di Martina Carannante
Come ogni fine settimana, mi preparo per tornare a casa. È una bella giornata di sole e l’aliscafo attracca nel Porto. Cinque minuti in moto e sono a Santa Maria. Ai bordi delle strade ci sono le prime bancarelle: il tiro al bersaglio, il paninaro, il banchetto delle caramelle e i cinesi con tutti i loro congegni. C’è un fervore nell’aria, vi chiederete perché… sono i giorni che precedono la festa del mio rione: San Giuseppe. Sono le sei e si sente: Bumm… Bamm… La novena è uscita, fuori la Chiesa c’è un brulicare di persone, i bimbi corrono per tutta la Loggia.
Torno indietro nel tempo a quando io ero bambina; appena suonava la campanella dell’uscita da scuola, insieme ai miei amici, correvamo fino alla sacrestia, ci vestivamo da “chierichetti” ed eravamo pronti a celebrare messa con il parroco di turno. Finita la celebrazione eucaristica rimanevamo in Chiesa fino a tarda sera a preparare la messa delle undici del 19 marzo; dovevamo essere prontissimi per l’arrivo del vescovo, non potevamo sbagliare.
Con il passare del tempo, non potevo più fare la “chierichetta” e così mi hanno “arruolata” nel coro, anche lì c’era gran fermento in questo periodo: bisognava provare le canzoni per la novena, rispolverare l’Inno iniziale e finale, le canzoni dell’offertorio e tutta la “messa cantata” con il vescovo. Con il mio trasferimento a Formia, le attività quotidiane ponzesi le ho abbandonate, ma il legame con la festa di San Giuseppe è rimasto. Quel legame così forte,f orse perché trasmesso proprio da mio Nonno Aldo, che insieme a Don Salvatore Tagliamonte avevano rifatto la statua.
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Era l’anno 1951. Don Salvatore diventa parroco della chiesetta in località Santa Maria. L’edificio, come la stessa isola, aveva sofferto l’incuria del periodo guerra; andava restaurata e risistemata e con essa anche la statua di San Giuseppe al centro della Chiesa. Il simulacro era rovinato dai tarli e ricurvo in avanti; per non farlo cadere, il parroco ci aveva messo delle ‘zeppe’ in modo che rimanesse dritto. Don Salvatore, ogni volta che ci passava sotto pensava tra sé e sé: – Si ’e cade’… cad’ i nott’, e no i juorn’! La statua non poteva neanche esser portata in processione, a causa delle sue condizioni, così, per vari anni, si pensò di usare la statua di San Rocco al posto di quella, molto simile, di S.Giuseppe. Don Salvatore e mio nonno vollero provare ad aggiustare la statua originale che fu portata in Via Loggia, in una casa vicino al Cantinone. Iniziarono a capovolgere la statua e tagliare la base; non essendo restauratori, provarono a riempirla di una poltiglia fatta di sughero macinato e colla di pesce. Il giorno dopo, quando si recarono a controllare la situazione, trovarono la statua rigonfiata, così da sembrare una “dama dell’ottocento”; con l’umidità la sagoma aveva ceduto. I due coinvolsero altre persone del rione tra i quali Gioacchino u’ Mut’ che, appena vide la statua, gesticolando fece capire loro di non far vedere a nessun abitante di Santa Maria quella strana creazione, altrimenti avrebbero fatto una brutta fine. Mio nonno pensò di rimettere in piedi la statua e di svuotarla; intanto fecero preparare una base di legno dal falegname Gennaro Mazzella. Una mano della statua era fortemente danneggiata e Alberico Mazzella si prodigò per ricostruirla, ma la prima volta venne fuori una manona spropositata, poi risagomata con il proseguire del lavoro. La statua fu tagliata a metà, nella base vennero fissati due tubi zincati (delle ‘canne’ per impianti idrici) con dei bulloni e intorno ad essi fu fatta una sagoma con i sacchi, che all’epoca contenevano lo zucchero, e cosparsi di gesso. Man mano che il gesso si asciugava se ne ripassava altro e con le mani si modellavano le pieghe del mantello. Per molti giorni continuarono a levigarlo con una carta vetrata sottilissima; la statua ora si reggeva, ma non aveva i colori: ci pensò Silverio Di Fazio detto u’ Pittore. Così finì il restauro e il risultato finale non fu niente male, tanto che la popolazione ne rimase entusiasta. La statua di S. Giuseppe fu benedetta nel 1955 e posta in Chiesa.
La statua è stata restaurata per la seconda volta nel 2008, grazie al parroco Don Andrea e al restauratore Umberto Berrino. Dall’ultimo restauro è emerso che la statua era di origine settecentesca; l’ignoto artista che la creò doveva far parte della scuola napoletana.
Martina Carannante
Ringraziamenti & Riferimenti
Le fonti del primo restauro sono appunti dettati da Don Salvatore a mia mamma, in una delle sue ultime visite; altri ricordi vengono da Paolo Mazzella, figlio di Alberico e da mio nonno Aldo.
paolomazzella
17 Marzo 2012 at 21:55
Un elogio a te, cara Martina. Ho letto a mio padre quanto da te sopra scritto, e dopo un sospiro dettato dai ricordi suscitati, mi ha catapultato a ritroso nel fantastici anni cinquanta. Onestamente se avessi la possibilità di viaggiare nel tempo, certamente sceglierei proprio quel periodo. Dai racconti, dalle foto, emerge la bella e meravigliosa Ponza, quella “vera”, dove tutti erano presi a lavorare, ad inventarsi un qualcosa da fare, per potersi permettere un boccone in piu’ da portare a casa. Alberico, mio padre spesso mi racconta dei bei momenti che trascorreva con l’amico Aldo, Generoso, e molti altri ancora. Tra i tanti racconti, gira e rigira si arriva sempre alla festa di San Giuseppe. Evento che dava la possibilità ai giovani di allora di poter stare insieme alle signorine del tempo, di indossare il vestito buono. Addirittura uscivano da casa in ciabatte, ma prima di raggiungere la Loggia che porta alla piazzetta della chiesa, dietro le parracine, indossavano le scarpe della festa, lontano dagli occhi indiscreti, lasciando le pantofole negli interstizi della parracina stessa. Il ‘concertino’ si svolgeva sopra un approssimato palchetto, fatto con delle tavole poggiate sui fusti dei carburanti. In molte occasione la serata veniva rallegrata dai racconti di Gennaro Mazzella, allora Direttore delle Poste. Oggi la festa si è evoluta moltissimo, ma conserviamo nella piccola, splendida chiesetta a Lui dedicata, la statua di allora, sempre quella. Personalmente ho fatto parte del comitato della Festa per circa 25 anni. Sono entrato per gioco, ma qualcosa mi ha catturato il cuore. Spero che San Giuseppe continui a rapire altri giovani, in modo da non far perdere questa festa ormai ben conosciuta e con una sua vita, una storia.
Evviva San Giuseppe.
Paolo Mazzella
francesca iacono
19 Marzo 2012 at 21:47
I lavori della chiesa di San Giuseppe iniziarono nel 1828 ma furono interrotti per moltissimi anni.
Il mio antenato Don Antonino Conte si prodigò per farli riprendere ma la chiesa fu ultimata solo nel 1895.
Fu benedetta dall’arcivescovo Monsignor Francesco Niola il 21 giugno 1895.
A Don Antonino Conte fu affidata la cura della parrocchia.