Le cisterne e i pozzi (prima parte)
di Leonardo Lombardi
Le cisterne e i serbatoi sono le opere idrauliche romane più diffuse e spesso si rinvengono quasi integre. Esse sono quasi sempre costituite da gallerie, coperte a botte, comunicanti tra di loro con aperture arcuate. Le singole gallerie possono essere lunghe da pochi metri a molte decine di metri, mentre la larghezza di ogni singola galleria raramente supera i quattro metri. Più gallerie appaiate aumentano evidentemente il volume. Le loro caratteristiche sono costanti e di facile riconoscimento. II pavimento e le pareti sono quasi sempre rivestite di un particolare intonaco, il coccio pesto (cfr. articoli precedenti). Tale intonaco, spesso messo in opera in più strati, aveva la funzione di impermeabilizzante e idrofugo. Lo stesso intonaco veniva applicato in maggior spessore, tanto da formare un cordolo arrotondato in superficie, in corrispondenza degli angoli tra le pareti e tra le pareti e il pavimento. Inoltre è costante la presenza di più aperture, poste a differenti quote e con funzioni diversificate. Un’apertura, per l’ingresso dell’acqua, posta, in genere, all’altezza dell’imposta della volta di copertura; un’apertura cui può corrispondere una scala per l’accesso alla cisterna (per la manutenzione); frequenti aperture circolari o quadrangolari, sul cervello delle volte, per il prelievo dell’acqua con secchi, allorché le cisterne servivano a questo scopo, ma soprattutto per necessità igieniche (aerazione) e per problemi di statica legati alle variazioni di pressione interna durante le fasi di riempimento e svuotamento delle cisterne; inoltre, un’apertura, poco più bassa in quota dello speco di entrata, con la funzione di troppo pieno e, infine, una o più aperture, ubicate in parete, ad una altezza di alcuni decimetri sopra il suolo, da cui partivano le tubazioni destinate alla distribuzione dell’acqua.
Queste ultime aperture, nei ruderi, sono generalmente rotte, in quanto le tubazioni di piombo e i calici di bronzo, affogati nelle murature, sono stati asportati. Le tubazioni e i calici rappresentavano la connessione idraulica, tramite una saracinesca, tra cisterna e rete di distribuzione (fig. 23). A volte si rinviene uno scarico di fondo diverso dalla connessione di uscita.
Fig. 23. Schema cisterna
La forma e le dimensioni delle cisterne erano le pin varie e si passa dai piccoli serbatoi di alcuni metri cubi di capacità a quelli giganteschi di decine di migliaia di metri cubi, che servivano le grandi utenze o intere città.
Tra le più grandi e imponenti conserve d’acqua sono da ricordare, a Roma, le Sette Sale e i serbatoi delle Terme di Caracalla. Inoltre, la Piscina Mirabile di Bacoli, i serbatoi di Fermo, il cisternone di Albano e i grandi serbatoi di Istanbul (leggi qui). Le capacità di queste grandi conserve raggiungono e superano le decine di migliaia di metri cubi. Ma molte altre sono le cisterne note, basti pensare che sui soli Colli Albani, alle porte di Roma, Devoti (1978) ha censito ben 185 strutture, tra serbatoi e cisterne, con capacità comprese tra le decine e le migliaia di metri cubi.
Sulle differenze tra cisterne e serbatoi, è sufficiente in questa sede rammentare che le prime sono alimentate esclusivamente da acqua piovana, attraverso un bacino di alimentazione proporzionato al volume della cisterna, mentre i secondi sono alimentati sempre da una fonte d’acqua continua, sorgente diretta o acquedotto (23).
L’accumulo dell’acqua, così come avviene nei moderni acquedotti serviva per coprire fabbisogni di punta o comunque procrastinati nel tempo.
In alcuni casi, idraulicamente a monte dei serbatoi, venivano costruite delle vasche limarie con lo scopo di far decantare eventuali elementi solidi in sospensione nell’acqua, funzione che poteva essere esercitata dagli stessi serbatoi con particolari accorgimenti.
Fig. 24 – Localizzazione delle cisterne e utenze servite
Per entrare nel merito delle strutture idrauliche di Ponza, l’acquedotto che proveniva da Cala Dell’Acqua-Cala Inferno serviva una zona specifica dell’isola (la zona portuale di Santa Maria); per il resto, in mancanza di sorgenti, i tecnici romani avevano fatto affidamento sulla risorsa pioggia, accumulando in cisterne quantitativi d’acqua importanti (24). Già Tricoli (1855, pp. 15-23) fornisce un elenco di “grotte”, molte delle quali attribuibili a cisterne. Maiuri (1926, p. 226) e Amici (1986, pp. 2-73) ne citano alcune non segnalate dal Tricoli o citate con altri nomi.
23 – Per maggiori dettagli sulle differenze tra serbatoi e cisterne: cfr. Kastenbein (1990, pp. 47- 58) e Lombardi e Corazza (1995, pp. 23-24) .
24 – Con la piovosità media di Ponza, mm/anno 650, e con un coefficiente di scorrimento variabile tra 0,9 nel caso di terrazzi e 0,3-0,5 nel caso di terreno libero, ogni ettaro di terreno (o terrazza) può fornire tra 5850 e 2000 m3 d’acqua
Inoltre Coppa (cfr. nota 17) , per incarico della Cassa per il Mezzogiorno, ha visitato numerose cisterne e, a suo dire, si hanno quattro sistemi di cisterne intercomunicanti tra loro per gruppi di quattro. Per ognuno dei gruppi il troppo pieno delle cisterne superiori verserebbe in quelle più basse in quota. Dalle quote più alte a quelle più basse i quattro gruppi sarebbero così articolati:
Tab. 1
Tab. 2a (Cfr. fig. 24) – Elenco comparato delle cisterne (segue)
Tab. 2b (Cfr. fig. 24) – Elenco comparato delle cisterne
Come vedremo l’interpretazione di Coppa, a parte l’attribuzione a cisterne di alcuni cunicoli, potrebbe avere una sua validità.
Informazioni dedotte dagli scritti degli autori citati in bibliografia, quelle ottenute da Coppa e infine quelle ricavate direttamente dallo scrivente che ha ricercato sul terreno tutte le cisterne segnalate, hanno consentito di costruire la tabella comparativa (Cfr. Tab. 2a e 2b).
Leonardo Lombardi
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