di Pasquale Scarpati
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Quando ho imparato anche a riposare in acqua, facendo il morto, oltrepasso u’ Scogli ‘i fore e mi dirigo prima verso Ciancòss, di là verso Santa Maria passando sotto l’arco dello Scoglio di Frisio, toccando la Marinella dei Morti, stando però attento alle chiane, in quel luogo abbondanti e piene di ricci. Alla fine del Turone, vicino alla spiaggia di Santa Maria, mi viene incontro Franco che si avvicina con fare sornione poi, all’improvviso, poggia le mani con forza sulle mie spalle e mi spinge sott’acqua. Risalendo in superficie faccio altrettanto, così ci divertiamo in questa sorta di altalena. Poi, a nuoto, ritorno a Sant’Antonio, sia perché voglio evitare il ‘ruttone di Santa Maria, sia perché l’asfalto brucia maledettamente. Altre volte, partendo da Ciancòss, mi dirigo verso la spiaggia della Caletta dietro al Lanternino.
Non mi preoccupo di nulla: l’acqua è limpida e barche a motore non ve ne sono o quasi. Mentre nuoto nella rada vedo apparire, in lontananza, verso le dieci e mezzo del mattino, da dietro l’isola di Gavi la nave proveniente da Anzio: rigorosamente ‘il Ponza’. Arriva tre volte a settimana, martedì, giovedì e sabato e riparte nello stesso giorno: c’u’ vapore arrivano i primi furastieri e quando se ne va, nel pomeriggio, trasporta anche qualche coppia di freschi sposi che ha deciso, avendo le possibilità, di effettuare il viaggio di nozze. Resto meravigliato dalla sua rotta inusuale e immagino porti lontani e sconosciuti. Il suo arrivo non mi preoccupa affatto perché so che ce la faccio a giungere alla meta prefissata.
Non ho timore né di nave né di barche ma di quelli che stanno a crogiolarsi al sole dietro alla Caletta perché qualcuno (mio fratello) mi ha detto (forse non troppo disinteressatamente) che quella è la spiaggia riservata alla coppiette, ufficiali e non. Non appena arrivo, infatti, dò un’occhiata frettolosa e poi per terra, a piedi nudi, in punta di piedi, quasi ballando (come scotta il basolato!) ritorno a casa. Così sono venuto a sapere che anche le spiagge sono riservate: quella di Sant’Antonio a noi più piccini, quella della Caletta per gli innamorati paesani. Quella di Chiaia di Luna è invece vietatissima perché lontana e perché potrebbe essere frequentata dai furastieri, gente sconosciuta e probabilmente perduta. Ma io penso di andarci qualche volta, di nascosto, per fare una summuzzata dalla Schiena ‘i Ciuccio di cui ho tanto sentito parlare da quelli più grandi di me, passando per la stretta viuzza e vincendo il timore di attraversare l’antico tunnel; nello stesso tempo, però, devo fare soprattutto attenzione a non imbrattarmi di pece che colà abbonda, le alghe invece vanno via da sole. Mi sono fatto dire dagli amici come agire nella triste eventualità e ognuno mi ha dato una sua ricetta: una pezza imbevuta di olio o una imbevuta di nafta o benzina, due sostanze, per me, difficili da reperire senza essere scoperto!
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Qualche volta mio padre, che soffre di artrosi, mi porta con sé a Frontone dove lui va a fare le sabbiature nella rena più sottile che si trova sulla destra di chi proviene dal mare. E’ una gita fuoriporta: pane, qualche companatico, acqua, asciugamani e larghi cappelli di paglia. Se riesco a sapere in anticipo quale natante ci trasporterà, vado subito in avanscoperta: tiro la cima, salto a bordo e per prima cosa alzo i pagliuoli per vedere se c’è acqua e se la gliema è sicura. Se c’è acqua, con un barattolo o con una spugna nera la ributto da dove è venuta ed attendo l’arrivo dei miei, bagnandomi ripetutamente i capelli. A me piace remare e quindi subito afferro una di queste pale abbastanza pesanti; infilo la corda nello scalmo, sperando che non si spezzi. Spesso litigo con mio fratello perché anch’io voglio partecipare allo sforzo. Lui mi accontenta e così abbiamo un remo per ciascuno: uno un po’ più avanti e uno un po’ più dietro. Ma spesso sono rimproverato perché dicono che faccio ‘chi zapp’ e chi sémmen’: non remo all’unisono. Si sciolgono gli ormeggi. Il remo cigola nello sforzo, crea un piccolo vortice e il natante si allontana dalla banchina. Per evitare l’attrito della rugosa corda con lo scalmo, la imbratto ‘i siv’ o sapone muolle. Mio fratello rema alla maniera dei pescatori stando ritto con il viso rivolto verso la prua, a me piace di più alla maniera sportiva, dando le spalle alla prua, mi diverte moltissimo siare e far girare la barca su se stessa manovrando i remi l’uno al contrario dell’altro.
La mia passione sono le barche Ho tanta voglia di possederne una, grande o piccola che sia; mio padre invece dice che è pericoloso. A me basterebbe che fosse grande anche come il canotto di Miniello. Io, comunque, salto su ogni mezzo che galleggia o che è sommerso nell’acqua, come le lanze e i canotti, affondati per far stringere le assi: mi diverte sentire quella massa cedere dolcemente sotto i piedi e le mani ed ubbidire ai miei comandi fino a capovolgersi.
Poche sono’e varche a motore. Tra esse conosco bene quella di Gigino il quale, prima di mettere in moto il motore odoroso di nafta, si veste da soldato con il lanciafiamme: impugna uno strano attrezzo che sprigiona una fiamma violenta, azzurrina e rumorosa, colpisce ma nello stesso tempo accarezza un bulbo scuro, di ferro, posto alla sommità del motore. Dopo un po’ di tempo Gigino spinge una, due, tre volte, con forza, una grossa ruota nerastra. Si sente ansimare, un respiro profondo: un gigante sta per svegliarsi da un sonno profondo ed ecco la ruota comincia a girare vorticosamente. Un’energia violenta e brutale viene sprigionata: la barca sobbalza, le assi sembrano quasi volersi disgiungere, un fumo nero viene sparato prepotentemente dal tubo di scappamento posto lateralmente, ci avvolge un rumore assordante ma cadenzato. Gigino manovra velocemente e con perizia, poi agisce su una manopola ed infine si siede a poppa vicino alla stanga del timone. La barca acquista velocità ma trema talmente tanto che da prua, dove mi piacerebbe stare, subito trasmigro in zone più tranquille: temo che, rimanendo lì, perfino il naso possa cadere. Tutto il paesaggio, inondato di sole, acquista un’insolita velocità e il vento, scompigliando i capelli, annulla la bella riga sul lato che mamma, pettinandomi, con tanta cura mi ha fatto.
Allorché questi frastuoni si attenuano in lontananza, il silenzio invade di nuovo la rada ma, qualche volta, questo viene di nuovo violato da un ronzìo scoppiettante: è un minuscolo fuoribordo, messo in moto avvolgendo prima una cordicella intorno al volano che si trova in testa al motore e poi tirando con forza; aggrappato ad una tavoletta spinge frettolosamente una barca dalla poppa a punta. Molto spesso, però, capita che il pigro motore o stenti ad avviarsi o dannatamente non si avvii; dopo lunghi, infruttuosi ed estenuanti tentativi il proprietario sudatissimo ed ad iratissimo sciorina tutto il suo santo rosario e si vede infine costretto a ricorrere ai vecchi e sempre obbedienti remi. Sarà sicuramente confortato da Maurino che lo attende giù alla banchina, con chiavi, cacciaviti, pinze, martello, ferro filato e tanto grasso.
Pasquale Scarpati
[U’ summariello e le barche (2) – Continua]