di Francesco Ambrosino
Per la prima parte dell’intervista, leggi qui
D – Tu hai conosciuto tutti i più importanti ospiti che Ponza ha avuto. Puoi descriverne alcuni? Ma a me interessa conoscere qual’era la spinta, la motivazione, la volontà: cosa cercavi in quelle relazioni esclusive? In che modo queste conoscenze riempivano la tua esistenza e contribuivano a farti felice?
R – La mia ricchezza, il mio immenso patrimonio è formato dalla gente che ho avuto occasione di conoscere. E tra questa gente il primo posto spetta agli isolani; sono loro, gli abitanti che vanno dall’Incenso alla Rotonda della Madonna, che mi hanno reso popolare: non ho mai rinnegato la mia ponzesità. Essere di Ponza era ed è un valore aggiunto. Rispondo alla tua domanda in modo semplice e sintetico: l’unica mano che non ho stretto è quella di quel Signore che veste di bianco. Solo al Papa non ho stretto la mano.
A Ponza ho conosciuto, tra i tanti altri, un presidente della Repubblica, Cossiga; due presidenti della Camera, Casini e Fini; due presidenti del Consiglio, Andreotti e Craxi. Ministri, deputati e senatori non si contano. Fra i grossi personaggi esteri, che ho avuto l’onore di conoscere e di frequentare, ci sono i Reali del Belgio, che frequentano Ponza da più di venti anni. Due soggetti eccezionali, incredibili, semplicemente inappuntabili: per esempio, quando mi vedevano arrivare al bar, dove facevano colazione, si alzavano in piedi e malgrado il mio imbarazzo loro aspettavano che mi sedessi prima io. Per parlare di democrazia bisogna andare a scuola da maestri del genere.
Mi dicevano spesso che avrebbero voluto conoscere l’interno di Palmarola. Figurati la mia gioia: nella “mia Palmarola” anche i reali del Belgio! Avevo solo un timore: il Re aveva avuto un infarto, e portarlo ad arrampicarsi su Vardella mi riempiva di responsabilità.
D – Parliamo dell’amicizia: hai avuto veri amici? Quale importanza hai dato alla ricerca dell’amicizia? Io credo che avrai avuto anche momenti tristi, ma che cosa ti ha aiutato a superarli: la tua forza d’animo, un’amicizia, la famiglia?
R – Io, sì, ho avuto amici, amici veri. Gente disposta e disponibile anche a sacrifici. Ho accertato questo in due terribili navigazioni, in una di questa c’era una tempesta con mare ’ncavigliato: grandi amici, grandi marinai, sono partiti per andare a prendere mio padre morto a Formia. Il Falerno e il Ponza non si erano mossi dai porti. Cose che non si dimenticano! Gli amici hanno messo sul tavolo le “medicine” adatte al mio fabbisogno.
Hanno sanato le mie malattie; nessun uomo è tanto uomo da poter stare senza amici.
Ricordati che per avere generosità, amicizia è necessario che tu metta a disposizione del tuo prossimo la tua povertà. Cosa difficile ma indispensabile.
D – La famiglia, tua moglie, i tuoi figli, quale ruolo hanno avuto nella tua esistenza?
R – Per vivere si parte da se stessi, poi ci si sposa, si spera solo per amore, poi nascono i figli, il prolungamento della tua esistenza. Mia moglie è stata definita santa e martire; io, se lei mi volesse ancora, la risposerei. È stata ed è il mio reale angelo custode. Alla mia famiglia devo tutto, mi ha dato la tranquillità di essere fino in fondo me stesso. In questo tutto infilo anche le cose negative, che non mancano mai in una famiglia.
D – Perché ti sei sempre fatto chiamare zio Ernesto dai tuoi figli?
R – Mi fa sorridere questa simpatica domanda. “Zio Ernesto” è stato uno dei miei modi di giocare con la realtà: ad Umberto promisi un gelato ogni volta che mi avesse chiamato in pubblico “zio Ernesto”. Gli amici, meglio se amiche, avrebbero domandato: “Ma Ernesto, non sei sposato?”, ed intorno a quella domanda avrei ricamato un po’ di filosofia di vita.
D – Sei stato un grande raccoglitore di ostriche, di patelle; avevi anche un apparecchio che ti consentiva di respirare sott’acqua: perché raccoglievi così tanta roba? …per farne cosa? …qual era la motivazione che ti faceva stare sott’acqua a raccogliere fino allo sfinimento?
R – Molto tempo l’ho vissuto sott’acqua, a raccogliere frutti di mare che distribuivo agli amici, alcuni li regalavo a chi volevo che mi diventasse amico. Oltre a raccogliere ostriche, patelle, cozze, pelose e altro, sono stato anche un pescatore, la mia specialità era la coffa.
Ho avuto larghe soddisfazioni dal mare. Le mie pescate sono tutte, nessuna esclusa, finite in tavole imbandite con la compagnia dei giusti amici. Racconto un aneddoto: andai con Domenico e Rosario a buttare una coffa a Palmarola, avevo promesso ai due ragazzi che dopo avremmo dedicato la serata a calamari. Tirammo la coffa e prendemmo tre grandi cernie. A me non mi andava di passare la serata a pescare calamari e visto il bottino, riuscii a convincere gli amici a tornare in porto. Presi una cernia e la portai al ristorante da Sergio, perché la conservasse in frigorifero, e a Domenico e Rosario dissi che le altre due le andassero a tagliare in pescheria. Passai del tempo al bar, poi presi la macchine per ritornare a casa; trovai Domenico e Rosario davanti alla pescheria che stavano ancora tagliando i pesci. Mi ero dimenticato di loro, che mi dissero: “Ma che dobbiamo fare dei pesci?”. Risposi: “Bene, portateveli a casa” e loro, con un sorriso incazzato: “Ma se ce lo dicevi prima ce li saremmo venduti”. “Lo sapevo, per questo ve li ho fatti tagliare!”, risposi.
D – Ernesto hai avuto una vita piena, sei stato sempre il protagonista tra i pescatori, tra i cacciatori, tra gli amici, tra gli ospiti, ma ti sei sempre sentito a tuo agio, sempre in armonia…. mai sopportato?
R – Capisco e comprendo la domanda, io ho avuto tanti difetti ma anche alcuni pregi, per esempio la generosità, la capacità di farmi accettare, la simpatia, l’esigenza di voler condividere con gli altri i prodotti di questo paradiso che sono le nostre isole. L’armonia cercavo di crearla io, coinvolgendo persone, stimolando discussioni, organizzando cene, pescate, incontri. Le nostre cene, oltre alla prelibatezza di quello che si mangiava, erano rappresentazioni teatrali a cui io regista facevo partecipare tutti i commensali; alla fine tutti, sazi e felici, facevano ritorno alle loro case.
D – E poi, il fisico diventa più debole, ma hai sempre una forza morale e intellettuale enorme, diventi l’esule a Palmarola. Qual è ancora la motivazione esistenziale che ti spinge a rifugiarti a Palmarola?
R – Palmarola è stata sempre la mia più grande passione. Non l’ho detto io ma grandi viaggiatori l’hanno definita l’isola più bella del mondo; io aggiungo che condensa le bellezze di Ponza e Zannone. Da sempre ho frequentato Palmarola, poi mi feci una baracca sulla Grotta dell’Acqua e questo mi stimolò a frequentarla più intensamente e per lunghi periodi.
Cominciai in questo posto a meditare e come ha scritto una mia amica sono diventato “quello che parla con il cane e con le pietre, quello che gode della furia dei temporali, quello che sa”. Anche qui riuscivo ad essere me stesso, raccoglievo asparagi e li dividevo per distribuirli ai tanti amici. Vedi, l’ispirazione è sempre la stessa, anche lontano volevo essere presente in mezzo agli amici con una piccola cortesia.
D – Ponza non ti basta più? Diventi un accanito raccoglitore di asparagi e poi uno scrittore infaticabile. Alla fine quelle enormi energie vitali finiscono sui libri. Come, perché e quando hai capito che dovevi passare alla scrittura per lasciare il segno incancellabile della tua esistenza?
R – Hai detto bene, quando il fisico diventa più debole, ma non lo spirito, io, ottantenne, da solo a Palmarola ho ritrovato energie nuove e mi sono tramutato in scrittore. A volte mi rattristo perché il mio viaggio sta per finire, ma debbo dire che è stato un viaggio bellissimo, ricco di vicissitudini, un viaggio che rifarei volentieri.
Vedi, Francesco, io ho cercato e sto cercando di arrivare all’ultimo porto da vincitore.
Nella mia lunga vita ho rubato ai miei amici pescatori la loro conoscenza del mare, ai contadini la loro saggezza; la mia insaziabile curiosità mi ha portato a conoscere tutti gli angoli e i personaggi di queste isole; la sete di cultura mi ha fatto leggere un’enorme quantità di libri; grazie alle mie relazioni, alla mia tenacia e alla mia passione ho raccolto tantissimi libri che parlano di queste isole.
È vero, l’uomo è diventato tale scheggiando una pietra, ma è diventato eterno con la scrittura. Ho pensato: “Queste mie conoscenze le voglio donare ai posteri”, e ho cominciato a scrivere nel silenzio di Palmarola, ispirato dall’umore del vento e del mare.
Chissà, un giorno i miei nipoti, che io adoro, leggendo i miei libri mi rifaranno rivivere, e tanti altri ponzesi che verranno dopo, sfogliando questi libri, scritti con il cuore, potranno rivedere l’isola che c’era e ricordare con simpatia l’autore che li ha scritti.
D – Se tu potessi rinascere e vivere in questa epoca in mezzo a noi, pensi che potresti riuscire a determinare la tua esistenza in modo così completo e vitale? Puoi darci dei consigli per continuare ad amare la nostra isola in questo contesto?
R – Francesco, il dio denaro ha contaminato questa comunità, ma ogni persona deve fare i conti con se stesso, deve fare il proprio dovere per migliorare se stesso e contribuire a migliorare gli altri. L’egoismo, l’avidità alla lunga non danno soddisfazioni; alla fine, quando arriverai alla mia età, ma anche prima, a cinquant’anni, e farai il consuntivo della tua vita, dovrai mettere sulla bilancia le cose positive e quelle negative. Non sono i soldi, le case, le automobili a nobilitare l’uomo, ma la generosità, l’altruismo, l’audacia: queste virtù ti fanno agire, potrai anche sbagliare ma sarai sempre perdonato dalla tua coscienza, perché hai agito in buona fede.
D – Ernesto, nel ringraziarti per avermi dedicato il tuo prezioso tempo, vorrei chiederti se hai paura della morte e se credi in Dio.
R- Sono io che ringrazio te per aver avuto voglia di conoscermi facendomi domande profondamente pensate. Tutti hanno paura di morire, ed io come tutti cerco di non pensarci, infatti scrivo tanto, quando non scrivo leggo, cerco di tenere in esercizio e sotto pressione il cervello perché non mi abbandoni.
Dio è stato molto generoso con me, mi ha dato una vita lunga e fantastica e non farmi dire altro. Ciao e auguri per il tuo futuro e non deludere mai te stesso.
***
Così si conclude la mia intervista ad un uomo che si chiama Ernesto: basta solo il nome, perché tutti lo hanno conosciuto, tutti lo hanno apprezzato, tutti lo ricorderanno leggendo i suoi libri.
Mio padre aveva ragione: Ernesto è stato unico, perché è riuscito ad essere felice vivendo una vita su questi scogli.
Francesco Ambrosino
ITC Filangieri – Ponza
[Intervista a Ernesto (2) – Fine]