di Tina Mazzella
Alla c.a. della Redazione di Ponza racconta
Vi invio il mio nuovo racconto “Ianara” suggeritomi da una antica credenza popolare ponzese.
Secondo tale tradizione, le ianare erano streghe malvage che di notte si intrufolavano nelle case addormentate per portare disgrazie ed operare malefici.
Erano esenti dal loro malefico influsso soltanto le case ove abitavano persone nate in gennaio.
La gente si tutelava da queste diaboliche creature sbarrando porte e finestre con i ‘renaioli’ o indossando l’abbatiell’, una bustina di cotone contenente immagini sacre ed una coroncina benedetta…
Ne approfitto per complimentarmi con Voi per il prezioso supporto dato dal sito al Concorso a premi del 9 Giugno scorso ed alla festa che ne è seguita con bambini, studenti, genitori, insegnanti ed autorità locali.
Grazie per il Vostro impegno e buon lavoro.
Tina Mazzella
Il sentiero che risale la collina, ancora oggi erto e pietroso, è ricoperto per lunghi tratti da ortiche e da erbe selvatiche; lungo il pendio si incontrano gradini ripidi, irregolari ed in molte parti consunti, che rendono più faticosa la salita. Sulla sommità sorge una vecchia casa da tempo disabitata.
Scavate nella roccia, le tre stanze che la compongono con il caratteristico tetto a cono si aprono sul cortile antistante di forma quadrata, da cui si ammira un magnifico panorama.
Da lassù, il porto dell’isola appare molto vicino. Si distinguono le barche che vi sono ancorate; nelle sere d’estate si possono contemplare le mille luci colorate che si accendono in basso, come in una grande festa, e si può abbracciare con uno sguardo la lunga spiaggia ghiaiosa che si stende ai piedi dell’altura.
All’interno della casa ormai chiusa da anni, ci sono pochi mobili essenziali, invecchiati dal tempo e dall’abbandono. In un angolo della cucina sono ammucchiati fasci di reti da pesca ricoperti di muffa e di polvere. Fino a qualche anno fa, nessuno osava avventurarsi su per quella contrada; correva voce che fosse stregata. Più che la collina, secondo le testimonianze della gente, era maledetta la casa. Forze malefiche la popolavano. Di notte si sentivano angosciosi lamenti ed urla disumane, accompagnate da sinistri bagliori che guizzavano all’improvviso dai vetri rotti delle finestre. Certamente vi soggiornavano gli spiriti che, da quando Giovanni, il legittimo proprietario, era passato a miglior vita, l’avevano eletta quale loro temporanea dimora.
Giovanni aveva abitato in quella casa per tutta la vita e con la sua misantropia aveva contribuito ad alimentare le incredibili storie che circolavano in paese.
Da instancabile lavoratore qual’era, si guadagnava da vivere, praticando la pesca. Ogni mattina all’alba lasciava il porto, per farvi ritorno sul far della sera.
Partiva sia con il tempo bello, che con il tempo cattivo; non temeva né i capricci del vento, né le burrasche del mare.
Molti nell’isola lo guardavano con diffidenza: appariva troppo spericolato per essere un comune pescatore. Soprattutto la moglie era stata diversa da ogni altra donna e certamente la sua perversa diversità aveva esercitato influssi nefasti anche su di lui, rendendolo dapprima più temerario, poi sempre più schivo ed infine indubbiamente un po’ folle.
Anna era stata la sua rovina; a poco a poco aveva introdotto in casa la sfortuna e, come se non bastasse, lo aveva progressivamente allontanato dal lavoro. Eppure gli era sembrata una ragazza come tante, quando l’aveva adocchiata durante la processione del Santo Patrono; anzi, gli era parsa più modesta e più timida delle altre e se ne era innamorato.
Ad onor del vero, Anna non era particolarmente bella: aveva il viso magro con gli zigomi sporgenti, i capelli rossi raccolti in una lunga treccia e gli occhi grandi e neri risplendenti di una luce misteriosa. Gli era piaciuta per la sua serietà ed in special modo perché era di poche parole, proprio come lui.
L’aveva sposata dopo un periodo piuttosto breve di fidanzamento.
I primi anni di matrimonio erano stati sereni. Giovanni ne era soddisfatto: lavorava per lunghe ore senza posa e, quando a sera rincasava, la moglie lo accoglieva sorridente. Trovava la casa pulita, il cibo caldo, gli abiti in ordine.
Inerpicandosi su per la collina, si rallegrava non appena la scorgeva seduta in attesa sul muretto del cortile. Nessuno prima di lei lo aveva mai aspettato: di sicuro gli voleva bene, quantunque non sapesse dirglielo. A volte guardandola, avrebbe voluto indovinarne i pensieri. Allora sorprendeva gli occhi di lei assenti, smarriti nel vuoto alla ricerca di immagini remote.
La donna trascorreva lunghe e monotone giornate in casa e discendeva la collina in fretta solo per il disbrigo delle quotidiane necessità. Si recava a fare la spesa in paese, o andava ad annaffiare l’orto, che si trovava in basso, nelle prossimità della spiaggia. Di rado faceva brevi visite ai genitori, a cui poco aveva da dire e nulla raccontava della vita di giovane sposa.
Un giorno Giovanni, ritornando dalla pesca, la sorprese mentre lavorava a maglia. Ciò che le sue mani stavano modellando aveva la forma di una scarpetta da neonato. Al suo sguardo interrogativo, Anna rispose con un semplice movimento di assenso del capo, mentre il viso le si ricopriva di un violento rossore.
Così seppe che aspettavano un figlio. La futura mamma sembrava tranquilla e sferruzzava volentieri: confezionava scarpine, golfini, cuffiette, ghettine; ricavava bavaglie e grembiulini; preparava fasce e triangolini.
Solo per un istante Giovanni credette di vedere accendersi una luce negli occhi di lei, quando recuperò la vecchia culla di legno, in cui aveva dormito bambino, per verniciarla ed esporla all’aria aperta.
Intanto il tempo passava ed il corpo di Anna un po’ appesantito aveva assunto un’andatura più lenta e pigra. Tutto era ormai pronto per accogliere il neonato, che nacque in una fredda mattina d’inverno.
La madre ne sentì i primi vagiti, ma non poté stringere a sé la propria creatura, perché la levatrice e le altre donne che l’avevano assistita se ne impossessarono, ritirandosi a confabulare in cucina. I vagiti divennero più fiochi, poi cessarono. Quando la puerpera chiese di vedere il neonato, le fu risposto che sarebbe stato opportuno evitarlo. Le comari cercarono di consolarla, assicurandole che avrebbe messo al mondo molti altri figli sani. Quella volta non era andata così, ma non sempre nella vita le cose vanno come si desidera.
L’essere che Anna aveva partorito aveva una forma affusolata, che ricordava vagamente quella di un delfino. No, non sarebbe mai diventato un uomo; era un mostro e perciò lo avevano fatto morire, non legandogli il cordone ombelicale. Mai avrebbe potuto avere una vita normale, un proprio posto nel mondo; avrebbe creato solo gravi problemi alla famiglia; per questo, con il consenso di Giovanni le comari ne avevano decretato la morte.
A quelle parole Anna non rispose; gli occhi rimasero freddi ed asciutti: forse segretamente condivideva la loro scelta; forse la condannava; forse già la sua mente di mamma delusa progettava la nascita di un nuovo bambino; forse non riusciva ad esprimere l’amarezza che la divorava.
Giovanni evitò di parlare con lei di quel figlio, ma, quando la vide riprendere la vita di sempre con ostentata indifferenza, pensò che sua moglie fosse una donna dura ed insensibile.
Qualche tempo dopo avvenne qualcosa che, come una ventata di calore, ravvivò quella casa rabbuiatasi prematuramente. L’uomo ne lesse i segni premonitori sul volto di Anna velato da uno strano pallore e negli occhi di lei, che lo fissavano soffusi di un’insolita tenerezza. Con grande sorpresa, ritrovò la vecchia culla in attesa accanto al grande letto di ferro della camera.
Un brivido di gioia lo scosse quando ebbe la certezza che sarebbe diventato padre: avrebbe generato un figlio sano, pronto a cancellare i torti e l’antica vergogna. Anche la giovane sposa con il piccolo tra le braccia avrebbe riacquistato il timido sorriso d’un tempo e si sarebbe sentita più lieta e meno sola, dal momento che una nuova speranza avrebbe illuminato il futuro.
Tuttavia il futuro della coppia sarebbe stato assai diverso da quello che essa segretamente andava prefigurandosi…
Tina Mazzella
[Ianara. (1) – Continua]