Les sentinelles de la mer
proposé par Sylvie Morra
Peut-être le phare naquit-il du désespoir des femmes plongées dans l’anxiété, de l’angoisse qui frappait, au coucher du soleil, les enfants et les anciens demeurés sur le rivage pour guetter le retour des hommes téméraires embarqués sur quelque rudimentaire radeau malmené par le vent, le courant, la marée ou la main d’un dieu hostile. Quelqu’un déclara: allumons un feu, un grand, le plus haut possible sur les rochers pour qu’ils sachent où revenir. Ce feu de bois se vit ensuite attribuer une demeure, un emplacement choisi pour garantir son efficacité , avec un gardien chargé de l’alimenter, qui en tira même sans doute une sorte de prestige sacré et sacerdotal à l’époque où la flamme participait de la nature divine. Et quand les villes vinrent s’ établir au bord des océans et devinrent d’accueillantes entrées maritimes appelées ports, les phares grandirent et grossirent, se transformant en d’immenses tours sur lesquelles des quintaux de bois étaient hissés chaque jour à l’aide de poulies, comme celui qui guidait les navires vers Alexandrie , la cité égyptienne située sur l’îlot qui donna son nom aux phares: Pharos. Certains revêtirent même d’artistiques formes anthropomorphiques à l’effet trompeur, tel le colosse de Rhodes qui faisait passer les navires entre ses jambes, ou bien la statue de la liberté qui salue les paquebots arrivant à New York. Mais le vrai phare de nos rêves, celui des légendes, des films et des romans, c’est le petit et frêle phare isolé au milieu des lames sur une côte grondante, perdu au bout du monde, séparé de la côte et accessible seulement en canot, visité uniquement par les mouettes et habité par un vieux marin à la retraite comblé par une bonne cave, une bibliothèque , une radio et le courrier une fois par semaine. Un minaret des côtes où seuls les disciples de la solitude peuvent vivre en célébrant les rites de l’allumage et de l’extinction au nom du renoncement au monde.
Gianni Guadalupi
La mer rouge (2011); Editions White Star
Le sentinelle del mare
segnalato da Sylvie Morra
Forse il faro nacque dalla disperazione delle donne attanagliate dall’ansia, dall’angoscia che colpiva, al calar del sole, i bambini e i vecchi che dimoravano sulle rive per scorgere il ritorno degli uomini temerari imbarcati su qualche rudimentale zattera sbattuta dal vento, dalle correnti, dalla marea o dalla mano di un dio ostile. Qualcuno avrà detto: – Facciamo un fuoco, il più alto possibile sulle rocce, perché essi sappiano dove tornare.
Questo fuoco di legna si vide quindi attribuire una sede, un luogo scelto apposta per garantire la sua efficacia, con un guardiano incaricato di alimentarlo, che ne derivò senza dubbio una sorta di prestigio sacro o sacerdotale, in un tempo in cui la fiamma partecipava della natura divina. E quando le città vennero a stabilirsi sul bordo dell’oceano, e divennero quelle accoglienti entrate marittime chiamate porti, i fari s’ingrandirono e crebbero, trasformandosi in quelle enormi torri sulle quali quintali di legna erano issati ogni giorno con l’aiuto di carrucole, come quello che guidava le navi verso Alessandria, la città egiziana situata sull’isolotto che diede il suo nome a tutti i fari: Pharos. Alcuni si rivestirono delle forme antropomorfe dall’effetto fuorviante, come il colosso di Rodi, che faceva passare i navigli tra le sue gambe o anche la Statua della Libertà che saluta i piroscafi in arrivo a New York.
Si ritiene che la prima vera e propria torre-faro, quella che ha dato a tutte le altre il nome e il modello, sia stata quella di Alessandria d’Egitto. Architetto ne fu Sostrato di Cnido, il quale lavorò sotto i primi due Tolomei. La costruzione del Faro iniziò probabilmente nel 297 a. C.. La fiamma del Faro, vista isolata e alta sull’orizzonte come una stella, doveva sembrare ai naviganti come l’apparizione di una divinità protettrice
Il Colosso di Rodi era un’enorme statua del dio Helios, situata nel porto di Rodi in Grecia nel III secolo a.C. È una delle cosiddette sette meraviglie del mondo antico
Ma il vero faro dei nostri sogni… quello delle leggende, dei film e dei romanzi, è il piccolo e fragile faro isolato tra le onde di una costa grondante, perduto al bordo del mondo, separato dalla costa e accessibile solo in barca, visitato unicamente dai gabbiani e abitato da un vecchio marinaio in pensione, che ha per compagnia una buona cantina, una biblioteca, una radio e un corriere una sola volta a settimana.
Un minareto delle coste dove solo i discepoli della solitudine possono vivere, celebrando i riti dell’accensione e dello spegnimento in nome della rinuncia al mondo.
Gianni Guadalupi