di Pasquale Scarpati
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Poi, un giorno, ecco una nave bianca, bella, ancora più grande, dai finestroni grandi e luminosi, la prua si tuffa nel mare in diagonale, il fumaiolo tagliato, alla moda, colorato con due strisce gialle e rosse: il Ponza.
Si conosce tutto di lei, come se fosse una persona di famiglia: è gemella di altre tre navi, ha il motore a combustione interna, impiega un po’ di meno nel fare la traversata, sviluppa 10/12/13 miglia all’ora (e qui c’è un certo disaccordo); si dice che abbia meno pescaggio per cui il mare era retto meglio dalle navi precedenti: l’Equa (già Regina Elena) o il Gennargentu, però nel complesso si dovrebbe viaggiare meglio perché i criteri di costruzione sono più moderni. Mi inorgoglisce, soprattutto, perché porta il nome dell’Isola, ma ha gli occhi malinconici.
Inaugurazione dell’Isola di Ponza (1956). Da sin: monsignor Dies, il dottor Sandolo, don Salvatore Tagliamonte, Michele Regine, Alberto Migliaccio (Barbetta), Pasquale Scarpati senior (zio dell’autore dell’articolo), Ciro Iacono
Inaugurazione della motonave Isola di Ponza. Da sin: comandante Domenico Miele, Giuseppina Regine, Michele Regine, commendatore Vincenzo Laudiero, armatore SPAN
Il triplice suono baritonale annuncia festoso il suo primo ingresso nella rada del porto. Indossa il vestito della festa, lo stesso del giorno della festa di San Silverio: il gran pavese. Grandi e piccini accorrono al porto. Attracca, ecco la passerella, ecco noi, presto presto ci imbarchiamo. La nave, dopo un po’, scioglie gli ormeggi e si dirige verso i faraglioni della Madonna. Inizia la mini crociera: il giro dell’isola. Immediatamente lascio la mano di mamma e corro in tolda sia perché oggi posso scorrazzare dappertutto, il viaggio è gratuito, sia perché voglio gustarmi, per intero, la bellezza del paesaggio in parte noto in parte sconosciuto. Doppiati i faraglioni, la nave, all’altezza delle Formiche, drizza la prua verso il largo e ciò provoca in me un momentaneo spavento perché temo che lasci la costa; invece, dopo un po’, si riavvicina e prosegue il suo viaggio. Non stacco un attimo gli occhi dalle pareti scoscese, dai faraglioni e dalle cale che si susseguono a ritmo incessante: non è possibile distrarsi. Lo scenario cambia in continuazione: ‘a Parata, ‘a Scarrupata, i faraglioni d’u’ Cazone Muto, il Bagno Vecchio, i faraglioni della Guardia, la baia di Chiaia di Luna: la costa a me più o meno conosciuta. Giallo, bianco, nero, grigio, sfumature, striature, si accavallano, si alternano, si pongono in strati, si mescolano: che meraviglia! Poi inizia la parte dell’Isola a me meno nota o del tutto sconosciuta: Cap’ Ianc’, i meravigliosi faraglioni di Lucia Rosa e la relativa spiaggia, Cala Feola che io conosco come vasci’ ’u camp. Mamma dice: – Guarda ‘o pap’ – Io aguzzo la vista..! Poi le Felci ed infine, dalla parte di ponente la nave doppia l’isola di Gavi, bianca e disabitata. La costa che affaccia verso levante mi è più familiare. La nave rientra in rada, riattracca e noi sciamiamo non senza qualche commento in attesa di reimbarcarci per qualche viaggio verso la terraferma.
Quando è ancorata sola, là, all’estremità del porto, nella solitudine e nella semioscurità che neppure la fioca luce rossa del Lanternino riesce a rischiarare, sembra una persona mesta e piangente. I motori, però, sono potenti. Dopo aver tirato l’ancora, sprigiona una forza viva, ascolto la sua voce anche quando è uscita dalla rada. Ahimè, soffro tanto il mal di mare, quelle vibrazioni le sento nello stomaco, nonostante ciò, spesso, quando viaggio, mi sorprendo ad osservare quelle valvole che salgono e scendono, mi piace l’odore della nafta e vedo gli uomini che agiscono sulle manopole. Noi, in terza classe, stiamo lì fuori seduti o sdraiati su panche di legno.
Da sinistra Maria Pia Mazzella (zia del Dr. Mazzella), Tommaso Lamonica, Antonietta Zanetti, una signora di Mortara (PV), assidua frequentatrice della nostra isola negli anni ’50 e ’60 – tra le prime turiste), Angelina Lamonica e Maria Conte (madre di Dino Saccomanno) – Precisazioni gentilmente fornite da Silverio Lamonica
E’ meglio ‘a terza classe pecché può durmì sdraiàt’ ; se, poi, si va più giù, ‘O mare si sente cchiù poc’.
Immagino e vanamente spero che il rollio o il beccheggio siano riservati solo ai piani superiori e che laggiù ci sia calma piatta. Mi accoglie una nuvola di fumo e si gioca a carte: la maniglia, un gioco tra la briscola ed il tressette. Vicino alla sala macchine, dove si può respirare un po’ d’aria fresca, si sentono vari effluvi: nafta, fumo di sigari e sigarette, fumo di pipa (trinciato forte) si mescolano agli odori forti che provengono dalla piccola cucina (mamma dice: E’ tutta roba soffritta) che neppure il vento marino riesce a disperdere, anzi vengono accentuati se spira lo scirocco quando pur’ ‘o mare puzz’. Nei pressi della cucina c’è un rubinetto dell’acqua con una targhetta “acqua non potabile” (sob!). Se, per caso, ci si trova vicino alla toilette e la porta si apre…
Pasquale Scarpati
N.B. – Si ringraziano Giovanni Pacifico e Rita Bosso per aver messo a disposizione le foto d’epoca
[U’ vapore (2) – Continua]
Silverio Lamonica
3 Marzo 2012 at 22:55
Se è possibile, inserite – per cortesia – la didascalia all’ultima foto pubblicata con l’articolo di Pasquale Scarpati: da sinistra Maria Pia Mazzella (zia del Dr. Mazzella), Tommaso Lamonica, Antonietta Zanetti, una signora di Mortara (PV), assidua frequentatrice della nostra isola negli anni ’50 e ’60 – tra le prime turiste), Angelina Lamonica e Maria Conte (madre di Dino Saccomanno).
In quel viaggio inaugurale dell’ “Isola di Ponza” c’ero anche io a bordo (probabilmente quella foto l’ho scattata proprio io). Ricordo che provai le stesse emozioni descritte così bene da Pasquale
michelino
16 Febbraio 2013 at 17:01
…Un ricordo stupendo…avevo 10 anni…