di Antonello Feola
Ecco cosa accadde 68 anni fa a Ponza. Per descrivere l’episodio riporterò le parole di Silverio Corvisieri, autore del libro “Zì Baldone” (2003; Caramanica Editore) in cui narra la storia di Ponza del secolo scorso.
“….Da metà febbraio il maltempo aveva reso drammatico il problema del rifornimento di viveri. I motovelieri di Feola furono bloccati da una serie di tempeste, una dietro l’altra, nel porto di Ischia. In verità neanche navi molto più grandi e con motori ben più potenti si azzardavano a mettersi in viaggio. A Ponza cominciò a mancare tutto.
Una parte notevole della popolazione rischiava di morire, alla lettera, di fame. Prima furono alcuni vecchi a crollare sotto il peso della denutrizione, poi fu la volta di alcuni bambini. Nei primi giorni di marzo si contarono dieci morti, quasi tutti per fame o per aggravamento repentino di malattie che con un’alimentazione normale sarebbero state superate.
Nelle campagne ponzesi uomini e donne, dimagriti fino all’inverosimile e fortemente debilitati, erravano alla ricerca di qualsiasi erba commestibile; alcuni non esitarono a tagliuzzare le “palette” dei fichidindia per farne una sorta di verdura da mangiare bollita e senza alcun condimento.
Antonio Feola a Ischia non riusciva a darsi pace. Il commissario prefettizio telegrafò al comando militare di Ischia un messaggio disperato: “popolo Ponza muore fame”. Il parroco Luigi Maria Dies invitò i fedeli per tre giorni consecutivi a implorare S. Silverio di muoversi in loro soccorso. Feola sapeva che con una nave più grande e attrezzata dei suoi motovelieri si poteva raggiungere Ponza, ma il comando militare alleato non voleva rischiare. Feola però era, come abbiamo detto, molto stimato e perciò dopo tutta una serie di dinieghi, gli si volle usare almeno la cortesia di verificare la situazione con una grossa nave inglese ancorata al porto di Ischia. Il capitano inglese Simpson era convinto che anche Feola, non appena la barca fosse uscita dal porto e avesse subito l’impatto con onde spaventose, si sarebbe convinto dell’impossibilità di proseguire. Ma non aveva fatto i conti con l’abilità, l’ardimento e anche l’astuzia di quel marinaio ponzese. Appena salito a bordo Totonno [mio nonno era chiamato Totonno Primo – NdA] passò a Simpson una bottiglia di whisky per renderlo più disposto ad osare; poi “con amichevole violenza”, come ricorderà un testimone, gli sottrasse la guida.
Fu un viaggio terribile ma alla fine, la sera del 5 marzo, la nave, carica di viveri, fece il suo ingresso nel porto di Ponza mentre le campane delle chiese suonavano in segno di giubilo e la popolazione accorreva gridando al miracolo e ringraziando S. Silverio.
In seguito, con il trascorrere degli anni, la gratitudine a Feola e al suo valoroso equipaggio – Rinaldo Graziosi, Mario Di Fazio, Mauro Di Lorenzo, Geppino Vitiello, Luigi Parisi, Antonio e Silverio Scotti – andò attenuandosi e si parlò sempre più spesso non del coraggio e della bravura dei marinai ponzesi ma del miracolo del Santo…”
Antonello Feola
polina ambrosino
5 Marzo 2012 at 13:02
Quante volte ho sentito raccontare questa storia in casa… Il mio bisnonno, anche lui pescatore ardimentoso, conosciuto da tutti i ponzesi dell’epoca come Zi’ Camillo, fu una delle vittime della fame che coincise anche con una epidemia di spagnola. Ponza piangeva i suoi morti e moriva di fame, come appunto scrisse il parroco nele telegramma. Caro Antonello, mi domando oggi, con una guerra in corso e con un tempo infame, chi rischierebbe la vita per portare a Ponza il necessario…
antonello feola
5 Marzo 2012 at 22:21
Cara Polina, vedi, oggi di sicuro nessuno rischierebbe la propria vita per salvare il prossimo in quanto viviamo presi da un individualismo collettivo, ma anche allora è stato un episodio unico… Anche se è stato solo uno dei tanti gesti magnamini di mio nonno. Dopo aver salvato Ponza dalla fame finanziò una Cassa di Mutuo Soccorso per i Bisognosi denominata “Opera di S. Silverio”, ideata da Dies e mio nonno come benefattore a fondo perduto… Inoltre pochi sanno che dopo l’affondamento del Santa Lucia per 30 mesi solo i motovelieri di mio nonno assicurarono i collegamenti col continente, il tutto senza essere retribuito e nemmeno rimborsato dei costi! E nessuno, dopo la sua prematura morte all’età di 49 anni, con mio padre orfano a 9 anni, andò da mia nonna per restituire i favori. Ora ti chiedo… è valsa la pena avere tanto ardimento per salvare il prossimo? Sicuramente sì, ma per la gloria eterna, in quanto da parte dei ponzesi non ha mai ottenuto riconoscenza!
Gennaro Di Fazio
5 Marzo 2012 at 23:33
Caro Antonello,
onore a tuo nonno e a quanti si sono adoperati per il prossimo, ma non credo che oggi, per quanto viviamo in una società a cultura individualista, non ci possano essere altre persone che si adoperano e/o rischiano per gli altri. Magari operano in silenzio o semplicemente non le conosciamo.
Un saluto affettuoso
Gennaro Di Fazio
Lino Pagano
6 Marzo 2012 at 01:10
Dice Don Dies “Era la fine di febbraio del 1944, la tempesta che si abbatteva su Ponza non si placava. Il popolo di Ponza si raccolse tutto in Chiesa, e iniziò il triduo della fame; al termine di esso era già Domenica 5 Marzo. La tempesta impediva alle navi di approvvigionare l’isola. Il parroco annunziò l’orario delle S. Messe di ringraziamento che avrebbero celebrato l’indomani, per ottenere la grazia e aggiunse “Io ci credo, in un’ora per intercessione di San Silverio, Dio lavora…”. Esattamente un’ora dopo San Silverio accompagnava in porto, con un mare burrascosissimo, un vapore inglese carico di farina e di patate.
Il comandante inglese Simpson non aveva voluto affrontare la tempesta, ma un Ponzese – Antonio Feola fu Evangelista – prese il comando e la responsabilità della rischiosa navigazione, portando la nave e il carico nel porto di Ponza, salvando molta gente da morte sicura. Onore e grazie ad Antonio Feola.
(Dalle parole tratte dal libro di Don Luigi Dies: “Da Frosinone a Ponza”).