di Pasquale Scarpati
Le passeggiate con i miei vanno in due direzioni opposte: una verso il Porto, ed un’altra, ahimè, verso i Conti.
Nelle sere estive, dopo cena, ci incamminiamo verso il porto per prendere un po’ di aria fresca. Si arriva fino al Lanternino. Alla punta del molo ci accoglie una brezza sottile che scende dal buio dei Guarini, rapida e leggera, e smuove dolcemente il mare. Nella piccola rientranza dorme tranquilla, quando c’è, la nave, protetta soltanto da una piccola catena posta all’inizio della passerella.
Se non c’è, la vista può spaziare per tutta la rada. Rassomiglia al fondo nero di un’enorme padella annerita dal fumo del carbone o della legna che arde nei fornelli di una cucina in muratura.
Uno sportellino in ferro chiude la nicchia dove viene messo il combustibile; all’occorrenza lo sportellino si apre per poter ravvivare la fiamma agitando un ventaglio o un pezzo di cartone. Il fumo acre si espande dappertutto mescolandosi agli odori di ciò che si cucina, annerisce le pentole e le pareti ed anche le pignatte di creta di diverse forme e dimensioni. Queste si usano, tra l’altro, per portare a cottura, lentissimamente, i legumi, soprattutto fagioli. Essi, una volta cucinati, non solo ammorbidiscono delle alte fette di pane raffermo di più e più giorni ma, sazi di acqua e grati per la lenta cottura, danno alle stesse un sapore incomparabile. Nei giorni di festa o in speciali ricorrenze, nelle pignatte dalla forma più larga, viene cotto anche il sugo, piuttosto grasso, che serve per condire la prelibata pasta su cui si può mettere una spruzzata di parmigiano o di pecorino secco e salatissimo. Esse non si assumono soltanto la responsabilità di sfamare gli uomini, ma anche quella di farli divertire. Il giorno successivo alla festa di San Silverio, infatti, qualcuna di loro, quella più larga o, a volte, una padella di rame, non resistendo al fuoco dei fornelli domestici, preferisce essere sospesa per aria, ben visibile a tutti, per poter annerire il viso di quel temerario che, con la lingua o con la bocca, con le mani legate dietro la schiena, stando sulle spalle di un altro, osa e tenta, con grande sforzo e, non di rado, con disappunto, di staccare la monetina tenacemente incollata al di sotto del suo fondo. In seguito una sua sorella, panciuta, rilascia il suo contenuto – di norma acqua o farina- sulla testa di colui che osa infrangerla con un bastone, pur avendo gli occhi bendati.
Luci sparse qua e là, come puntini, si aggrappano sulle case di Santa Maria. Poche fioche lampadine, che emanano una luce giallina, si protendono dai muri delle case di Ciancòss; la loro luce non riesce neppure a distendersi sul vicino mare. Ma quella monotonia della semioscurità viene improvvisamente interrotta dalla lampadine di Gennarino a mare, che segnano l’inizio della parte più viva della rada. Tra l’altro si sente una musica che proviene da quella zona, là dove la costa rientra un pochino: don Ciro allieta le serate estive con canzoni napoletane: Carosone, Aurelio Fierro, Giacomo Rondinella, Fausto Cigliano… Ma non sono solo le piacevoli canzoni ad infrangere il silenzio: alcuni furastieri, infatti, o i giovani più alla moda, amano strusciare i piedi calzati con zoccoli di legno. Il loro frastuono, nel silenzio, si espande dappertutto, specialmente quando calpestano il basolato della Piazza, o passeggiano nella parte più stretta di corso Carlo Pisacane. Io, però, sono contento non solo perché mi piace, ma anche perché ho trovato finalmente gli… alleati, anche se più grandi di me, e le vecchie una volta tanto sono costrette a subire…
Mai scendiamo le scalette che portano dietro la Caletta. Qualche volta si sale verso il Lanternino. I miei non amano passeggiare per sopra il porto, preferiscono la quiete di sotto Mamozio e della banchina. Qualche volta non si rientra subito a casa ma ci si allunga fino a Sant’Antonio dove c’è qualche panchina su cui sedersi; se sono occupate ci si siede sul muretto che delimita la spiaggia. Non potendo allontanarmi dai miei, lo sguardo cerca di penetrare nel buio, non troppo distante, dell’acqua salata, ma subito è attratto, in tutta la sua lunghezza, dalla schiuma bianca che, in modo disomogeneo, appare dall’oscurità e l’udito è sollecitato dal piacevole e dolce sciabordare dell’onda che muore dolcemente sulla battigia e poi, come le alterne vicende della vita, si inspira, si scioglie e si infrange per ricominciare, incessantemente. Penso agli amici e al summariello…
La domenica pomeriggio, per me, è uno strazio: vorrei restare con gli amici ed eventualmente andare al cinema, prima da don Michele Regine, arret’ u’ Curr’duro e poi alla sala nuova, quella del compare Barbette che sta sulla Via Nuova verso Chiaia di Luna. Se non c’è nessuno che mi aiuta sono costretto ad andare ’ncopp i Cuont’ dove abita nonna Tumm’tella.
Un giorno mi vengono in aiuto Rita ed il fidanzato Arcangelo. Chiedono il permesso a mio padre se io possa andare con loro al cinema. Mio padre acconsente ed io sono felicissimo. Ben presto questa felicità si tramuta in paura perché il film si intitola “La scala a chiocciola”. Non faccio altro che nascondere il viso e chiudere gli occhi. Non vedo l’ora che inizi l’intervallo, quando una voce sale al di sopra del brusìo, aprendosi un varco nel denso fumo delle sigarette. Proviene dalla destra di chi entra, giù, in fondo alla sala; va ripetendo: O’ spass, o’ spass ,’i nucellìn’ ame’.
Minicuccio ’a voccastorta è conosciutissimo non solo da noi bambini – vende leccornie già ben confezionate ’nt’i cuopp’ o cupp’tiell’ rispettivamente da 100 e 50 grammi -, ma anche dagli adulti perché è il banditore ufficiale del Comune. Allorché deve fare un annuncio si ferma lungo le strade in posti strategici e, per richiamare l’attenzione, spinge il fiato in una trombetta e poi, con la sua voce particolare, inizia a gridare sempre così: Eh, oh, eh oh….. declamando, poi, ciò che deve dire. Non esistono, o sono poche, le comunicazioni scritte da parte dell’amministrazione comunale! Ma non è solo questa la sua specialità. Mi hanno detto, infatti, che, nel tirare le somme, incolonna una serie di zeri, solo zeri, ma che, stranamente, il totale risulta sempre esatto. Penso: chissà… questo metodo sarà migliore delle tabelline che prima il maestro Tatonno e poi sua moglie, la signora Lola, ci costringono ad imparare ripetendole più e più volte, come una cantilena; tabelline sempre ben in vista, poste anche sull’ultima pagina dei quaderni dalla copertina rugosa e scura e dai fogli con i bordi rossi (guai ad oltrepassarli e guai a fare le orecchie!).
Minicuccio ha un carrettino con tanti fronzoli, che tira o spinge con le proprie forze, ed un negozietto su corso Carlo Pisacane nei pressi dove abitano zio Pasquale e zia Maria, con le figlie Civitina e Rosalba. Civitina è alta e snella, come nonna Civitella, ha un bel portamento, e non è sposata. Rosalba è mia coetanea, con lei, quando è possibile, gioco volentieri. Zio Pasquale è uomo rude e dice sempre che è forte come un giovanotto. Zia Maria frequenta la chiesa con assiduità. Ambedue affabili e pieni di premure.
Pasquale Scarpati
[Le passeggiate per terra. Al Porto e verso i Conti (1) – Continua]