proposto da Gabriella Nardacci
“Il mare mi apparve; che era infinito e tranquillo.
Era azzurro infinito, e nel lontano grandi strisce d’argento lo imbiancavano lunghe fino agli estremi orizzonti. La luce saliva dal mare, scendeva dal cielo, brillava nell’aria. Il mare era quieto e sicuro, solo un tremante margine di spuma sul lido tradiva il suo piacere di vivere. Azzurro e luce volavano sopra la terra. Il mare e il cielo respiravano luce e calore e ne inondavano il mondo.
I miei occhi si riempirono di lacrime tenere.
M’appoggiai allo spigolo di un muro. Ero nell’ombra, l’ombra del muro, che si stendeva fino a due passi da me stampata nera e diritta nella rena brillante: e oltre quella linea la rena continuava nella luce per un vasto spazio fino a un orlo di ghiaia dove finisce la terra.
Perché io sostavo così dentro quell’ombra del muro, per questo il mare non mi aveva ancora veduto.
Allora mi staccai dal muro e uscii all’aperto in mezzo a tutta la luce in faccia al mare.
Ed ecco di colpo s’oscurò rabbrividendo il sole e un tremito scosse il mondo come un gran terremoto dell’aria; d’improvviso tutto fu grigio e tempesta intorno a me, ed era spaventevolmente sconvolta la faccia del mare. Una ruga enorme d’un tratto l’avea tutta solcata dalla riva all’orizzonte come una voragine torbida, e poi altre cento o mille rughe lo frantumarono; caverne si scavarono e montagne s’arrampicarono: tutto si riaccavallò il mare di acque immerse che lo sconquassavano schiumando con una gran rabbia in tutte le direzioni. Le onde si mescolavano in alto con le nubi e riempivano l’aria di grida terribili correndo fragorosamente a rovesciarsi sempre più cavernose e colleriche contro la spiaggia: l’aria era piena di gelo e la sbattevano i venti. Anche il cielo era gonfio di nuvole e rabbioso e nero, perché il cielo non è che la fronte espressiva del mare.
Io fui subito molto contento che il mare mi trattava a quel modo. S’egli mi avesse accolto con indifferenza, o con una fredda e signorile cortesia come fa con certa gente, oppure – e ora confesso che questa era, fin dall’ora della mia partenza sul treno, il mio segreto timore – avesse addirittura finto di non riconoscermi, credo sarei morto dal dispiacere e dall’umiliazione. Invece il mare appena mi ebbe visto si corrucciò e m’aggredì con urli e minacciosi improperi, perché mi voleva ancora bene, come lui sa volere quando trova qualcuno che gli va a genio.
Perciò il mio cuore si gonfiò di gioia a quell’accoglienza iraconda. Non alzai verso lui le braccia, per un mio vecchio pudore dei gesti fatti; e nemmeno gli dissi nulla: neppure una parola. Credo che gli sorrisi”.
Massimo Bontempelli, 1925 – ( Foto da Flickr ® )
Breve nota sull’Autore.
Massimo Bontempelli (1878-1960). Saggista, drammaturgo, docente, giornalista. Primo libro ” La vita operosa” (1921). Amico di Pirandello, di Alberto Savinio e di Giorgio De Chirico. Collabora con Moravia alla fondazione del settimanale “la Città”. Nel 1929 fonda il primo cineclub italiano. Premio Strega con “Amante fedele” (1953).
Ha tentato di trasferire alcuni degli esperimenti del surrealismo nell’arte italiana, che chiama – precorrendo i tempi – ‘realismo magico’.
Ha lasciato scritto, tra l’altro:
“Le parole non sono belle. Le lingue non sono belle. La creta bella non esiste; la creta è fango, è sporca. Così le parole. Le parole generano il “letterato”, pseudo-uomo, antipoeta: la più ridicola genia che l’umanità abbia conosciuto. Temo che l’Italia sia la nazione che ne ha prodotti in maggior copia. Speriamo che stia esaurendoli”.
(Da: L’avventura novecentista, III. Consigli)
E sul ‘Realismo magico’:
“Immaginazione, fantasia: ma niente di simile al favolismo delle fate: niente mille-e-una-notte. Piuttosto che di fiaba, abbiamo sete di avventura. La vita più quotidiana e normale, vogliamo vederla come un avventuroso miracolo: rischio continuo, e continuo sforzo di eroismi o di trappolerie per scamparne. L’esercizio stesso dell’arte diviene un rischio d’ogni momento. Non esser mai certi dell’effetto. Temere sempre che non si tratti d’ispirazione ma di trucco. Tanti saluti ai bei comodi del realismo, alle truffe dell’impressionismo. (…) Ecco la regola di vita e d’arte per cent’anni ancora: avventurarsi di minuto in minuto, fino al momento in cui o si è assunti in cielo o si precipita”.
(Da: Opere scelte. Milano 1978)
A cura di Gabriella Nardacci