di Bruno Pianigiani
Nel condividere il Vostro amore per l’isola di Ponza, desidero partecipare con queste mie considerazioni, sulla situazione
economica internazionale, al Vostro sito.
Distinti saluti.
Considerazioni di un profano in economia.
1. Visione sociale ed esigenze primarie dell’ uomo.
Ai primordi della civiltà l’uomo aveva delle esigenze primarie per vivere nel proprio tempo: cibarsi dei frutti della terra e degli animali (uomo raccoglitore e cacciatore), proteggere il corpo dalle intemperie e dagli animali (pellicce, caverne, fuoco), riprodursi (compagna e prole), socializzare con individui terzi per affrontare le asperità del vivere giornaliero (comunità primordiale); comunità dove ciascun individuo eccelleva in una capacità diversa (specializzazione), ciò portava vantaggi non indifferenti a tutti i membri del gruppo, ma creava problemi di organizzazione e di gestione delle persone e delle umane cose.
Da quella società di cacciatori si è passati ad una società di agricoltori-costruttori, elaborando sempre più il pensiero, l’immaginazione, l’astrazione ed acquisendo conoscenze che attraverso i millenni hanno portato alla civiltà contemporanea.
Oggi e sempre le esigenze primarie dell’uomo saranno alla base della sua esistenza con in più quella componente umanistica che trascende il quotidiano: le sensazioni, i sentimenti, l’immaginario, l’arte, la conoscenza.
Quest’uomo così complesso non può essere schiavizzato facendo sopprimere le sue esigenze primarie da una sua creazione funzionale: la teoria economica; priva per sua natura della nobiltà oggettiva delle scienze, essendo oppressa da un male incurabile: le infinite variabili che contraddistinguono l’umano vivere in società (identità storiche dei popoli, usanze, costumi, sistemi politici, religioni, ambiente, clima e per finire i moti della terra incurante delle costruzioni umane).
L’economia deve essere funzione dell’uomo per l’uomo e non l’uomo subiectus all’economia.
2. Globalizzazione partendo da una visione macroeconomica e non microeconomica.
Credo sia errato partire da una visione microeconomica, intesa anche come macroeconomia delle nazioni nel contesto mondiale, per raggiungere un’economia globale, ma che bisogna partire da una visione macroeconomica globale per arrivare ad un sistema economico equo in quella che volgarmente viene chiamata “globalizzazione”.
3. L’invenzione del postindustriale.
La visione d’un mondo ove esista una delocalizzazione dell’industria, avendola concentrata esclusivamente in alcuni continenti, con conseguente delocalizzazione del know how (patrimonio intellettuale/tecnico d’una azienda) e della ricerca, è altamente opinabile (suicidio).
Consideriamo l’economia d’un paese o di un continente privato delle risorse industriali ed agricole, con limitate od inesistenti materie prime da esportare, quel paese potrà creare occupazione solo nei servizi, nell’ecologia e se fortunato nel settore del turismo; sfruttando il clima temperato, le bellezze naturali, i reperti archeologici ed i musei.
E’ razionalmente ed oggettivamente impensabile che un sistema paese del genere possa occupare tutta la popolazione.
Il tutto viene complicato da una visione arcaica ed ottusa del mondo produttivo, che dovrebbe occupare un sottoproletariato composto da ingegneri, chimici, fisici, matematici, tecnici, operai specializzati; poveri schiavi di miniera ottocentesca.
Nascerebbe un sistema simile alla gestione della Sanità in Italia. Servizi scadenti e farraginosi, strutture fatiscenti e mal distribuite sul territorio, sprechi di macchinari, materiali, medicine, un costo sproporzionato del settore amministrativo-gestionale rispetto al settore produttivo (medici, paramedici, tecnici di laboratorio, personale addetto alle pulizie); a svantaggio di questi ultimi e dei malati.
Il problema è facilmente risolvibile con poliambulatori multifunzionali, per gli esami, la diagnosi, le terapie e gli interventi in day hospital, e da centri ospedalieri, per le lunghe degenze ed il pronto soccorso, il tutto distribuito razionalmente sul territorio.
I miopi soloni della politica, dell’economia e della finanza non considerano che la concentrazione di sistemi produttivi e risorse possa essere azzerata da eventi naturali, come terremoti, maremoti …,con conseguenze catastrofiche per l’umanità.
4. La contrazione del tempo e dello spazio, la relatività applicata all’economia.
Le scelte sbagliate in campo socio-economico si propagano in pochi secondi per i continenti, non permettendo modifiche sostanziali in tempi brevi, con conseguenze negative; che si protraggono per tempi relativamente lunghi insieme alle sofferenze delle popolazioni.
5. Degenerazione della finanza.
La concentrazione di capitali nelle mani di pochi finanzieri produce poteri forti, che condizionano le politiche nazionali, continentali e mondiali, annullando la distribuzione equa delle risorse ed il conseguente reinvestimento nelle infrastrutture, nel sistema produttivo, nel sociale, nella ricerca, nel progresso, nel benessere dell’umanità.
La finanza creativa crea un economia meramente virtuale, che arricchisce a dismisura una percentuale irrilevante di uomini, bruciando rinvestimenti che potrebbero produrre risorse in percentuali inimmaginabili con benefici sostanziali per tutti.
La morale e l’etica variano nel tempo insieme all’evolversi della società e dei costumi. Il problema è che, invece di adeguarle al nostro tempo, sono state relegate in soffitta. Sono così venuti a mancare non solo gli strumenti tecnicamente più avanzati, ma anche i punti cardinali di riferimento per navigare nel mare della vita; sempre più tempestoso.
Il sistema finanziario nato come strumento indispensabile a completare ed integrare il sistema socio-economico, sfruttando gli strumenti sofisticati che gli erano stati forniti, ha agito in piena autonomia, avulso dalle funzioni per cui era stato creato.
I politici e i loro consiglieri economici, non avendo più giustificazioni da dare alla loro incapacità, non fanno altro che dire: “ Lo vogliono i mercati”.
Cacciamo dal tempio i mercanti e con loro i politici ed i loro consiglieri.
Non vogliamo e non possiamo rimpiangere le dittature, le autarchie e le truppe cammellate.
6. Europa politica.
Costruiamo un Europa politica sovranazionale, ubi maior minor cessat, con regole certe e condivise.
Gli stati europei devono essere solidali fra loro, poiché aiutare il debole a diventare forte porta il bene comune.
I germani devono rifarsi ad un saggio detto: non c’è due senza tre. Hanno perso due guerre mondiali … . Oggi le guerre non si fanno sui campi di battaglia.
I francesi hanno vinto la guerra dopo Vichy, ma hanno perso le colonie, la “grandeur” è finita nel 1954 a Dien Bien Phu.
Le regole vengono rispettate quando si è forti nella politica, nell’economia, nelle tecnologie, solo allora ci si può sedere da pari ad un tavolo di trattative con U.S.A, Cina, India e Giappone.
Poiché ancora si pensa alle sole priorità nazionali, vengono inviate agli scanni europei figure di secondo piano rispetto a quelle nazionali, già discutibili. E’ un fare comune a tutte le nazioni europee, che produce, come risultato finale, delle norme velleitarie che non rispettano le libertà individuali (vedi l’ultimo parto: norma sulle sigarette) ed evocano, in maniera decisamente più idiota e ridicola, lontane dittature.
Forse, per presunzione giovanile, non ho studiato economia all’università avendo concepito detta facoltà come secondaria alle altre e destinata a ragionieri evoluti e mercanti.
Non avrei mai pensato che con le sue teorie pseudo-socio-matematiche avrebbe dominato sulle altre dottrine portandoci, con la sua inconsapevolezza ed imprevidenza, ad una crisi mondiale mai vista.
Dall’inizio del secolo scorso gli Stati Uniti d’America sono intervenuti in due guerre mondiali, in Corea, in Vietnam, Cambogia, Laos, Medio Oriente, Nord Africa, per acquisire nuovi mercati e non ultimo il controllo delle risorse energetiche mondiali, agendo con modalità simili a quelle delle guerre indiane e con la mentalità puritana che giustifica tutto anche le azioni più efferate in nome di un dio e di una democrazia da esportare.
Hanno così applicato dottrine di sfrenato ed arrogante liberismo nei paesi sottosviluppati del Centro America, dell’Africa e del Medio Oriente, coltivando in quelle popolazioni un odio irrefrenabile verso le civiltà occidentali ed ancor più verso gli U.S.A..
Infine sono arrivati i prodotti finanziari derivati da crediti inesigibili figli d’una economia fondata su un debito privato elevatissimo senza garanzie e su un debito pubblico altrettanto elevato ma garantito da un prodotto interno lordo ad oggi invidiabile. Con l’aumentare della disoccupazione anche gli Stati Uniti hanno fatto il loro tempo.
L’Occidente deve fare attenzione anche ai mercati emergenti dove, incentivati da costi minori di produzione e fiscali, gli imprenditori investono gran parte del know how delle nostre aziende e sfruttano, senza regole, la manodopera sottopagata ed i minori.
La presa di coscienza di quelle popolazioni ha tempi brevissimi rispetto ai tempi di Taiwan (l’intervallo di tempo sei volte inferiore, contrazione del tempo) mentre i tempi di ammortamento degli investimenti sono aumentati.
E’ ora che si creino degli equilibri tra un Europa coesa, l’America, il Giappone e le Economie emergenti, con leggi comuni che regolino i mercati quindi: i requisiti delle merci che ne garantiscano l’origine e la qualità nel rispetto dei diritti umani (in particolare dei minori) e della salute dei consumatori. Le sanzioni contemplate nelle norme devono essere proporzionate al possibile danno ed applicate senza deroghe.
La democrazia sin dai tempi di Atene ha come limite insuperabile: i tempi lunghi per l’approvazione di provvedimenti inderogabili.
Le lobbies di potere potrebbero essere contrastate limitando i tempi di permanenza sugli scanni dei parlamentari, eliminando così quello che potremmo chiamare “l’ordine professionale dei politici”.
Il limite attuale dell’economia è la mancanza di una morale e di un’etica che rispetti il mondo sociale ed il mondo individuale dell’uomo.
Bruno Pianigiani