Ringraziamo Silverio Tomeo per aver rievocato una pagina dolorosa, anche se poco conosciuta, della nostra storia, densa di eventi e di vittime.
La Redazione
In occasione dell’anniversario dell’8 settembre del ’43 del secolo scorso, e anche del 9 settembre dello stesso anno alle Bocche di Bonifacio, tra Corsica e Sardegna…
L’ho scritto per il sito ponzaracconta...
Silverio Tomeo
Il giovane marinaio
di Silverio Tomeo
Dall’Irpinia non si vede il mare, forse neppure se ne sospetta l’esistenza. La penisola sorrentina non è lontanissima, con i criteri odierni, neppure la costiera di Amalfi che fu il cuore della repubblica marinara, né il porto di Salerno. Eppure ancora mi chiedo se mio padre, prima di andare ad arruolarsi volontario a diciassette anni al Comando Marina di Gaeta, avesse mai visto il mare.
Da alcuni anni è ormai troppo tardi per chiederglielo, così come per altri dettagli della sua storia di guerra e di dopoguerra. Come molti ne parlò sino ad un certo punto, per poi tacerne, per le incombenze della vita, per pudore, per rimozione. Intanto agivano le nuove configurazioni dei conflitti politici che alle spalle avevano l’ombra del lascito del secondo dopoguerra. Erano ancora ben vive e presenti le memorie familiari del conflitto che assieme al nefasto ventennio aveva cambiato tutto nel paese, nelle famiglie, nel modo di sentirsi meridionali ed italiani.
“Stordito da quel suono grave e orrendo / che squassò cielo e mare / com’uno che sia stato sette giorni / affogato, il mio corpo galleggiava”, così racconta il vecchio marinaio della ballata di Samuel Taylor Coleridge quando affonda il suo vascello.
Il giovane marinaio, dopo l’anno di addestramento degli Operatori segnalatori volontari (1941-1942) alle scuole C.R.E.M. di Pola, venne mandato a Tolone, nella Francia di Vichy del maresciallo collaborazionista Pétain, nel territorio che dal novembre del 1942 fu occupato dagli italiani. Ci raccontava del suo naufragio, di un’isola sotto la Corsica dove si rifugiò assieme a pochi altri scampati a mangiare bucce di patate, e dopo l’euforia dei naufraghi via dalla Francia a piedi per mesi nell’Italia occupata dai nazisti, per tornare al suo paesino dell’avellinese e rendere omaggio all’icona della madonna nera del santuario di Montevergine.
Il giovane marinaio, un ragazzone dell’Irpinia, non aveva troppe attitudini intellettuali, né si premurò mai di studiare la sua guerra, pur conservando quella oscura percezione dei cimiteri immensi sotto la luna dei commilitoni caduti, dalle migliaia di marinai della Regia Marina alla moltitudine dei soldati delle armate alleate che combatterono da Anzio a Stalingrado. Però incredibilmente gli piacevano i film di guerra, possibilmente con scene di battaglie navali, e la filmografia americana del dopoguerra ne era piena, anche se spesso si trattava della battaglia del Pacifico e non della guerra del Mediterraneo.
Alle 19,42 dell’8 settembre del 1943 la voce gracchiante di Badoglio annunciava alla radio frettolosamente e in termini ambigui l’armistizio. Il Re “sciaboletta” con il suo seguito si preparava alla fuga, e invece di difendere la capitale dai tedeschi adesso nemici, se ne andò a Pescara in auto e poi via mare a Brindisi. Non era la “fine della patria”, era l’inizio della lotta di Liberazione e dell’insurrezione al Nord. L’esercito venne lasciato allo sbando, senza indicazioni chiare, alla mercè della Wehrmacht che aveva invece ordini precisi ed era già allertata. Scattava così violenta e immediata l’operazione Achse. Da Cefalonia a Rodi, dal Dodecanneso a Creta, da Corfù ai Balcani, dal Mediterraneo a Roma, i militari italiani si trovarono senza indicazioni e per molti iniziò lo sbando. A decine di migliaia morirono nei giorni e nei mesi successivi all’8 settembre e a centinaia di migliaia vennero deportati in Germania. Il 9 settembre 1943 è anche la data dello sbarco alleato a Salerno, operazione Avalanche.
Da Genova e dalla Spezia, poco dopo la mezzanotte, partono due convogli della Regia Marina per ricongiungersi all’alba a Capo Corso e dirigersi verso l’isola della Maddalena. Dovevano ottemperare le confuse indicazioni dell’armistizio in un clima di incertezza e di spiazzamento, con Supermarina (Comando superiore della Regia Marina) che solo alle 12,30 del 9 settembre invia un messaggio con le condizioni armistiziali al Bergamini, e non sapremo mai come l’ammiraglio reagì.
Si mossero in quell’alba livida al largo costeggiando da ovest la Corsica per poi dirigersi verso la base della Maddalena attraverso lo stretto di Bonifacio. È il ministro della Marina, l’ammiraglio Raffaele De Courten, uno dei pochissimi al corrente dei termini della resa di Cassibile, a tentennare ancora con l’ammiraglio Bergamini che comandava il convoglio dalla corazzata ammiraglia, la splendida e turrita Roma. L’indicazione di concentrarsi sul porto italiano della Maddalena contraddiceva le clausole dell’armistizio, firmato già il 3 settembre in gran segreto, che erano quelle di dirigersi nel porto più vicino in mano agli alleati. L’ammiraglio Franco Maugeri, lo stesso che “accompagnò” Mussolini a Ponza dopo il 25 luglio e successivamente alla Maddalena, era a capo dei servizi segreti della Regia Marina. I cacciatorpediniere Antonio Da Noli e Ugolino Vivaldi avevano una missione delicata: si stavano muovendo verso Civitavecchia per imbarcare il Re e il maresciallo Badoglio che organizzavano la loro fuga nell’Italia meridionale protetta dalle armate alleate. Quando le due veloci navi ricevettero il contrordine si diressero alle Bocche di Bonifacio per unirsi al naviglio e rendersi utili. Il vento soffiava forte, il mare era abbastanza formato. Alle 14,24 Bergamini viene avvertito che la Maddalena è già occupata dai tedeschi e cerca di invertire la rotta dell’ormai denso convoglio: altre due corazzate, sei incrociatori, otto cacciatorpediniere, in tutto 18 unità. Supermarina dà l’indicazione tardiva dirigersi al porto nordafricano di Bona. Non mancano punti oscuri ed è impressionante la catena di omissioni, errori, responsabilità!
Alle 15,37 i bombardieri tedeschi della Lutwaffe attaccano questa formazione.
La corazzata Roma viene bersagliata dagli aerei con il nuovo razzo-bomba teleguidato, il Fritz X. Al secondo attacco viene colpita la torretta ed esplodono in sequenza le munizioni della santabarbara. Si solleva una colonna di fumo di molte centinaia di metri. Muoiono in 1352 su 1948, incluso l’ammiraglio Bergamini.
A poco più di un’ora dalla fine della Roma, colpita dalla batteria del fuoco tedesco e poi incappando in una mina, affonda il CT Da Noli, con più di duecento tra morti e dispersi.
Mentre ripiega verso l’Asinara il CT Vivaldi affonda, già colpito dalla batteria tedesca, con una cifra che supera le cinquanta unità in quanto a perdite. In quello specchio di mare, nel pomeriggio del 9 settembre del ’43 del secolo scorso, si forma un lago di fiamme, sangue, olio e nafta. Circa 1700 tra marinai e personale di bordo vanno a fondo.
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Di stanza al Centro telefonico del porto militare di Tolone, il giovane marinaio – appena promosso sottocapo segnalatore – è registrato sino al 5 settembre, poi più nulla. Probabilmente viene inviato come radiotelegrafista su quel teatro di guerra e utilizzato a bordo di qualche unità. Racconterà poi di essere scampato tra innumerevoli annegati e dopo alcuni giorni in balìa del mare di essere approdato su un’isoletta. Alcuni degli scampati del CT Da Noli approdarono a gruppetti alle “isole sanguinarie” del sud-ovest della Corsica. Dall’8 marzo del 1944 risulta rientrato nel Maridist Napoli e dal 1953 gli viene riconosciuta la continuità di servizio dei sette mesi di sbandamento dopo l’armistizio.
Dal 14 aprile del ’44 viene mandato al semaforo di Ponza su al Monte Guardia: in questa parte del paese la guerra è già finita. Ecco come incontra una delle ragazze del dopoguerra sull’isola, le ragazze che guardavano sorridendo il mare. La giovane aveva già perso il padre, un bravo carpentiere con due emigrazioni a New York nel 1900 e nel 1905 a costruire con altri italiani i primi tunnel della Subway, che dopo una brutta caduta nell’estate del ’43 non fu possibile portare all’ospedale di Napoli per via dei terribili bombardamenti degli alleati.
Il giovane marinaio ebbe altri due imbarchi a scorta di convogli verso il porto di Alessandria d’Egitto. Restare nella Marina Militare della Repubblica comportava lunghi imbarchi lontano dalla famiglia, e così si congedò e più volte ne parlò con rimpianto, temendo di avere sbagliato scelta. Tentò invano sull’isola il lavoro di pescatore di paranza. Accettò poi il consiglio di fare domanda in Polizia. Con De Gasperi al governo e il tristemente famoso ministro dell’interno Scelba, nel gennaio del 1948, con un arruolamento speciale, in ben 18.000 entrano in servizio, nel difficile dopoguerra.
Già nell’agosto del 1948 lo vedo in divisa in una vecchia foto nella 1ª Compagnia Mobile “ZONA PUGLIE” ad Altamura, in formazione armata. Raccontò poi di avere assistito, lui figlio di un agricoltore con piccola masseria, ad eccidi di braccianti e contadini in Capitanata, dove i carabinieri sparavano con le mitragliette poggiate sui treppiedi ad altezza d’uomo.
Il giovane marinaio non divenne mai un vecchio marinaio, ma un vecchio appuntato di Polizia, con tanto di medaglia d’argento alla carriera che sulla parete dello studio affianca la Croce al merito di guerra e le medaglie commemorative delle campagne di guerra 1940-1945, inclusa la guerra di Liberazione con il nastrino a due stellette brunite, una per ogni anno.
Quando la malattia confuse e annebbiò la sua memoria, rese incerto il suo passo e svagato il suo sguardo, lo portavo le domeniche mattina con mia madre a passeggiare lungo il lido vicino la città. Immaginavo che guardando la linea verde-azzurra dell’orizzonte cercasse con lo sguardo l’avvicinarsi della nave spettrale dei suoi compagni caduti in fondo al mare.
Ad perpetuam rei memoriam.
Silverio Tomeo