di Pasquale Scarpati
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Zio Costantino possiede un barcone enorme, pesantissimo, ovviamente a remi. L’ha costruito insieme agli altri tre fratelli (sono chiamati, per antonomasia, i Quattro Fratelli). So che deve uscire con una rete chiamata lo schiett’; immediatamente mi autoinvito e mi arruolo e così di notte usciamo ed usiamo quella tecnica di pesca che consiste nel buttare la rete a ridosso della costa, mettersi all’interno tra la rete e la costa e poi far rumore con qualsiasi mezzo: remi, pietre legate ad una corda e altro. I pesci, spaventati, scappano e si spera che vadano ad impigliarsi nella rete.
Ma la pesca che amo di più è quella notturna ai totani. Esco con mio cugino Giuseppe che è riuscito a procurarsi un fuoribordo per arrivare nei pressi dei faraglioni della Guardia.
– Giuse’ che cosa ci vuole?
– La purpara ce l’ho, l’acetilene ce l’ho, dobbiamo procurarci le sarde e il carburo.
Corro da Mastuppaolo e mi procuro il frizzante carburo dall’odore penetrante, lui procura le sarde. Il tempo è buono e la luna non è sorta.
– Ci dobbiamo portare una maglia perché di notte fuori fa freddo.
– Abbiamo preso tutto?
– Sì, anche il pane, il formaggio, l’acqua e le ‘pastette’ .
Verso le nove e mezzo salpiamo. Nell’oscurità assoluta il moto della barca fa scintillare il mare: flebili stelline cadute. I Faraglioni della Madonna si avvicinano minacciosi, quasi a sbarrarci il cammino; non li temiamo né ci spaventa il rumore cupo che proviene dalle loro viscere, anzi li sfidiamo e li superiamo passando, quasi Mandrake, in mezzo a loro. Si apre un ampio spazio di mare: sulla sinistra le Formiche, scure a pelo d’acqua; in lontananza, diritti a prua si stagliano, alti e scuri, i Faraglioni del Calzone Muto. Ma non mi incutono paura; respiro, oramai alea iacta est: il dado è tratto e la meta non è lontana. La lama argentea del faro delle Guardia, roteando ad intervalli regolari (tre, riposo, poi altri tre, riposo, e così via), taglia la nera notte e il buio pesto. Onde che sembrano gigantesche si avvicinano di tanto in tanto e pare vogliano inghiottire il piccolo natante. Ho un po’ paura ma la passione è più forte. Sensazione bellissima: dolore e piacere simultanei. Mi rasserena un poco il coro dei parlanti e quindi la speranza che la pesca sarà buona. Armiamo le lenze, ma non troviamo i micciarielli. Frughiamo dappertutto: nulla. Mannaggia! A tutto si può rimediare, ma non si può pescare senza luce.
Ritorniamo a Ciancoss, sono passate le 23, la luna non è ancora sorta, e allora? …Usciamo di nuovo. Butto la lenza ed ecco uno strattone improvviso.
– Tira sempre teso, altrimenti ci lascia – mi grida Giuseppe. Ad un certo punto uno strattone ancora più violento, faccio fatica a tirare su, sono un po’ impaurito; mio cugino mi incita e alla fine viene su un enorme totano che mi regala una… doccia abbondante. Verso le tre del mattino, a luna oramai sorta, decidiamo di ritornare con una quindicina di prede.
– Sapessi come sono buoni, fritti, appena pescati – dice mio cugino.
- Perché non lo facciamo? – propongo.
Così, appena arrivati, ci mettiamo ad armeggiare in cucina. Confidiamo nella benevolenza di zia Marietta, una delle sorelle di mia madre; lei, sentendo il trambusto, si alza dal letto e, nonostante l’ora, pazientemente ci aiuta.
La pesca ai totani mi piace anche per una sorta di complicità che, da subito, si instaura tra tutti i componenti del gruppo come se in quel momento ci sia un pericolo incombente e tutti siamo lì, pronti a darci una mano; forse anche per questo, nell’attesa che i ‘molluschi cefalopodi’ abbocchino, si sgranocchia qualcosa, si parla un po’ di tutto, si commenta e si scherza anche sul pescato come quando con Giuseppe, il figlio del maestro Valiante, essendo le prede piuttosto piccole, ad ogni tirata commentiamo: “E’ uscita la TV dei ragazzi”.
Ma l’Isola è grande e le passeggiate non si esauriscono solo per mare…
Pasquale Scarpati
(U’ summariello e le barche (4) – Fine)