di Lino Catello Pagano
Ora devo tornare indietro nel tempo, e siamo al 1959: avevo circa 11 anni ed in casa c’erano due agguerriti combattenti: mio nonno e mio papà. Combattenti non perché avessero fatto la guerra, ma purtroppo per essere due cacciatori incalliti. Al tempo delle tortore andavano a tortore, al tempo delle quaglie lo stesso; così per ogni povero uccello quando era la sua stagione di passo: la strage degli innocenti!
A Ponza, quando avveniva il passaggio degli uccelli migratori scoppiava la guerra! Arrivavano molti ‘forestieri’ per la caccia; restavano per giorni, addirittura settimane; si mettevano d’accordo con le pescherie per mettere le prede al fresco.
I miei andavano via al mattino verso la Guardia e il Fieno e tornavano la sera pieni di trofei legati in vita per far vedere la loro forza.
Una mattina di marzo, quando passano le arpaie (le poiane), mio padre si alzò presto e mi invogliò ad andare con lui a caccia. Faceva freddo, mi disse di coprirmi bene. Ci avviammo verso la Guardia passando dalla masseria e dal bosco di Maria Stella: si faceva prima da dove abitavamo noi.
Arrivammo in cima che incominciava ad albeggiare. Io camminavo e dormivo. Mio papà aveva la sua postazione di vedetta in mezzo a due grandi macchie di ginestre; a terra vi era la paglia; si stava seduti all’asciutto e invisibili ai volatili. Si doveva andare vestiti di scuro per confondersi con la vegetazione; si stava ore, ore interminabili ad aspettare che un paio di ali spuntassero all’orizzonte tra Gavi e la punta di Le Forna. Il primo che avvistava qualcosa era come un allarme tra tutti i partecipanti alla festa…
Mio padre mi diceva: – Mettiti giù e non muoverti, non deve volare una mosca! Avevamo una cagna di nome ‘Ricchezza’, chiamata così, perché quando faceva i cagnolini, non ne faceva due tre… Noo! …ma dodici tredici!
Era una ricchezza per noi!
Anche il cane capiva quando dovevamo stare in silenzio; si sedeva e guardava mio padre: sembrava una statua, immobile fino alla morte, era nata per fare quel mestiere! Io lì tra i cespugli con gli occhi al cielo per vedere cosa succedeva; se era un falso allarme oppure erano in arrivo le povere arpaie… Guardavo da dietro la macchia, ma si vedeva poco, così guardavo mio padre, i suoi movimenti lenti, portare il fucile alla spalla e tenerlo con le canne abbassate, finché le povere bestiole non fossero a tiro. Quando le arpaie arrivavano alla distanza giusta, scoppiava la guerra! I pallini volavano dappertutto!
Quando vedevo il cane partire come una fionda, allora mettevo la testa fuori piano piano, finché la battaglia non si fosse esaurita del tutto. Allora c’era un corri-corri – Ho sparato prima io..! No, ho sparato io per primo! …e via così. Dopo la guerra coi fucili iniziava a guerra delle parole tra i cacciatori, anche se poi il risultato era che chi aveva il cane più bravo si ritrovava con la preda in mano …E noi avevamo Ricchezza che immancabilmente arrivava con la sua preda: era imbattibile!
Finita la giornata di guerra si faceva ritorno a casa.
Appena mio padre dava le prede in mano alla nonna, aveva subito il verdetto:
– Chest’ so’ chiù tosta ’i ’na sol’i scarpa; hann’a còcere ’nu sacc’ ’i tiempe! – diceva che erano dure più di una suola di scarpe e che dovevano cuocer per molto tempo… Ed era vero, perché quando le mangiavi erano veramente dure! Oggi non lo farei per nessuna cosa al mondo, cacciare dei poveri volatili indifesi; ma allora erano altri tempi… La carne a casa si mangiava solo il giorno di San Silverio; la carne era per le famiglie ricche, in casa nostra i legumi erano il sostentamento della famiglia con qualche uovo e qualche pollo, ma prevalentemente legumi con la pasta fatta in casa. Si macinava prima il frumento misto, si recuperava la farina e la si impastava con un pochino d’acqua; poi si tagliuzzava tipo maltagliati… e questi erano i nostri pasti.
…Altri tempi. Ma ancora oggi si spara ai volatili, per divertimento.
Adesso mi farò un sacco di nemici, ma che gusto c’è ad uccidere degli animali così fieri e perfetti, o anche le bestiole più piccole. Negli sport si compete con eguali possibilità di vincere; ma qui dov’è la parità? …E dov’è lo sport?
Lino Catello Pagano
Silverio Tomeo
4 Maggio 2012 at 06:03
Cosa mi hai fatto tornare in mente! La vostra cagna “Ricchezza” era la madre di “Carluccio”, il cane di mio zio Silverio detto “o’ chauffer” (mai capito perchè!). E forse anche di quello successivo, detto “Zaccagnino” in ironico omaggio a Zaccagnini, il politico democristiano…. Quei cani di Ponza, tutti bracchi da caccia variamente rimescolati, prima che molti turisti abbandonassero sull’isola i loro cani di foggia diversa, erano un prodigio di fedeltà, acume, anche simpatica autonomia. Mi riconoscevano da un’estate all’altra, con la memoria olfattiva. Mio zio mi raccontava di uno che “nell’esecizio del suo dovere” acchiappò a volo una tortora ferita sull’orlo di una scarpata, cadendo nella medesima eroicamente…Quando oggi parliamo di alcuni politicanti in cerca di fortuna e di potere, varrebbe la pena di rispolverare quel detto: “E’ meglio ‘o cane mio!”…
Concordo che quel tempo di caccia libera va considerato un ricordo del passato, e non va riprodotto nel presente. Mia nonna Bettina mi faceva trovare gli uccelletti sott’olio, presi “apparando” le trappole con i vermetti di terra sulle catene. Nella fame della guerra e del dopoguerra anche quella fu una risorsa, oggi sarebbe odioso continuare queste pratiche, come pure qualche deficiente continua certamente a fare.