di Gino Usai
Nel 1952 Maria Civita De Luca volle completare l’arredo della Chiesa con un elemento fondamentale: uno splendido Fonte Battesimale in marmo pregiato.
Nel Natale del 1957 dal popolo di Ponza venne donato a Gesù Bambino un ricco lampadario di Murano stile Maria Antonietta, simbolo della sfavillante Luce del Dio nascente, che calato dal Lanternino illuminava la Bomboniera come la Grotta di Betlemme. La Chiesa nuova, affrescata e arredata, simbolo di riscatto e di rilancio dell’intera comunità, divenne l’orgoglio e il vanto di Ponza. Il parroco Dies avviò una serie di attività religiose sempre più intense e partecipate. La comunità cresceva e prosperava, nel sacrificio e nell’onestà. Così Ponza andava via via assumendo una sua più determinata fisionomia sociale, civile e morale, mentre la gioventù cresceva sana e spensierata intorno all’Azione Cattolica. Poi, sul finire degli anni Cinquanta, il turismo: “’U malepesce dint’a tunnara”.
Nel 1959, colpito da sofferenze e malanni Dies chiese al vescovo di poter essere trasferito in terraferma per poter meglio curare e guarire i suoi mali. Lasciò così il suo prezioso lavoro pastorale a Ponza e venne trasferito a Gaeta, dove assunse la carica di parroco presso il Duomo. A Ponza gli subentra il parroco Don Michele Colaguori, che porterà avanti egregiamente il suo ministero. Dopo aver prestato servizio a Fondi e per quattro anni a Gaeta, il primo luglio del 1969 tornò a Ponza, su sua esplicita richiesta. Tornò con l’intenzione di ridare nuovo vigore e nuovo impulso alla comunità. Trovò la chiesa in cattive condizioni, chiusa e dichiarata inagibile. Si attivò subito per riabilitare il tempio e avviò i lavori di ristrutturazione. L’abside dell’Altare Maggiore aveva perso l’originale affresco della Trinità, di cui lo stesso Dies ci ha fatto la descrizione, coperto da un bianco strato di calce. Decise di ripristinare l’antica dignità dell’abside rivestendolo con un prezioso mosaico che rappresentasse la Santissima Trinità. Nel 1970 contattò la Ditta “Mellini Mosaici” di Firenze e in poche settimane ecco risplendere luminosa sull’Altare Maggiore la raffigurazione della Trinità, che ancora oggi campeggia trionfale e ci illumina. Pochi anni ancora e nel 1973 Dies renderà la sua anima a Dio, a termine di una lunga e dolorosa malattia. Da allora in avanti nessun intervento importante è stato fatto sulla Chiesa, se si esclude il nuovo altare, posto al centro della Bomboniera, necessario per ottemperare a quanto prescritto dalla riforma eucaristica che prevede durante la messa il celebrante “versus populum” e non più verso oriente “ad Deum”.
Per ultimo è da annotare il pregevole affresco effettuato su un riquadro del tamburo, che rappresenta S. Silverio inginocchiato sull’arenile di Ponza in abito monacale, per mano della pittrice ponzese, di origine tedesca, Florentine Wallner.
Oggi la Chiesa della SS. Trinità trasmette il senso di un certo abbandono, non solo nella pratica liturgica, ma anche nella sua struttura materiale. Io credo che Ponza possa rinascere intorno alla Chiesa, ma è necessaria la restaurazione e la valorizzazione del suo tempio più importante.
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Proprio in questi giorni, mentre mi accingevo a scrivere gli ultimi racconti sulla Chiesa della SS. Trinità, mi è pervenuta, da fonte molto attendibile, la seguente incredibile storia.
Si era agli inizi del 1940. Il giovane parroco Dies reggeva la Parrocchia di S. Silverio e S. Domitilla da circa un anno e nonostante la difficoltà dei tempi era riuscito a mettere in moto la macchina economica e burocratica per l’ampliamento della Chiesa Madre. La ditta procedeva allo scavo del banco sabbioso per trovare la roccia su cui poggiare con sicurezza i pilastri dell’edificio. Lo scavo delle fondazioni andava avanti da molti giorni, ma non si riusciva a trovare la roccia. Dopo 19 giorni di scavo si era quasi giunti al livello del mare e il capomastro sconsolato disse al parroco che se l’indomani non avessero raggiunto la roccia avrebbero rinunciato ai lavori. La mattina del ventesimo giorno, confidando sul numero 20, il numero del taumaturgo, il parroco s’arrampicò sull’altare di S. Silverio, staccò il pastorale dalla mano del Santo, raggiunse il capomastro che aveva iniziato i lavori, gli si avvicinò e portogli il vincastro di S. Silverio gli disse: “Picchia tre volte a terra con questo bastone”. Il capomastro, stupefatto e incredulo, obbedì e colpì energicamente il terreno. Al primo colpo inferto la terra rispose con il tintinnio metallico del pastorale che aveva battuto sulla viva roccia. Gli astanti rimasero esterrefatti e dopo lo smarrimento iniziale ripresero i lavori. Così, con l’aiuto di S. Silverio, vennero finalmente gettate le fondazioni della nuova chiesa e non vi furono più ostacoli fino alla conclusione dei lavori.
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Il nuovo parroco don Ramon sembra determinato a dare nuovo lustro alla nostra Chiesa Madre, facendo restaurare tele, candelabri, turiboli, pissidi, calici e patene borboniche risalenti alla chiesa primordiale. E ho saputo che si sta interessando anche al recupero delle lesene, gravemente compromesse in alcune parti per la perdita dell’intonaco e la cancellazione degli affreschi. Bisogna intervenire d’urgenza perché un grande patrimonio artistico e culturale sta per scomparire.
Ma l’allarme è più grave, perché è l’intera struttura dell’edificio ad essere fatiscente, a partire dal cupolone, ormai gravemente lesionato da preoccupanti fenditure. Temo che tra poco la sicurezza dei fedeli sarà compromessa e interdetto l’accesso nel tempio. E allora muoviamoci, perché la nostra Chiesa è in pessime condizioni. Le autorità competenti si diano da fare per un immediato e risolutivo intervento di restauro, prima che sia troppo tardi, e i fedeli tutti siano vigili, uniti e ben disposti.
Oggi, entrando nella chiesa della SS. Trinità viene una stretta al cuore. La sua bellezza e la sua spiritualità sono intatte, ma la sua sofferenza è la nostra sofferenza. Guardando in alto campeggia ancora nel suo immenso splendore il bastimento di Capitan Raffaele, e quel navigar in tempesta stringe il cuore, perché incombe nel nostro animo come metafora di Ponza… e vengono in mente i versi di Dante, che si potrebbero così parodiare: “Ahi serva Ponza, di dolore ostello,/ nave sanza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di province, ma bordello!”
Poi lo sguardo è attratto dalla luminosità della Trinità, e si resta incantati e colpiti dalle luci accecanti del mosaico e da quei raggi scintillanti emanati dallo Spirito Paraclito che ci sovrasta. E vorremmo tanto che ci inondassero di luce piena fino a trasformarci radicalmente, invocandolo con gli indimenticabili versi di Manzoni:
“Noi T’imploriam! Placabile
Spirto discendi ancora,
a’ tuoi cultor propizio,
propizio a chi T’ignora;
scendi e ricrea; rianima
i cor nel dubbio estinti;
e sia divina ai vinti
mercede il vincitor.”
Io credo che Ponza potrà cominciare a guarire dai suoi mali, solo se la nostra comunità, con molta cenere sul capo, torni umilmente in Chiesa e invochi la Vergine e S. Silverio di intercedere presso il Padre Nostro affinché lo Spirito Santo scenda su di noi e ci illumini, per ricominciare una nuova Storia, più giusta e più umana per tutti.
Gino Usai
Fine