanta gente veniva a dare una mano, perché il gozzo, nonostante il sego abbondante sulla “falanghe” , era pesante. Inoltre occorreva che fosse tenuto dritto sulla chiglia altrimenti, cadendo, poteva danneggiare le fiancate.
Io mi mischiavo ai maturi pescatori, scalzi i piedi e con i pantaloni tirati sul popaccio.
Oooo…issa… ooo…issa… e tutti insieme tiravamo i canapi, divenuti uno per potenziare il tiro.
Tutti insieme a tirare, ma anche a ridere per le battute salaci, che venivano interpretate e… allora il motteggio si moltiplicava. Insieme alle forze che finalmente avevavno la meglio sullo scafo.
Il padrone lo puntellava e in un battibaleno il gruppo si disperdeva.
Ma diventava folla quando a chiena ‘i punente mista alla libecciata gonfiava le acque nel porto, e le barche, anche quelle giù al Mamozio, erano in pericolo di toccarsi e farsi danno.
Allora si tirava su un gozzo, poi anche quell’altro, e poi un altro.
Non v’erano spettatori: dalla balconata del Corso nessuno si intratteneva a guardare; tutti si era attori, per il bene comune.Tutti si dava una mano, e contenti.
Facile, troppo facile insinuare una “tirata” morale, se si paragona l’ieri all’oggi.
Chiunque tragga le sue conclusioni.
A me piace soffermare lo sguardo su quegli anelli che allora fissavano i gozzi al suolo, in modo che il mare invadente non recasse danno.
Oggi stanno lì, metà a secco e metà in acqua. Assistono alla lotta che il mare tiene col ferro. E la ruggine ne consacra lo stato.
Testimoniano una coralità paesana e la invocano.