di Gianni Paglieri
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Il vecchio Singleton, il marinaio Singleton è l’incarnazione del marinaio semplice e coraggioso, è un personaggio puro, dotato di grande forza fisica ed interiore, è figlio del mare. Nel corso della tempesta farà con dedizione e competenza tutto ciò che gli verrà chiesto di fare ma prenderà atto che il trascorrere del tempo ha indebolito la sua tempra fisica e che dovrà affrontare la sua ultima battaglia, l’arrivo della vecchiaia, una battaglia personale.
Donkin è un altro marinaio, ma è l’opposto di Singleton, è falso e cialtrone, ha il volto della trasgressione e della falsità, compare all’improvviso e all’improvviso scompare, ma non è eliminato o cancellato perché come il male egli continua ad esistere, come il male è eterno. Donkin è asociale, egoista, diabolico, sottile e sobillatore, rappresenta la maschera negativa degli esseri umani; è… “come un visitatore impressionante uscito da un mondo di incubi (…) è il degno tipo che conosce a meraviglia i suoi diritti, ma non conosce affatto il coraggio, la sopportazione, la fede inespressa e la tacita lealtà che stringe in un unico vincolo tutti gli uomini dell’equipaggio. Il figlio ribelle di quell’ignobile libertà dei bassifondi, piena di disprezzo e di odio per l’austera servitù del mare…”
Jimmy Wait, il negro, è il personaggio centrale del romanzo. Giunge sulla nave la notte prima della partenza da Bombay emergendo dal nulla, come un fantasma. Nel corso della tempesta resta intrappolato a prora nella sua cabina ma quando ricomparirà la sua presenza avrà effetti disastrosi poiché spingerà ogni uomo dell’equipaggio a riflettere su se stesso. La sua malattia, vaga, imprecisa, è molto più pericolosa, più subdola dell’istigamento alla ribellione di Donkin. Tutti pensano che Jimmy Wait finga di essere ammalato per scansare le fatiche della vita di bordo, ma la sua malattia peggiora giorno dopo giorno. Jimmy Wait ha paura di morire e pretende di essere aiutato e servito dai compagni, ma gli resterà soltanto la compagnia di Donkin, il suo doppio bianco.
Progressivamente gli uomini si allontanano dal loro dovere fino a giungere alla ribellione e all’ammutinamento, ma sarà il Comandante a rimettere le cose a posto con la sua fredda e implacabile autorità. Jimmy Wait morirà poco prima dell’arrivo e la sua consegna al mare coinciderà con il ritorno del vento. Con la sua morte, non soltanto la nave riprende il suo viaggio ma scompaiono anche le angosce accumulate dagli uomini dell’equipaggio.
I marinai del Narciso sbarcano a Londra e diventano preda di uomini brutali che li spingono in sordide bettole e la coesione che avevano appena ritrovata a bordo, dopo la morte di Wait, viene di nuovo interrotta.
Servendoci il più possibile delle parole di Joseph Conrad, racconteremo soprattutto la parte del romanzo che riguarda la tempesta, per capire cosa significa comandare una nave quando il Comandante è chiamato a rischiare, a osare, giocandosi le poche possibilità che gli sono rimaste per salvare nave e uomini; senza platealità senza teatralità, senza voler dimostrare agli altri di essere coraggioso e capace, salvo poi a soccombere nella maniera più avvilente alla propria incapacità e alla propria pochezza.
La storia, come si è detto, prende avvio a Bombay, all’inizio della notte che precede la partenza e sembra di assistere ad un film, nel susseguirsi di scene diverse, nella descrizione dei rumori, delle luci, della la notte tropicale, di uomini che si muovono, che parlano, che ricordano
“… Il Signor Baker, primo Ufficiale del Narciso, si portò con un sol passo dalla sua cabina illuminata all’oscurità del cassero. Sopra di lui, dal casseretto, il marinaio di guardia batté due colpi… a poppa il ponte di batteria era immerso nell’oscurità ma dalla parte opposta… due vive strisce di luce tagliavano l’ombra della notte che immobile incombeva sulla nave (…) nell’inquadratura delle porte illuminate si profilavano figure di uomini in movimento, nerissime, prive di rilievo, simili a sagome ritagliate nella latta. La nave era pronta a prendere il mare…”
Sono i momenti febbrili che precedono la partenza del Narciso. I marinai stanno tornando da terra, le ultime discussioni con i barcaioli che li hanno accompagnati sottobordo, qualche ritardatario, qualcuno è nuovo, sotto il castello di prua c’è gran confusione, l’equipaggio sta sistemandosi nell’unico locale della nave a sua disposizione:
“(…) Oltre gli orli bianchi delle cuccette sporgevano altre teste… occhi ammiccanti… i corpi parevano perduti nella tenebra di quegli angusti spazi simili a nicchie…”
Terminato l’appello, ritorna la calma e su ogni cosa prevale la calda notte di Bombay. Nell’imminenza della partenza ogni uomo di bordo resta solo con i suoi pensieri, i suoi ricordi, le sue fantasie.
Il Terzo Ufficiale torna con il pensiero alla propria casa, ad una donna “…Il giovane Creighton rimase appoggiato al parapetto e contemplò con aria sognante la notte d’Oriente. E in essa vide un lungo viale in campagna, un viale di foglie fruscianti e di sole danzante. Vide agitarsi i rami degli alberi vetusti e, incorniciato dal loro arco, il tenero carezzevole azzurro del cielo inglese. E, al di là dell’arco, una fanciulla dalla veste leggera, sorridente sotto il parasole, sembrava venir fuori dal tenero cielo”.
Il mattino dopo, all’alba, il Narciso lascia l’ancoraggio e prende il largo, finché “…la velatura si gonfiò alla brezza (…) e con la prua rivolta a sud, il Narciso parve torreggiare sul mare irrequieto… spruzzi di spuma percorrevano i suoi fianchi; il mare lo sferzava di subite ondate; la terra si allontanava lentamente…”
Sulla nave in mare aperto, lontana da ogni terra, ogni persona svolge il proprio compito, mentre i turni di guardia si susseguono ordinati ed uguali, giorno e notte finché all’improvviso compare il Comandante Alistoun e da quel momento in poi “…serio e con una vecchia sciarpa rossa intorno al collo, campeggiava a poppa per tutto il giorno. Di notte, molte volte si sollevava dall’oscurità del boccaporto, come un fantasma al di sopra di una tomba, e rimaneva vigile e silenzioso… (…) Quando parlava della sua gioventù quando era fiociniere sulle baleniere, i suoi irrequieti occhi grigi diventavano immoti e gelidi, come il remoto profilarsi dei ghiacci… Aveva i capelli color grigio ferro e la faccia dura simile a cuoio… Non temeva nulla tranne che il non essere perdonato da Dio e si augurava di terminare i suoi giorni in una casetta, con un pezzetto di giardino, in campagna, dove non si vedesse il mare”.
La nave prosegue la sua navigazione, attraversa la fascia dei monsoni e il vento viene a mancare, poi… “andò adagio alla deriva, cambiando rotta di continuo… sotto lo scroscio di brevi acquazzoni gli uomini spostavano i pesanti pennoni da un lato e dall’altro; afferravano i cavi zuppi con gemiti e sospiri mentre i loro Ufficiali imbronciati e grondanti pioggia, impartivano senza posa ordini con voci stanche.
Con il vento di nuovo propizio il veliero procede accumulando miglia verso Sud, passa al largo di Madagascar e dell’isola Mauritius senza mai intravedere la terra, poi nella zona delle calme equatoriali in un giorno percorre soltanto sessanta miglia che però sono costate una fatica impossibile per l’equipaggio continuamente impegnato e bracciare pennoni, a spiegare vele, a cambiar mura ecc.. poi, ancora vento maneggevole e, finalmente, punta verso il Capo di Buona Speranza ma, progressivamente, il tempo comincia a peggiorare e gli uomini si fanno inquieti, perché tutti a bordo sanno che in quelle zone vi sono tempeste terribili… “Sguardi ansiosi si volgevano ad Ovest, verso il Capo delle tempeste. La nave incominciò a beccheggiare su onde da sud ovest e il cielo (…) si inarcava alto al di sopra della nave, vibrante e pallido … La nave, con la velatura ridotta, si inclinava adagio, ostinata e cedevole (…) precipitava a capofitto in scuri e lisci avvallamenti; si rialzava a fatica sulle creste nevose dei grandi marosi in corsa; rollava, irrequieta, da un lato all’altro, come una creatura in travaglio (…) Era un brutto inverno al largo del Capo, quell’anno.
Sono i segni premonitori del cattivo tempo che quando si naviga a quelle latitudini generano un’ansia palpabile perché ognuno a bordo comincia a “sentire la tempesta”.
Gianni Paglieri
[Il Negro del Narciso, di Joseph Conrad (2) – Continua]