Curalle
– corallo s.m. Corallus rubrus, del gruppo entozoi.
Gli scogli costieri sono ricchi di corallo senza valore commerciale. Il vero corallo si trova a grossa profondità, intorno ai cento metri, e sempre rivolto a sud.
Fino a qualche decennio fa a Ponza vi erano una quindicina di barche che si dedicavano alla pesca del corallo. Non trovandolo nei mari di Ponza che erano stati tutti perlustrati e spogliati, i nostri pescatori si spostarono in Sardegna e in altri luoghi, per una intera stagione di pesca che durava all’incirca sei mesi. Il corallo veniva strappato dagli scogli con una particolare attrezzatura: u ngégne. Un congegno formato da due consistenti assi di quercia dalla lunghezza variabile secondo quella della barca. I due assi erano inchiodati o bullonati a croce con al centro un rilevante peso di pietra o di catena per un maggiore appesantimento. Agli assi, per tutta la loro lunghezza, venivano legate, a fasci, delle reti sfilacciate a cui doveva impigliarsi il corallo. Il congegno, tenuto da un cavo, veniva posato sul fondo alla base dello scoglio che si voleva “lavorare”. Dalla coperta, con un movimento di tira e molla, si portava l’attrezzo a strofinare lo scoglio e in questo salire e scendere le reti si impigliavano nel corallo e lo strappavano dalla parete dello scoglio su cui era nato e cresciuto.
Il lavoro di sfregamento durava diverse ore, poi il congegno veniva issato a bordo con l’aiuto di un verricello. Se la quantità e la qualità del pescato erano rilevanti, si cambiavano le reti e si rimetteva in acqua l’attrezzo per un nuovo turno di lavoro sempre sullo stesso scoglio mentre a bordo si provvedeva a sfilare i rami di corallo dalle reti e a deporli, secondo la consistenza e la grandezza, perché diverso era il prezzo di vendita, in casse diverse.
I bravi corallari mettendo una mano sul cavo teso che reggeva il congegno sapevano dire se su quello scoglio c’era o meno corallo.
Il corallo veniva venduto a Ponza dove arrivavano, per l’esame del prodotto, i commercianti da Torre del Greco, la patria del corallo. Il marinaio veniva pagato quasi sempre a vendita avvenuta e così saldava i debiti contratti dalla famiglia con i commercianti di alimentari.
Nei tempi passati il corallo ha rappresentato una rilevante fonte di guadagno per l’economia isolana. Tante case sono sorte con i proventi del corallo.
La vita del corallaro, sei mesi lontano da casa, su un piccolo gozzo, era dura e miserevole tanto che cantavano questa canzonetta: “Volendo arricchire la mia casa/ pensai imbarco di coral tornese/ che tanto era nobile e cortese/ che gli avrei fatto ancora le spese.
Alla Torre fecemi il musso a risa/ in Alghero na coppola m’incasa/ in Barbaria diviene arrisa/ a pane ed acqua con vita canina/ al sole con molle e tira la sfarzina/ manco il cuoio ci ritorni a casa”.
In tantissime case ponziane, specialmente in quelle di Le Forna, troviamo bene esposta e gelosamente custodita, na schiante i curalle. Essa è come un cielo stellato. Potrebbe insegnarci tante cose ma noi siamo disattenti.
Dal libro di Ernesto Prudente: “Vocabolario illustrato del dialetto parlato dai pescatori e dai marinai ponziani”