di Sandro Russo
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Guardò la cupola, una piccola cosa nera resa ancora più piccola dalla distanza.
Laggiù c’erano uomini che non potevano vedere la bellezza di cui era fatto Giove. Uomini che pensavano che la faccia del pianeta fosse oscurata da venti e da piogge sferzanti. Occhi umani che non vedevano. Miseri occhi che non potevano vedere la bellezza delle nubi, che non vedevano oltre la tempesta. Corpi che non sentivano il brivido di una musica che risuonava dallo scorrere e dal frangersi dell’acqua.
Uomini solitari, in una solitudine terribile, che parlavano una lingua simile ai messaggi con le bandierine tra navi lontane, incapaci di protendersi e di toccare la mente di un altro come lui poteva raggiungere la mente di Towser. Esclusi per sempre da un contatto personale e intimo con gli altri esseri viventi.
Si era aspettato il terrore delle cose aliene, lì fuori, sulla superficie di Giove. Aveva temuto di doversi rannicchiare per la paura della minaccia di cose sconosciute; si era corazzato contro l’orrore di una situazione non terrestre.
Invece aveva trovato qualcosa più grande di quanto l’uomo avesse mai conosciuto.
Un corpo più sicuro e più agile. Un senso di euforia, una vitalità più profonda. Una mente più acuta. Un mondo di bellezza che neppure i sognatori, sulla terra, avevano mai immaginato.
– Muoviamoci – lo invitò Towser
– Dove vuoi andare?
– Da qualsiasi parte. Mi basta partire e vedere dove arriviamo. Sento che… Be’, sento qualcosa…
– Sì, capisco – disse
Lo sentiva anche lui, infatti. La sensazione di un grande destino. Un senso certo di grandezza. Il sapere che da qualche parte oltre l’orizzonte, lo aspettavano l’avventura e cose più grandi dell’avventura.
Dovevano averlo provato anche gli altri. Avevano provato la necessità di andare a vedere, la sensazione che lì c’era tutta una vita di ricchezza e conoscenza.
Questo, ora lo sapeva, era il motivo per cui non erano tornati.
– Io non tornerò – disse Towser.
– Non possiamo abbandonarli – obbiettò lui. Fece un passo o due verso la cupola, poi si fermò.
***
Tornare alla cupola. Tornare a quel corpo dolorante e carico di veleni che aveva lasciato. Prima non gli sembrava dolorante, ma adesso sapeva che lo era.
Tornare a un cervello confuso. Al pensiero vago. Alle bocche blateranti che formulavano segnali che gli altri cercavano di interpretare. Tornare a occhi che adesso sarebbero stati peggio che ciechi, allo squallore, allo strisciare, all’ignoranza.
– Un giorno, forse – disse sottovoce
– Abbiamo un sacco da fare e da vedere – disse Towser – Abbiamo molto da imparare. Scopriremo cose che…
Sì, potevano scoprire delle cose. Delle civiltà, forse. Civiltà che avrebbero fatto sembrare meschina quella terrestre. La bellezza e, ancora più importante, la comprensione della bellezza. E un senso di fraternità che nessun uomo, nessun cane avevano mai conosciuto.
E la vita. Una vita piena e intensa, dopo quella che ora gli sembrava un’esistenza malata.
– Non posso tornare – disse Towser.
– Nemmeno io.
– Mi farebbero ridiventare un cane.
– E io – disse lui – tornerei ad essere un uomo.
[Titolo originale: Desertion – by Clifford D. Simak; 1942]
Elaborato da Sandro Russo
‘Ponza delle Stelle’ e i rimbalzanti di Giove (3) – Fine