di Tina Mazzella
…ispirata dalla vita di mia madre – Immacolata Mazzella – che avendone tutte le capacità, avrebbe voluto studiare e dedicarsi alla pittura, ho scritto questo racconto “Ali nell’azzurro”, in cui ho cercato di tratteggiare la condizione femminile a Ponza negli anni ’30.
[Dalla presentazione dell’Autrice]
Per le puntate precedenti, digitare: Ali nell’azzurro – nella sezione CERCA NEL SITO, nella colonna di sin. in basso, sul frontespizio
IV.
Paola si era chiesta più volte perché Maria avesse accettato il proprio ruolo di madre di un essere straordinario, che non sarebbe mai stato completamente suo figlio. Era stata davvero felice di piegarsi alla volontà altrui e di dare alla luce quel Cristo che avrebbe salvato il mondo?
Forse come lei e come ogni donna, la Vergine bambina aveva vagheggiato altri mondi, altre libertà, che nessuno aveva voluto concederle. Così le avevano assegnato la sua parte, che lei, come ogni donna costretta, recitava senza gioia.
Lo sguardo assorto e pensoso del dipinto sembrava rafforzare gli affannosi dubbi senza risposta di Paola. Lei ne lesse nell’espressione dolorosa degli occhi la propria personale tristezza, la propria disperata ricerca di una libertà ancora senza un preciso nome; vi ritrovò le prime incerte speranze e le recenti disillusioni di adolescente confusa. Comprese che in quella immagine aveva proiettato tutto il bisogno di giustizia e forse la paura di crescere.
Allora quello scenario realizzato dalle sue mani la rese fiera; si rendeva conto che per la prima volta nella vita aveva creato qualcosa di veramente suo, qualcosa che avrebbe potuto durare nel tempo e che magari sarebbe sopravvissuta a lei stessa.
Come era bello dipingere!
Dipingere era come creare qualcosa dal nulla; significava trasferire sulle tele i più riposti sentimenti; animare paesaggi fantastici; conferire una parvenza di eternità ai pensieri ed alle immagini fugaci della mente; dipingere era dunque vivere e far rivivere.
Nelle giornate di bel tempo, quasi di soppiatto si rifugiava sul tetto a terrazza della sua abitazione, per osservare la natura e per imprigionarla nei quadri.
Da quel luogo sopraelevato dominava tutto il paesaggio: se guardava ad Oriente, gli occhi spaziavano nell’azzurro vasto e fluttuante creato dall’incontro tra cielo e mare; ad Occidente, la vista si perdeva nelle valli coltivate: c’erano le vigne, i gelsi a custodia degli orti e, più in basso, si stendeva qualche campo di grano.
Le bianche colline brulle su cui spuntavano ciuffi d’erba e cespugli, viste da lontano, sembravano più elevate e maestose. Ma cosa c’era al di là delle colline, al di là del mare, della linea circolare dell’orizzonte? Di certo città, villaggi, montagne ed uomini, che sognavano, amavano, speravano proprio come lei. Se un giorno anche lei, come già i fratelli, avesse potuto partire, guardare, sentire, parlare!
Tuttavia lassù Paola era libera e felice, poteva catturare i colori del sole al tramonto o il verde cupo degli alberi; poteva immaginare paesaggi di neve: davvero la neve era così candida, così soffice ed impalpabile come appariva nella cartolina che il cugino militare le aveva inviato dalla montagna?
E aveva un profumo la neve?
Chissà se era più fresco del profumo del mare?
Era primavera avanzata quando Paola fece quel sogno…
Vide un cigno immobile sulle rocce variamente colorate e scoscese della scogliera.
Aveva un aspetto maestoso, quasi regale: il collo lungo era candido e le piume morbide e vellutate ricoprivano il corpo come un folto mantello.
Paola, cercando di non far rumore, provò ad avvicinarsi all’animale, che tuttavia ne avvertì ugualmente la presenza e, spaventato, tentò di levarsi in volo.
Ma no, non poteva librarsi nell’aria.
Perché non volava? Era come incatenato allo scoglio da una forza potente e misteriosa, da cui non riusciva a liberarsi. Inutilmente incominciò a dibattersi; disperatamente, ma invano, cercava di aprire le ali, le agitava senza alcun risultato; in quella estenuante lotta appariva goffo ed impacciato: non c’era più traccia della precedente fierezza. Dal becco uscivano lamenti penosi e prolungati.
Paola avrebbe voluto aiutarlo, ma non ci riusciva; l’uccello sembrava irraggiungibile e la scogliera diveniva sempre più invalicabile.
Improvvisamente si svegliò con il cuore che le batteva forte.
Dai vetri della finestra penetrava nella stanza un lieve chiarore, che annunciava il nuovo giorno.
Senza esitare, la giovane abbandonò il letto, aprì piano la porta e, in punta di piedi, salì le scale che portavano sul tetto. Ritrovò tele e pennelli sulla solita cassa posta accanto all’uscio della terrazza; lo spalancò e fu subito all’aperto. Ricordava nitidamente il cigno e l’impervia scogliera che lo aveva imprigionato.
Temendo di dimenticare qualche particolare, lavorò velocemente; era come sospinta da una mano invisibile e sconosciuta che la incitava senza posa.
Ben presto le righe, i segni, i colori delinearono una figura chiara e precisa.
Sullo sfondo appena rosato di un pallido sole nascente si stagliava imponente la magica scogliera lambita dal mare.
Sulla sua cima più alta, più maestoso che mai, con le ali aperte lanciate verso il volo, campeggiava il cigno. Sembrava identico a quello che aveva visto in sogno, in realtà gli assomigliava soltanto in parte.
La nuova creatura era elegante, superba, vittoriosa, ma soprattutto libera.
Le sue mani, i suoi colori le avevano dato la vita e la libertà, aiutandola a vincere il destino di prigionia e di morte. Quelle mani l’avevano lanciata nel cielo azzurro, verso l’infinito.
Ed il suo cigno lassù era felice.
Paola credette di leggere negli occhi selvaggi dell’animale una profonda gratitudine.
Allora capì, ritrovò in quell’attimo la risposta che da tempo cercava, mentre due calde lacrime di commozione le rigarono il viso e si fermarono sulla tela.
Finalmente sapeva che non esistono barriere, né costrizioni o divieti capaci di bloccare l’attività fantastica della mente umana.
Solo il pensiero può liberare l’uomo dagli affanni, dalla realtà contingente, per condurlo alla ricerca dell’infinito.
La fantasia pura e leggera può costruire mondi incantati, può creare uomini e cose mai viste prima, può farci sentire il caldo del deserto ed il profumo fresco della neve; forse può attenuare l’amarezza per le ingiustizie subite, può ripagarci del tempo che passa, dando alla nostra grigia esistenza una vaga illusione di immortalità.
Tina Mazzella
[Ali nell’azzurro. (4) – Fine]