Continua la rievocazione del Natale del 1935 che mio padre, Eugenio, trascorse sull’altopiano etiopico.
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Mercoledì 25 dicembre 1935
Il tempo non serba più alcuna traccia dell’inclemenza di ieri; questa mattina, quando mi alzo, ancora prima del sorgere del sole, perché, sebbene sia Natale, la vita qui all’accampamento non cambia per niente, il cielo è terso e tutto colorato di un bell’azzurro, percorso a levante da bagliori di fiamma che annunciano l’imminente spuntare del sole. Prima della distribuzione del caffè, nel quale questa mattina c’è pure un po’ di latte condensato, il Tenente fa l’adunata del reparto e augura a tutti noi buon Natale; noi ringraziamo e contraccambiamo gli auguri.
La mattinata trascorre senza che succeda nulla di interessante; io mi rado la barba, indosso una camicia pulita, tant’è non si può fare a meno di sentire, in se stessi, che oggi è festa e una festa più solenne di ogni altra, perciò anche nell’esteriorità della persona cerchiamo di avere l’aspetto più decoroso possibile.
A mezzogiorno la nostra mensa è composta dei seguenti cibi: pastasciutta, molto cattiva, un pezzo di carne in umido, formaggio, marmellata, tonno con sottaceti; però, siamo provvisti anche di un buon fiasco di vino Frascati e un pacchetto di biscotti con i quali, insieme ai miei tre compagni di tenda, festeggio allegramente il Natale.
Mentre consumo il mio parco pranzo, seduto sul pagliericcio e con la gavetta come piatto, penso a casa mia: sebbene con tutti gli agi della casa, i miei saranno forse più malinconici di me, perché il loro pensiero sarà costantemente rivolto all’Africa, ove io mi trovo per la guerra e dove immaginano che io stia peggio di quanto non sia la realtà.
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Nemmeno l’aviazione, nonostante il Natale, sta inoperosa; parecchi sono gli aeroplani che pure oggi si levano in volo con la solita sicurezza e si dirigono ad esplorare le linee nemiche perché per il soldato il dovere precede ogni esigenza.
Alla sera, verso il tramonto, il padre Cappellano, ancora presso l’altarino, recita il Santo Rosario e nuovamente tutti andiamo a compiere un atto di omaggio e di ringraziamento a Gesù Bambino nel giorno che ricorda la sua nascita.
Sabato 28 dicembre 1935
Ieri sera sull’Amba Aradam, una grossa montagna rettangolare, che termina in vetta con una terrazza, posta ad una quarantina di chilometri a sud-est di Macallé, sono comparsi un’infinità di fuochi nemici; a meno che non siano stati accesi appositamente per farci credere alla presenza di un grande dispiegamento di forze, si dovrebbe dedurre che quello è diventato il luogo di concentramento delle forze abissine. I nostri osservatori avanzati, infatti, comunicano di aver visto sull’Amba Aradam pezzi di artiglieria ed automezzi nemici.
(…)
Il bollettino radio pervenuto oggi, dà notizia di importanti scontri avvenuti fra i nostri battaglioni eritrei del Corpo d’Armata indigeno e forti contingenti nemici; presso Abbi Addi è avvenuto lo scontro più importante: le forze abissine ammontavano a ben cinquemila uomini; i nostri, in breve, hanno avuto il sopravvento infliggendo notevoli perdite al nemico che si è ritirato lasciando sul terreno settecento morti e duemila feriti. Le nostre perdite ammontano a centocinquanta ascari, cinque ufficiali italiani e sei feriti pure italiani. Il bollettino, inoltre, riferisce del micidiale effetto ottenuto dai bombardamenti aerei effettuati in questi giorni, che hanno inflitto gravissime perdite al nemico.
Domenica 29 dicembre 1935
Oggi è giornata festiva, ma nulla di particolare mi ricorda che oggi è domenica; lo so solo perché consulto il calendario da tasca che porto sempre con me.
Il cielo è nuvoloso; verso le 17.30 si alza un forte vento e comincia anche a piovere per non più di una ventina di minuti, poi il cielo si rasserena e l’aria si fa pungente.
Lunedì 30 dicembre 1935
Nessun avvenimento degno d’importanza qui al nostro bivacco. Poiché è arrivato un camion carico delle provviste per il capodanno, mi rifornisco di viveri in scatola e di sigarette; queste ultime mi sono oltremodo gradite, perché ne ero privo da qualche giorno, così ne fumo subito tre o quattro con grande avidità; la giornata scorre senza alcuna altra novità.
Antonio Usai
[Feste Natalizie sull’altopiano etiopico – 1935/36. (2) – Continua]