di Vincenzo Pagano
Con grande orgoglio e piacere pubblichiamo sulle pagine di ponzaracconta alcuni scritti del professor Vincenzo Pagano, economista ponzese che vive e lavora negli Stati Uniti da alcuni decenni. Emigrato da Le Forna a metà degli anni Sessanta, Pagano è docente di economia regionale in una Università di New York; ogni anno trascorre le vacanze estive a Ponza, dove è la casa di famiglia. Il suo intervento prende le mosse da un’articolata corrispondenza instauratasi tra l’economista e un suo caro amico di Calacaparra, Giuseppe Aprea, che è stato diverse volte a trovarlo a New York, e che, incuriosito e preoccupato – come del resto noi tutti – dall’attuale crisi dell’euro gli ha rivolto alcune domande al riguardo. E l’economista ponzese-americano gli ha risposto con scritti non accademici, ma divulgativi, certamente originali, che riteniamo utili a un pubblico vasto e composito anche di ‘non addetti ai lavori’.
Li proponiamo ai nostri lettori in più puntate, convinti di fare cosa interessante e gradita a tutti.
Ancora un sentito grazie al professor Pagano.
La Redazione
Se non si prende una grande decisione l’euro è spacciato. Non una manovra aggiuntiva come sempre hanno fatto in Europa. Per grande decisione s’intende eurobonds e trasferimento fiscale e/o Bce (Banca centrale europea) che immette denari. La soluzione migliore, ma che allo stesso tempo potrebbe scatenare tutta una serie di percorsi irreversibili, sarebbe una terza via d’uscita: avere come minimo due tipi di euro (più o meno euronord ed eurosud).
Un dato di fatto sin dall’introduzione della moneta unica è la perdita economica dell’Italia. L’euro che avrebbe dovuto amalgamare diverse aree dell’Europa ha fallito nel suo scopo (secondo me questo risultato era scontato sin dall’inizio, date le diverse strutture economiche europee). C’è divergenza in Europa tra le aree ricche e quelle meno ricche e queste divergenze resteranno tali o aumenteranno. Potrei aggiungere che negli Stati Uniti c’è una continua convergenza fra tutti i cinquanta Stati, ma qui c’è un vero mercato del lavoro, del capitale e delle merci. In più c’è un sistema di trasferimenti fiscali con un solo Tesoro e i treasury bonds. E’ vero che lo Stato del Mississippi è ancora povero, ma continuamente anche se lentamente dal 1869 va verso la convergenza. Nel 1965 il professor Williamson divenne famoso proprio con uno studio della convergenza americana sin dalla guerra civile. Gli ultimi studi dimostrano ancora tale convergenza. L’Italia, anche se patria di Machiavelli, cioè realista, non è riuscita ad avere una sua convergenza economica nonostante i 150 anni di Unità. E volete l’integrazione europea?! E’ pura follia. Cosa si farà?
Con i trasferimenti fiscali finirà lo stato-nazione della Francia. La Francia è uno stato-nazione antico dove naturalmente c’è una forte identité. Anche la Spagna e l’Inghilterra sono degli stati-nazione antichi. La Spagna, pur con una forte identidad, potrebbe accettare i trasferimenti fiscali verso un solo centro europeo. L’Inghilterra, un altro paese con una forte identity è fuori dai giochi. Ma per avere i trasferimenti fiscali a livello europeo ci vorrà moltissimo tempo. I politicanti ‘locali’ dovranno controllare e immischiarsi con i ‘globali’. Quando le tasse non rimarranno più sul posto, cambierà per forza tutta la rappresentanza politica. Un po’ di realismo non nuoce. Voglio solo aggiungere che sarà molto difficile per la rappresentanza politica francese accettare questo stato di cose. Tra l’altro non dimentichiamo tutti i vari movimenti populisti territoriali che stanno crescendo un po’ dappertutto (proprio per non accettare i diktat centralizzati europei) e la lega Nord in Italia dovrebbe far riflettere.
Comunque, i trasferimenti fiscali rappresentano una via d’uscita. Sia la Germania che l’Italia si stanno muovendo in questa direzione. Ma c’è un forte no dei francesi.
Tutte queste parole non colgono in pieno lo spodestamento politico dallo stato-nazione a un livello più alto o federale. Conoscendo un po’ l’Europa si sta scherzando col fuoco! Avendo tante risorse a disposizione con l’avvento dei trasferimenti fiscali, allora ci potrebbero essere politiche espansive e se il sistema bancario fallisse c’è sempre uno Stato con tante risorse. In America, quando fu istituita la banca centrale – la Federal Reserve (che è privata come la Banca centrale europea) – fu anche istituita nello stesso anno (1913), l’Income Tax, cioè la tassa federale che da tutti gli Stati va a Washington. Questi sono i Fiscal Transfer americani. Ciò significa che se il sistema va bene, i privati attraverso tutta una serie di banche private che fanno parte della Fed ci guadagnano. Se il sistema invece va male i cittadini pagano. Chi paga in Europa quando le banche, come accade ora per tante di esse, vanno male?
Il fondo salva-stati si intende quale fondo salva-banche. La Grecia che è andata in default paga solo il 50%, il resto viene dal fondo salva-stati, o meglio salva-banche. Gli italiani si sono fatti ‘fregare’ un’altra volta. I cittadini italiani hanno comprato i buoni del Tesoro: e se l’Italia va in default? D’ora in poi si devono trovare risorse immense solo per il 2012 e chi capisce di finanza è molto cauto con l’Italia. Non ci saranno risorse a sufficienza, oppure l’Italia ha ancora una ‘precaria’ salute di ferro? Dipenderà soprattutto dai cittadini italiani e non dalla finanza internazionale mantenere l’Italia a galla, e se le cose andranno male si andrà verso la catastrofe. Un conto è la piccola Grecia per la quale le risorse si trovano, un conto è la grande economia italiana.
Dovrei scrivere di più, ma aggiungo solo che nel lungo periodo è impossibile crescere dell’1% e pagare interessi del 6%.
Per quanto riguarda gli eurobonds, la Germania è decisamente contraria. I tedeschi pagano poco sugli interessi quando immettono i loro bonds. Gli altri pagano tutti di più, con la Grecia che deve pagare il 25% ed è andata in bancarotta. Certamente avendo gli eurobonds, i debiti europei non rappresenterebbero più un problema e tutti pagheranno lo stesso tasso di interesse. Dopo la rivoluzione americana ci fu lo stesso problema. Finalmente la Virginia, uno Stato del Sud che comprendeva il West Virginia e il Kentucky ed era lo Stato più grande e ricco dell’Unione, si accollò tutti i debiti degli altri Stati e come compromesso volle la capitale federale vicino alla Virginia. Ma quelli erano altri tempi, in cui c’erano tantissime opportunità, con un’espansione territoriale a livello continentale e un’espansione quasi esponenziale della popolazione. La Germania dovrebbe fare lo stesso. Ma la popolazione europea è vecchia e certamente non crescente (…i vecchi in aumento devono pagare per i giovani in diminuzione: ‘it does not make sense’: ciò non ha senso). In più, se la Germania accettasse gli eurobonds vorrebbe come compromesso la guida politica dell’Europa. Quello che non è riuscita a fare con due guerre mondiali, riuscirà a farlo ora? Ho i miei dubbi. Il compromesso, o matrimonio, tra Francia e Germania prevedeva e tuttora prevede la Germania come forza economica trainante e la Francia come forza politica e militare (force de frappe) dell’Europa.
Per quanto riguarda la Bce che immette denari, secondo me è poco probabile. La Germania ha avuto, nel 1923, un livello di inflazione di sei milioni per cento […avete letto bene! Erano tempi in cui un francobollo costava milioni di marchi e si andava a comprare il pane letteralmente con una carriola di banconote!]. Quell’inflazione più la crisi mondiale della grande depressione portò Hitler al potere. I tedeschi non lo hanno mai dimenticato. Può darsi che con la presenza di un italiano, Draghi, cercheranno di immettere più denaro e alleggerire un po’ l’indebitamento, quello che gli economisti chiamano ‘monetizzazione del debito’, ma ciò non risolverà il problema in misura apprezzabile.
Il problema principale di tanti stati europei, soprattutto l’Italia, è la bassa crescita e di conseguenza la grande disoccupazione. Ma i leaders europei continuano a mostrare la loro cecità. La Germania a tutti i costi ha convinto quasi tutti ad adottare il modello tedesco basato sul pareggio di bilancio (in teoria). Dalla guerra ad oggi in Germania è sempre prevalsa la linea del rigore. La Banca centrale detta i parametri e il resto dell’Europa si deve adeguare. Il parametro principale è il contenimento dei prezzi. Questo è un obiettivo in tutte le economie, ma soprattutto in Germania e Svizzera è qualcosa di religioso. Il resto è cercare di avere un bilancio dello Stato fra entrate e uscite.
I tedeschi nel mollare il marco forte basato su questi assunti hanno giustamente preteso che la nuova moneta, l’euro, debba seguire più o meno lo stesso percorso. Pertanto i trattati di Maastricht hanno previsto un deficit di non più del 3% e un debito totale di non più del 60% del Pil (Prodotto interno lordo). Ma dall’introduzione dell’euro il primo gennaio del 2002, tanti Stati e anche la Germania ha ‘sforato’ e la stessa Germania ha un debito intorno all’60% del suo Pil. L’Italia è al 120% e il reale debito greco è quasi al 200%. In più, dall’introduzione dell’euro l’Italia è cresciuta solamente dell’uno per cento l’anno. Il divario fra l’Italia e la Germania invece di diminuire è aumentato e la produttività italiana è rimasta stagnante. I migliori risultati economici come l’occupazione, le esportazioni, la competitività, la produttività, il contenimento dei prezzi e la crescita si sono avuti nei paesi ricchi. Il problema principale dell’euro sta proprio in questa divergenza. Per come è strutturata l’economia italiana, l’euro è una camicia di forza. Va bene per la Germania che ha una struttura diversa, ma in Europa le strutture non possono cambiare velocemente. In poche parole il problema principale non è il debito ma la bassa crescita.
Ora, con queste nuove disposizioni ossessive sul bilancio, specialmente adesso che l’Europa è in recessione addio crescita, e l’euro da camicia di forza è passata a camicia di strangolamento. Dal dopoguerra a oggi gli Stati Uniti hanno sempre rilanciato l’economia con delle politiche keynesiane (deficit spending) e gli altri Stati hanno seguito. Per com’è fatta l’Italia, e anche in tanti altri Paesi, ci vuole una politica espansiva, non restrittiva.
Quali saranno le conseguenze? L’inflazione sarà sotto controllo ma la disoccupazione andrà alle stelle, e di conseguenza aumenterà il debito dovuto al minor gettito fiscale. In conclusione, ci sarà più crisi.
Vincenzo Pagano
[Economia per principianti (1) – Continua]
Silverio Lamonica
15 Gennaio 2012 at 19:27
Ho letto e riletto, con attenzione, l’articolo del Prof. Vincenzo Pagano che ho avuto la fortuna di conoscere quando, ancora ragazzo, veniva al corso popolare per adulti di Le Forna (anno scolastico 1966/67, se non erro) dove insegnavo. Già allora gli analfabeti e i semi-analfabeti non erano quasi più in circolazione e quei corsi erano stati concepiti per combattere l’analfabetismo. Quindi misi a frutto la conoscenza della lingua inglese – sia pure non ad altissimo livello – e mi inventai un corso che ebbe un certo successo. Tra i ragazzi che lo frequentavano c’era anche lui, il futuro docente universitario, Vincenzo (Enzo per gli amici, ed ho l’onore – spero – di essere rimasto tale). Ricordo che seguiva le mie lezioni con la massima attenzione, rivolgendomi tante domande in proposito, che mi spingevano a documentarmi con lena sempre maggiore.
Lo ringrazio per la chiarezza con cui ha trattato la materia, ostica ai più (me compreso); ne fa una vera “vulgata” (come avveniva nel Medio Evo con la Bibbia spiegata al “volgo”), ma a differenza di allora – quando monaci e preti spesso travisavano le Sacre Scritture per tener meglio sottomesso il popolo, cioè ai voleri del feudatario o del sovrano e del clero – Vincenzo ci illumina con la massima chiarezza e veridicità sui complicati meccanismi che regolano questa scienza (l’interesse sta nel fatto che egli ci indica anche la via per evitare il baratro del “default”).
A questo punto mi viene un sospetto: ma questi detentori del potere economico e molti “professori e luminari” dell’economia che li assistono non è che si comportano come quei “religiosi” medievali e ci costringono a fare sacrifici su sacrifici, mentre i loro profitti aumentano a dismisura?
Ma a parte tale domanda che potrebbe sembrare gratuita e/o demagogica, a proposito di “crescita” vorrei chiedere all’amico Enzo se la crescita economica si identifica con la “vocazione naturale” di un paese. Mi spiego meglio: l’Italia è il “Bel Paese” perché è dotata di un patrimonio paesaggistico, artistico e culturale inestimabile, direi unico al mondo. Quindi per “crescere economicamente” non sarebbe il caso di “perfezionarci nell’arte del turismo”, sia salvaguardando tale patrimonio, sia specializzandoci a “venderlo”? Purtroppo abusivismo, incuria, noncuranza e ignoranza quasi totale rappresentano un gravissimo handicap per tale sviluppo e poi ci sono i prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato, la moda… Non sarebbe opportuno che ci perfezionassimo in questi campi? E non sarebbe opportuno che anche la Grecia e la Spagna (anche loro con grandi opportunità in campo turistico) seguissero una tale “via”?
Il turismo, in un certo senso, potrebbe ricompensare le “perdite” che si stanno verificando sul piano industriale … Marchionne che vorrebbe spostare la FIAT in Canada, fabbriche che chiudono o falliscono ecc.
Comunque seguirò, assieme a tanti (spero), le puntate successive.
Un caro saluto.
Silverio
carmine pagano
18 Gennaio 2012 at 17:48
Con immenso piacere apprendo da questa sua lezione di economia che anche lei come me considera le manovre aggiuntive, di cui tanto si parla, non la soluzione ma aggiungo il peggioramento dell’economia causando recessione e deflazione.
L’aumento della divergenza in Europa tra aree ricche e quelle meno ricche avviene nella zona Euro, tra i paesi che hanno adottato l’Euro come moneta unica, infatti la Polonia che utilizza la Zloty come moneta ufficiale ha una crescita media del PIL del 4% e oltre, più della Germania ed attualmente non è intenzionata a far parte della zona Euro, la responsabilità è delle politiche dell’Unione Europea che prima doveva unire i popoli poggiando le fondamenta su alti valori come la solidarietà, integrazione tra i popoli europei e non creare il tutto su un unico valore: il denaro, emblematico le divergenze tra i primi ministri e l’accordo dei 27 stati non raggiunto, Cameron che è deciso a tutelare gli interessi britannici dentro l’Unione europea e la forte discriminazione nei confronti dei paesi considerati di serie “B” come Grecia, Portogallo, Spagna e Italia. La macchina burocratica è troppo distante dal sentire comune: 1) i membri e il Presidente della Commissione Europea non sono eletti direttamente dal popolo eppure sono il motore del diritto comunitario; 2) nessun referendum per l’ingresso in Europa e per i vari trattati Maastricht, Lisbona ecc. eppure con essi abbiamo perso la nostra sovranità sia legislativa che monetaria, la Germania di Hitler con la sovranità monetaria è diventata una nazione potente in soli 4 anni.
Poche settimane fa la BCE ha prestato 475 miliardi di euro alle banche commerciali e finanziarie europee e quest’ultime con questo denaro hanno comprato titoli di stato di paesi come l’Italia ad un rendimento del 6%; sono queste le politiche di rigore che chiedono agli Stati nella famosa lettera di Trichet e Draghi?
Su un punto non concordo interamente, quando lei parla della Banca Centrale Europea come banca privata, la stessa è partecipata dalle varie banche centrali nazionali dei paesi dell’Unione Europea, comprese quelle di paesi che non fanno parte della zona euro come la Banca d’Inghilterra, diverse banche centrali nazionali sono a maggioranza privata come Bankitalia solo il 5% è pubblica ed altre a maggioranza statale (Inghilterra, Germania, Francia). Per me il vero problema è che la politica monetaria deve appartenere agli Stati, non ad organi esterni e chi crea o stampa moneta lo deve fare accreditando la moneta allo Stato e non addebitandola ottenendo in cambio titoli del debito con relativa promessa di restituzione maggiorata di interessi.
Altro nota importante è il potere decisionale sul tasso d’interesse, alzandoli o abbassandoli si determina il benessere della società.
Bisogna ripensare al concetto della globalizzazione, parola che da diversi decenni ci viene proposta in ogni cosa: in cucina, nella cultura e soprattutto nel lavoro, che in quest’ultimo settore, bisogna pur dirlo, non trova facile applicazione ed in molti casi è nefasto applicarla per le economie dei paesi con risultati facilmente riscontrabili nella vita reale, delocalizzazione, disoccupazione, perdita dei diritti acquisiti dei lavoratori art.18 ed importazione di prodotti da paesi come Cina, India dove un lavoratore dipendente cosa 1/5 rispetto ad operaio italiano, la solita guerra tra poveri con l’arricchimento dei soliti burattinai.
Concordo pienamente con lei quando parla di “politiche Keynesiane”, sono convinto che occorre un maggiore intervento dello Stato, con politiche espansive, riappropriandosi della sovranità monetaria e ristabilendo finalmente il proprio ruolo di padre benevolo e benefattore tenendo a cuore il bene di tutti, infatti quando i mercati finanziari crollano e non casualmente, sono sempre gli Stati con i propri cittadini a pagare le crisi, costretti a vivere in situazioni precarie e spaventati da un futuro incerto.
La soluzione è semplice ma non deve essere applicata perché chi ha il potere vuole continuare a dominare.
Grazie professore per il tema che ha scelto di trattare, attuale e molto interessante, mi auguro di poterla conoscere di persona quest’estate sulla nostra amata Isola in attesa di quel giorno seguirò con entusiasmo ed attenzione le sue lezioni di economia.
Cordialmente saluto il Professore e tutti gli amici di Ponza Racconta.