di Carlo Bonlamperti
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XI
Nella sua stanza di Civitavecchia Baingio non riesce a prender sonno e da un pezzo si rigira nervosamente nel letto in preda ad uno strano presentimento.
Invano ha atteso per tre giorni l’arrivo della lettera con le foto della ragazza da spedire all’Ingegnere e la telefonata di Toni all’ora stabilita per quella sera.
Nulla.
Un campanello d’allarme gli dice di stare in guardia perché quei due fatti negativi, i primi nella sua lunga carriera di lestofante, sono il sicuro presagio che qualcosa non è andato per il verso giusto.
Da uomo pratico, si dice che deve intervenire in qualche modo perché manca ormai poco tempo all’ultimatum per la consegna del denaro, e lui a quei soldi proprio non intende rinunciare.
Decide perciò di giocare la carta della sorpresa elaborando un piano semplice e di sicuro successo, o almeno così pensa lui, alzandosi dal letto e preparandosi ad uscire di casa.
Da un telefono pubblico chiama Spagna e gli dà appuntamento alla Stazione Termini: raggiungeranno Anzio con la sua utilitaria per salpare nuovamente alla volta di Ponza con il Regina Madre.
Intorno alle tre del mattino i tre complici sono in navigazione, dopo una serie di telefonate per rintracciare Commodoro, buttarlo giù dal letto e convincerlo alla nuova traversata con la promessa di un compenso extra.
Il peschereccio fende la massa scura del mare calmo, spinto quasi a nove nodi dal comandante, sollecitato continuamente da Baingio a far presto.
Sopra di loro, questa volta il cielo è limpido e profondo, e l’assenza di luna rende ancor più luminose le stelle delle costellazioni, facendo apparire anche quelle di solito poco visibili ad occhio nudo.
Nella marcia verso Sud il Regina Madre si lascia lentamente alle spalle l’Orsa Maggiore e la Stella Polare, mettendo la prua in direzione di Venere, visibile a Sud-Ovest, che accompagna il peschereccio quasi fino a Palmarola, brillando a tribordo prima di sbiadire al sorgere dell’aurora.
In cabina Baingio mette Commodoro al corrente degli sviluppi del sequestro e dei sospetti su Toni, che il silenzio degli ultimi giorni ha reso certezza. Ormai lui ne è sicuro: il ragazzo ha in mente qualcosa. Forse si è fidato troppo della ragazza, lasciandosi impietosire dalla sua condizione di prigioniera o abbindolare dalle sue moine, oppure – e a questo pensiero stringe i pugni sentendo montargli il sangue alla testa- ha intenzione di gestire il rapimento da solo, spostando altrove l’ostaggio e contattando lui stesso l’Ingegnere per intascare l’intera somma.
Ora che ci pensa, nella telefonata dell’altra sera Toni gli è sembrato piuttosto evasivo sullo stato di salute della ragazza e persino frettoloso di chiudere la conversazione, quasi avesse altro da fare. Ma cosa avrebbe dovuto fare trovandosi lui stesso prigioniero in una gabbia di pietra, isola in un’isola più grande, sperduta nel mare? E cosa voleva intendere il giovane con le parole “niente che non riesca a controllare” che gli risuonano nella mente e che sembrano assumere un significato diverso riferite alla gestione del sequestro?
Commodoro gli suggerisce di giungere a motore spento il più vicino possibile alla roccia-prigione e di proseguire con la scialuppa fino allo scoglio. Una volta sbarcati, faranno irruzione all’interno della grotta e immobilizzeranno Toni. Poi, con un lampo di avidità negli occhi e un ghigno sul viso, sibila rivolto a Baingio:
– E se li eliminassimo tutti e due? Una bella zavorra ai piedi e giù in pasto ai pesci, al largo. Chi vuoi che li trovi più?
Baingio però rimane in silenzio, scuro in viso e senza tradire i suoi pensieri. Sa bene che un ostaggio vale denaro solo finché è vivo o è creduto tale da chi deve riscattarlo, ma per dimostrare questo occorrono delle foto con una data certa: proprio quello che manca a lui perché quel traditore di Toni non ha eseguito i suoi ordini!
A poppa, seduto al riparo di un grosso mucchio di reti da pesca, Spagna fuma una sigaretta dopo l’altra, facendo descrivere ai mozziconi un arco incandescente prima di finire in mare.
Essere svegliato nel cuore della notte per accompagnare il capo ad Anzio e poi ancora una volta su quel peschereccio puzzolente, lo ha messo di cattivo umore, spingendolo ad isolarsi.
A lui il mare non è andato mai a genio, e fin dall’inizio è stato contrario a nascondere la ragazza su quell’isola: troppo disagio col mare di mezzo e troppa distanza nel caso avesse voluto fare un salto da lei per togliersi certe voglie… Con Toni si sarebbe accordato o, a mali estremi, lo avrebbe sistemato: uno in meno con cui dividere il malloppo!
Meccanicamente porta la mano al rigonfio del giubbotto dove tiene il coltello a serramanico con la lama in acciaio di Toledo e, tranquillizzato, si rilassa chiudendo gli occhi con un grosso sbadiglio; ma a quell’ora della notte ogni istante di sonno si misura col metro delle ore, e quando Spagna viene svegliato dal cambiamento di ritmo del motore, il Regina Madre è ormai a poche miglia da Ponza.
La notte lo investe col suo silenzio, rotto solo dallo sciabordio dell’acqua lungo le fiancate del peschereccio che continua ad avanzare lentamente spinto dall’abbrivio.
Stiracchiandosi, lo spagnolo raggiunge i complici e, quando l’imbarcazione si ferma del tutto, li aiuta a calare l’ancora facendo il minor rumore possibile.
Con gli occhi adattati all’oscurità, riesce a scorgere la riva a circa un miglio di distanza e, in risalto sulla massa scura della costa, il grande scoglio chiaro verso il quale sono diretti.
La barca con i tre uomini a bordo avanza silenziosa sotto la spinta dei remi, che producono solo un leggero tonfo al loro ingresso in acqua, mentre a riva non si nota alcun movimento e tutto sembra avvolto nel sonno tranquillo della natura circostante.
XII
L’ambulanza del 118, allertata da un’insolita chiamata urgente proveniente dall’isola di Ponza, arriva allo Stabilimento della Sunsystem di Aprilia dopo circa quindici minuti da quando ha lasciato la base.
Al medico e ai due infermieri dell’equipaggio, le condizioni dell’ingegner Silvestrini, ancora riverso in terra accanto al telefono, appaiono subito serie, tanto che i tre, dopo il primo soccorso di emergenza, decidono di portarlo subito in Ospedale a sirene spiegate.
Nella struttura ospedaliera il paziente viene immediatamente sottoposto ad idonea terapia e stabilizzato per evitargli possibili complicanze.
La forte fibra dell’Ingegnere reagisce bene alle cure e lascia ben sperare i sanitari sulla sua ripresa tanto che, riavutosi dallo choc e riacquistate in parte le forze, in sala di rianimazione non fa che chiedere di sua figlia senza tuttavia essere in grado di dire dove rintracciarla a Ponza.
I sanitari, sentendolo parlare di Ponza, di sequestro e di Carabinieri, lo ritengono ancora sotto l’effetto dei sedativi somministratigli e rispondono con promesse d’interessamento pur di non farlo agitare; ma più passa il tempo, più l’Ingegnere, recuperata una maggiore lucidità, chiede di essere messo in comunicazione con la Stazione dei Carabinieri di Ponza, dove ritiene possa trovarsi la figlia, tanto che il Primario, intuendo che la causa dell’infarto possa essere stato qualcosa di grave accaduto alla figlia, con l’intento di tranquillizzare il paziente, accondiscende ad una breve telefonata in sua presenza, pronto ad intervenire in caso di necessità.
Dall’altro capo del filo risponde proprio il Maresciallo, che assieme a Toni sta mettendo a punto il piano per catturare gli altri sequestratori:
– Carabinieri di Ponza. Sono il Maresciallo Di Giorgio, con chi parlo?
– Con Oreste Silvestrini. Sono il papà di Giorgia. Mia figlia è lì con lei? Sta bene? –
– Stia tranquillo, Ingegnere – risponde il Maresciallo assumendo un tono persuasivo – sua figlia sta bene. In questo momento si trova a casa mia, affidata alle cure di mia moglie. Ma lei piuttosto come sta? Ho visto sua figlia un po’ preoccupata.
– Ora sto un pò meglio, grazie a lei che ha chiamato l’ambulanza. Ma mi dica di mia figlia: è vero che è libera? Mi ha parlato in maniera piuttosto confusa di un ragazzo, un certo Toni, che l’avrebbe liberata, ma non sono sicuro di aver capito bene di chi si tratti. Può essere più preciso lei su questa circostanza?
– Per il suo ricovero in ospedale non deve ringraziare me ma proprio sua figlia, che si è allarmata non sentendo più la sua voce al telefono e ha insistito perché chiamassi il 118. Per quanto riguarda invece la persona a cui ha fatto riferimento, al momento non posso fornirle ulteriori informazioni poiché c’è un’operazione in corso. Posso solo dirle che ci stiamo attivando per risolvere al meglio l’incresciosa vicenda che vi ha coinvolti, anche se dovrei tirarle un po’ le orecchie per non aver chiesto subito l’intervento delle forze dell’ordine… Come padre, naturalmente, ha tutta la mia comprensione, e mi rallegro con lei per l’esito positivo delle cose. Ora però, se mi consente, devo occuparmi della parte finale dell’operazione. La richiamerò a cose fatte. Le auguro una pronta e completa guarigione e le prometto di portarle sua figlia al più presto.
– La ringrazio di cuore, Maresciallo, e le auguro anch’io buona fortuna. Vi aspetto qui a Roma.
Così dicendo, l’Ingegnere restituisce l’apparecchio al Primario con un sorriso e un ringraziamento che sciolgono i residui dubbi del medico sul suo stato emotivo.
Per la seconda missione notturna a Calafonte il Maresciallo Di Giorgio indossa nuovamente il giubbotto antiproiettile, controlla come sempre la calibro nove estraendola dalla fondina e, agguantata una potente torcia elettrica, sale sul defender di servizio dando l’ordine di partenza.
Il giorno prima Toni è stato molto preciso nel descrivere la grotta di Calafonte e i suoi dintorni, ma il Maresciallo conosce ogni strada ed ogni caletta di Ponza, trovandosi ormai sull’isola da oltre otto anni.
Mentre con i suoi uomini si dirige verso Le Forna, ripensa al giorno del suo arrivo a Ponza con il postale da Formia, dopo una lunga permanenza a Castro dei Volsci, il paese dell’entroterra frusinate che gli ha procurato i gradi di maresciallo dopo una brillante azione di contrasto all’infiltrazione camorristica in quel territorio.
Gli torna alla mente l’impaccio del Vicebrigadiere Restivo, che si trovò davanti il proprio superiore giunto senza preavviso, e la fretta con cui sgombrò la scrivania dalle sue cose per lasciarla al legittimo destinatario intento ad ispezionare l’ufficio.
Gli anni successivi gli avrebbero fatto conoscere meglio il sottufficiale, divenuto nel frattempo brigadiere, scoprendone la pronta intelligenza e una tale dedizione al dovere da farne il vice comandante ideale, assolutamente insostituibile in tutto ciò che concerne l’informatica e i ritrovati della moderna tecnologia elettronica.
Con lui divide tuttora la passione per la pesca e la cucina a base di pesce, tanto che in caserma è nota la sana rivalità tra i due, spesso impegnati in interminabili discussioni sul tipo di lenze o di esche da impiegare, sulle abitudini delle ricciole e le astuzie delle perchie [1] per sfuggire all’amo o sul modo di cucinare il fellone [2].
Il gracchiare della radio di bordo distoglie il Maresciallo dai suoi pensieri, mentre al suo fianco, alla guida del defender, il Brigadiere Restivo è impegnato a seguire i tornanti in salita della panoramica con l’orecchio attento ai messaggi radio in arrivo.
Dalla motovedetta, posizionata a ridosso di Punta del Papa, giunge notizia di un avvistamento radar con distanza cinque miglia di un’imbarcazione che sembra dirigersi proprio verso la zona sorvegliata.
– Questa volta potrebbero essere loro – fa il Brigadiere con aria speranzosa – quella non è zona battuta dai pescherecci e una barca da diporto non viaggia certo a quest’ora e con quella rotta.
– Restate a ridosso del promontorio e tenete gli occhi aperti. Sapete tutti cosa fare – ordina via radio il Maresciallo – noi ci mettiamo in posizione. Chiudo.
Così dicendo, il Maresciallo rimette a posto il microfono e si cala sulla fronte il berretto scuro di lana, imitato dai tre carabinieri al seguito e da quelli che occupano la seconda auto.
Un istante dopo ognuno dei militari è appostato nel suo nascondiglio mentre il Brigadiere dal suo punto d’osservazione scruta il mare con un binocolo ad infrarossi.
Dall’interno della grotta, in contatto radio con la squadra, il Maresciallo impartisce gli ultimi ordini. Poi inizia l’attesa.
Giunti a ridosso della grande roccia cava, Commodoro ritira i remi e si sporge dalla barca per non farla urtare contro gli scogli.
Seguito da Spagna, Baingio scende a terra rapidamente e, spalancata la porta con un calcio, si precipita all’interno della grotta, ma i due uomini non fanno neppure in tempo a dare un passo che vengono abbagliati dalla luce di una potente lampada, mentre una voce intima loro: – Fermi! Siete in arresto
E alla reazione di Baingio e dello spagnolo, che cercano di impugnare le armi, braccia poderose, materializzatesi all’improvviso dal buio della stanza, li immobilizzano e li ammanettano.
Al trambusto che proviene dall’interno, Commodoro cerca di guadagnare il largo intuendo cosa possa essere accaduto, ma solo allora si accorge della motovedetta, sbucata chissà da dove, che incrocia tra lui e il Regina Madre, perlustrando con un faro lo specchio d’acqua e tagliandogli la via di fuga.
Appena il fascio di luce lo inquadra, una voce metallica, amplificata da un megafono, squarcia il silenzio della notte, ordinandogli di arrestarsi immediatamente e di non compiere azioni ostili, perché sotto tiro.
Intanto, quasi ubbidendo ad un segnale convenuto, l’intera collina si anima di luci e di voci, mentre sulla strada i lampeggianti delle autopattuglie cominciano a roteare diffondendo la loro luce azzurra all’intorno.
Si accendono anche le finestre delle case più vicine perché i cani, messi in allarme dall’odore degli uomini appostati e dalle loro voci, danno libero sfogo ad un contagioso coro di latrati.
L’operazione dei Carabinieri, condotta personalmente dal Maresciallo Di Giorgio, si chiude col pieno successo e i tre malviventi sono in cella proprio quando il sole, facendo capolino dalla foschia dell’orizzonte, comincia a tingere di giallo l’Isola di Gavi.
[1] Bocconi. Pesci con strisce verticali scure e dall’ampia bocca.
[2] Granseola. Grosso crostaceo marino di colore rossastro e dalla prelibata polpa bianca.
Carlo Bonlamperti
[La gabbia di pietra (11) – Continua]