di Sandro Russo
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La cocaina è un’altra delle ‘droghe etniche’ che, sottratta a popoli che per millenni ne hanno ben conosciuto le proprietà e fatto un uso tradizionale, trasferita in un altro contesto culturale, come molte ‘armi improprie’, è sfuggita di mano ed è ‘esplosa’.
Cenni storici – La presenza di cocaina è documentata accanto a teschi ritrovati in antiche tombe peruviane e nei capelli di mummie cilene del 2000 a.C. Sacchetti di corda contenenti foglie, fiori e anche una forma masticata di coca sono stati ritrovati in corredi funebri antecedenti al 2500 a.C., venuti alla luce ad Huaca Prieta, sulla costa settentrionale del Perù.
Da tempo immemorabile i popoli andini masticavano foglie di coca per resistere alla fame, alla sete e al duro lavoro in quota. Gli indigeni usavano masticare le foglie secche o polverizzate mescolate con una piccola quantità di materiale alcalino (calce, cenere di diverse piante o di ossa), per svolgere al meglio il principio attivo dalle foglie masticate.
In epoche più recenti, furono gli Incas, tra le civiltà pre-colombiane, (tra il XIII e il XVI secolo) a fare della cocaina il fulcro del sistema socio-politico e religioso, con un uso peraltro ritualizzato e rigidamente regolamentato.
Amerigo Vespucci (1454 – 1512) fu il primo europeo a descrivere la masticazione di foglie di coca presso varie popolazioni del Nuovo Mondo. Nel suo resoconto sulle abitudini selvagge della popolazione del Venezuela, egli descrisse la pratica di masticare le foglie di ‘una certa erba verde’, che provocava in loro ‘strani effetti’.
L’interesse europeo per gli effetti psicostimolanti della cocaina risale al diciannovesimo secolo, ispirato dagli affascinanti resoconti di naturalisti, alcuni dei quali descrissero le proprietà della coca avendone provato personalmente gli effetti. Tra questi si distinse per la sua originalità Paolo Mantegazza, illustre neurologo italiano.
Nel 1884 Sigmund Freud pubblicò il primo dei suoi studi su questa sostanza, che raccomandava come panacea per una varietà di malattie, non ultima la sindrome depressiva.
Numerose ricerche furono quindi condotte sulla ‘nuova’ sostanza, a opera di prestigiosi studiosi. Carl Koller, un oculista amico di Freud, sperimentò l’alcaloide come anestetico locale per diversi interventi chirurgici all’occhio (proprietà tuttora utilizzata, con sostanze derivate dalla molecola di base, denunciata al suffisso -caina).
L’abitudine di sperimentare i farmaci su se stessi invece che sugli animali, diede però a questa scoperta un risvolto drammatico: questi studiosi svilupparono una grave forma di tossicodipendenza, che si sarebbero trascinati per il resto della vita.
La controversia sulla validità dell’impiego della cocaina e sui pericoli d’abuso si colorò del fantasioso stile dell’epoca. Si ipotizzò anche che Robert Louis Stevenson avesse concepito l’inquietante trama del suo Dr. Jekyll e Mr. Hyde sotto l’effetto della cocaina, che lo stesso Freud gli aveva prescritto come rimedio contro la tubercolosi.
(The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, 1886). La storia raccontata rappresenta il culmine dell’indagine stevensoniana sulla scissione della personalità
E l’oculista Arthur Conan Doyle, più noto come ideatore del personaggio di Sherlock Holmes, prese a riferire, nei suoi racconti, dell’uso di cocaina fatto dal suo eroe.
Nel 1863, in Francia dove era emigrato per lavoro, un giovane chimico corso – Angelo Francesco Mariani – inventò una bevanda tonica, realizzata con vino di Bordeaux nel quale erano messe a macerare foglie di coca. Ogni oncia (28,41 ml) di Vin Mariani conteneva l’11% di volume alcolico e 6,5 milligrammi di cocaina. L’etanolo presente nel vino fungeva da solvente ed estraeva la cocaina dalle foglie, dando origine ad un composto chiamato coca-etilene, che rafforza decisamente l’effetto di entrambe le droghe.
Mariani immise sul mercato una vera e propria linea di prodotti a base di questa sostanza, come il thé-, le pastiglie- e le losanghe Mariani. Lo Zar e la Zarina, i regnanti inglesi, i sovrani svedesi e norvegesi, ecc. furono assidui consumatori del suo vino; e perfino il papa Leone XIII (papa Pecci, dal 1878 al 1903), utilizzato come testimonial d’eccezione del prodotto, in illustrazioni d’epoca (…altri tempi! – NdR). Così come ne facevano uso abituale i più grandi intelletti del tempo (Dumas, Zola, Duse, ecc.)
In Italia, l’impiego di cocaina restò un’abitudine alla moda ancora negli anni venti.
Anche gli imprenditori americani giudicarono vantaggioso investire nel mercato dei prodotti a base di cocaina. Fu così che J. S. Pemberton lanciò inizialmente la French Wine Coca e, durante il proibizionismo, la famosa bevanda (Coca-Cola) ottenuta con un estratto non alcolico di foglie di coca e noci di cola africana (Cola acuminata, Fam. Sterculiaceae), ricca di caffeina, il tutto disciolto in uno sciroppo di zucchero.
Il successo della coca e dei suoi preparati fu sostanzialmente legato ad un impiego voluttuario che coinvolse inizialmente soprattutto le classi più elevate.
Le conseguenze a livello medico indussero le autorità a prendere provvedimenti in merito tanto che in alcuni stati americani il commercio e l’uso della cocaina senza prescrizione medica furono dichiarati illegali; l’emanazione del “Pure Food and Drug Act”, del 1906, costrinse i produttori della Coca Cola ad eliminare la cocaina dalla ricetta.
Ma a partire dal 1880, la nascente industrie farmaceutica avevano reso disponibili grosse quantità del prodotto, che poteva essere somministrato per via endovenosa o più facilmente aspirato. La pratica dello sniffing fu di gran lunga preferita dai consumatori, perché non lasciava tracce sul corpo e consentiva un impiego personale e privato. Questa modalità di somministrazione contribuì notevolmente alla diffusione dell’uso della cocaina in ogni classe sociale e culturale.
La seconda guerra mondiale portò con sé una recrudescenza del suo uso [insieme a quella di altre ‘droghe’ (leggi qui)]. Diversi rappresentanti dei vertici politici e militari di entrambi gli schieramenti furono probabilmente cocainomani.
L’‘uso sociale’ della cocaina è poi proseguito, fino ai giorni nostri, interessando la gente dello spettacolo e musicisti, rappresentanti del jet-set e letterati, tanto in Europa quanto in America.
Negli anni ’90 questa droga – prima negli Stati Uniti e poi anche in Europa e in Italia- ha conquistato larghe masse di adepti in ogni strato sociale, tanto da essere considerata tuttora la ‘droga emergente’ e a più largo impatto sociale (insieme all’alcool).
Blow è un film del 2001 diretto da Ted Demme, con Johnny Deep e Penélope Cruz. La storia è basata su un romanzo di Bruce Porter su George Jung, un trafficante di droga (cocaina) legato ai narco-trafficanti colombiani, attivo negli anni settanta e ottanta.
Blow è anche una interessante testimonianza della trasformazione della cultura americana negli anni ’70 e ’80’; nel film vi è un’accurata descrizione delle mode, degli stili di vita, dei sogni e dei desideri dei giovani che esplodono negli States che, in particolare con l’espansione della cocaina, si diffondono e arrivano a colpire tutta la società dell’American Dream, da Hollywood alla cittadina di provincia. Il tutto con il sottofondo di una colonna sonora che include nomi molto in voga del periodo, come Cream, Bob Dylan e Rolling Stones.
Sandro Russo
Nota – Questi articoli costituiscono la trasposizione in forma scritta degli incontri avuti dall’Autore con i giovani della scuola, il 2-3 aprile u.s., presso l’ITC di Ponza Le Forna
[Informazioni di base sulle droghe d’abuso (10). Cocaina (1) – Continua]