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Mostar, Matvejević e i miei viaggi attraverso “Pane Nostro”

di Lino Catello Pagano

 

Era una giornata uggiosa, quando arrivai al ponte… Le case tipiche croate… il selciato di pietra, sdrucciolevole… Il primo impatto fu di un mancamento di fiato; rimasi appoggiato al primo muretto che guardava il ponte. Mi misi con la testa fra le mani e i gomiti sul muro. Guardavo quella bellezza distrutta … le lacrime uscivano da sole, per l’emozione che provavo.

La stessa cosa l’ho provata all’inaugurazione. È stata un’esperienza meravigliosa. Io potevo entrare dappertutto. A quei tempi gestivo i servizi generali civili della kfor Balcani; avevo un tesserino della kfor (*) e perfino scorta militare…

Quando ero a Mostar sono stato anche a visitare la casa di Matvejević…

 

Lino Catello Pagano

(*) – La Kosovo Force (KFOR) è stata una forza militare internazionale, guidata dalla NATO, responsabile di ristabilire l’ordine e la pace in Kosovo, una provincia della Serbia, sotto l’amministrazione dell’ONU dal 1999 – NdR]

Quella del pane è una grande storia…

Matvejević ci parla di Dio e degli uomini, della storia e dell’antropologia,

della fame e della ricchezza, della guerra e della pace, della violenza e dell’amore…

Leggo da parecchi anni le opere di saggistica di Matvejević, un fine accademico profondo conoscitore non solo della sua terra, la Bosnia, ma anche delle tematiche più diverse. Dopo lo strepitoso Breviario mediterraneo e L’altra Venezia, ho letto anche il suo ultimo libro Pane nostro, in cui analizza la storia, i miti, la religiosità che accompagnano da sempre uno degli alimenti base della dieta occidentale, carico di simbolismi che trascendono l’aspetto puramente nutrizionistico. Come sempre il libro è costellato da una miriade di informazioni che lo impreziosiscono, essendo tra l’altro scritto in modo molto piano malgrado sia molto erudito. Un altro capolavoro di questo intellettuale, multi-etnico per nascita e per vocazione, da sempre perseguitato per le sue idee in patria.

Predrag Matvejević è nato il 7 ottobre 1932; suo padre era di etnìa russa benché nato a Odessa, in Ucraina; sua madre era jugoslava di etnìa croata. È nato in quel posto incantevole che è Mostar, sulla sponda destra del Neretva, il fiume che attraversa la città e la divide in due, tra la zona dove vivono i Cristiani e quella dove stanno i Mussulmani, dal lato sinistro dello stesso fiume. Il nome Mostar deriva proprio dal suo antico ponte (lo Stari Most) e dalle torri sulle due rive, i ‘custodi del ponte’ (mostari).

Al tempi della mia visita alla città vi era solo un ponte che portava da una parte all’altra, chiamato ‘Ponte dei leoni’;  ogni testata di ponte aveva due enormi statue di leoni, mentre il grande ponte abbattuto dalla guerra nel 1993 per la belligeranza dei due popoli e l’incoscienza degli uomini, era in ricostruzione.

La ricostruzione è stata propiziata dalla comunità internazionale attraverso il World Monument Found e sotto la bandiera dell’UNESCO. L’inaugurazione è avvenuta  nel 2009 con la riapertura al pubblico transito.

Ritornando al libro Pane nostro, la sua lettura  mi ha fatto ricordare i miei viaggi  e i sapori della cucina mediterranea e di quella mediorientale; i profumi differenti del pane cotto nei forni di terracotta o nei forni sotto la sabbia; i profumi del cumino, del cardamomo, e poi… lo zenzero, la vaniglia, le olive …

Anch’io, come l’autore di Pane nostro, nei miei vagabondaggi in giro per il mondo e soprattutto attraverso il mio lavoro sono stato portato a scoprire le panetterie dei paesi dove vivevo…

Così, andando con la mente a ritroso nel mio tempo, mi sono ritrovato in Iraq, la mattina alle 6, quando andavo a prendere il pane da un forno artigianale e dovevo aspettare lì un’oretta almeno per avere il mio pane. Avevano due enormi orci di terracotta interrati, sotto cui veniva accesa la legna e le pareti portate alla temperatura giusta; quindi dalla  pasta madre strappavano dei pezzi di pasta non lievitata, che attaccavano alle pareti interne ultrabollenti degli orci. Queste piccole palle di pasta cuocevano in due minuti e diventavano dei panini deformi ma profumatissimi! Ne mangiavo un paio là, ancora caldi; a volte, al campo, ci mettevo dentro della mortadella sottilissima ed era un godimento puro per il palato.

L’autore di Pane nostro ha fatto una affascinante antologia dei suoi viaggi e un elenco di tutti i sapori che ne ha gustato, offrendo al lettore le propri narici e delicatamente descrivendo i profumi e i sapori delle città visitate, nel suo lungo peregrinare per il mondo e nel mondo del pane in particolare. E ne racconta le avventure, come per esempio il pane azzimo degli Ebrei, senza lievito, che cuoce velocemente e profumato in base alla legna messa nel forno, perché le resine lasciano nei suoi anfratti quel profumo che dà al pane appena sfornato.

Era un pò come da noi all’isola, quando il pane si faceva in casa… Si preparava un giorno per l’altro, per farlo lievitare; poi si accendeva il forno con foglie e rami di castagno e si aggiungevano i ritagli delle vigne. Ho ancora nelle narici quel magico profumo di pane che sapeva un po’ di castagne abbrustolite e di quell’aroma indefinibile che veniva dalle fascine delle viti.

In Libia vi era una panetteria artigianale dove io mi rifornivo; facevano un pane libico riadattato all’italiana e lo cuocevano in un forno a cupola riempito  tutt’intorno di brace. Quindi veniva inserito il pane da cuocere e il forno era sigillato dall’esterno con sabbia bagnata. Era un rito fatto di silenzi assoluti… sembrava che si stesse pregando in attesa di un miracolo. E all’apertura del forno il profumo che si sprigionava ricordava molto quello dell’incenso che si diffonde nella Chiesa.

Da quel che ricordo, il profumo del pane era coinvolgente e pervasivo anche nella Kasba di Casablanca, dove andavo per comprare il kobsa, il pane arabo. Anche qui vi erano i riti della preparazione e profumi ancestrali di aromi e spezie locali, che riempivano le narici fino allo stordimento.

E in Nigeria, dove usavano molto la farina molto ricca di crusca, così che quando il pane veniva fuori dal forno, tutti gli aromi del frumento erano presenti e il sapore era un connubio di fragranze di terra e di spighe di grano.

In Algeria, nei vecchi paesini a ridosso del deserto, il pane, in piccole pagnotte di molta crosta e poca mollica, veniva impastato con cardamomo e pepe nero. Al momento di sfornare dovevi resistere alla tua impazienza di prenderne un pezzo e mangiarlo subito…

Lo sfornare del pane é uno di quei riti che si vedono nelle nostre Chiese, dove ci si presenta con le mani giunte ‘a contenitore’. Allo stesso modo ti avvicini al fornaio che in quel momento è l’officiante di un rito. E come l’Ostia che viene posta nelle mani del fedele, il fornaio pone la sua pagnotta profumatissima di cardamomo e semi di papavero nelle tue mani, e tu anche sfregandoti della scottatura delle dita, insisti nel rompere e mangiarne un pezzo (con avidità poco mistica, in verità!).

Tutte queste emozioni mi ha fatto rivivere, questo bel libro… Proprio come dice il Pater nostro …dacci oggi il nostro pane quotidiano e fa’ che non dimentichi mai quei sapori e quelli fragranze.

 

Lino Catello Pagano

4 Comments

4 Comments

  1. Silverio Valiante

    22 Gennaio 2012 at 12:57

    Rispondo al mio carissimo amico Lino Pagano per essersi ricordato d’a ‘uerra d’i cuppetiell’leggi qui
    Ponza era nostra, senza turismo… Io vivo ancora quei tempi quando stracquavene i tuotene a Chialiuna!
    Sono Silverio Valiante.
    Da buon ponzese trovo su Ponzaracconta gli anni più belli della mia gioventù trascorsi sull’isola, prima di doverla lasciare per andare a studiare fuori. I ricordi dell’infanzia non si dimenticano! Se potessi ritornerei al passato, quando Ponza non era invasa dal turismo e c’eravamo solo noi ragazzi che condividevamo il territorio tra il Porto e
    Sant’Antonio.
    Ti ringrazio per aver evocato cose ormai dimenticate da chi sa quanti giovani di oggi. Silverio

  2. Lino Pagano

    22 Gennaio 2012 at 13:46

    COSA HO PROVATO LEGGENDOTI SILVERIO, UN GRANDE TUFFO AL CUORE! …MIO AMICO CARO DEI BEI TEMPI ANDATI! NE PARLIAMO SPESSO CON UGO, FRANCAVILLA, SILVERIO, SILVERIO DE LUCA, ENNIO… QUESTA ERA UNA PICCOLISSIMA PARTE DI QUELLA GRANDE BANDA DI RAGAZZINI! SII, QUEI TEMPI ORMAI LONTANI E SPENSIERATI, UN’ISOLA INCANTEVOLE, COSA SI VOLEVA DI PIU’?!
    GRAZIE DI CUORE PER LA TUA AMICIZIA, A ME CARA. TI SALUTO E SPERO TANTO DI SENTIRTI, UN SALUTO DA BIAGGINO,TI SALUTO E TI ABBRACCIO. LINO CATELLO PAGANO

  3. Antonio De Luca

    23 Gennaio 2012 at 12:25

    Lino, hai scritto un bellissimo articolo che testimonia curiosità intellettuale e sensibilità interiore. Uno scritto pieno di vissuta umanità e vaste peregrinazioni, partite da quell’agglomerato di case di Chiaia di Luna, a Ponza, che ti hanno portato a navigare, a visitare mari e terre sconosciute, ma sempre con l’occhio e il cuore di uno di noi, ragazzi isolani e mediterranei.
    Conosco Predrag Matvejevic’, sono sicuro che gli piacerà molto; soprattutto poi quando si parla della sua città natale e del suo Paese che tante sofferenze gli ha procurato. E anche di più il tuo racconto, vissuto e raccontato in prima persona. Appena lo incontro gli leggerò questo scritto.
    Grazie Lino, questo tuo articolo dà spessore e lustro a tutti noi.
    Antonio

  4. Lino Pagano

    23 Gennaio 2012 at 14:41

    Un grande grazie e di cuore Antonio, so che conosci Matvejevic, ringrazialo da parte mia per le cose belle che scrive. Ho voluto rendere merito a una città bellissima, come Mostar, martoriata dalla guerra e ad un suo figlio che amichevolmente chiamo per nome: Predrag.
    Ancora grazie per le tue belle parole. Sì, Ponza è una fonte di energia che io attingo anche da lontano. Un grazie di cuore e un abbraccio. Lino

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