di Giuseppe Mazzella di Rurillo
Nelle Isole Ponziane dove la Storia di Napoli non si cancella
Si potrebbe creare un nuovo distretto industriale turistico che affonda le sue radici nella Storia: quello delle “ isole napoletane”. Le isole napoletane non sono soltanto Ischia, Procida e Capri che la geografia chiama “partenopee” sono anche Ponza e Ventotene che la geografia chiama “pontine” o “ponziane”. Mentre le tre partenopee sono sempre state amministrativamente nella Provincia di Napoli, Ponza e Ventotene – dopo esser state colonizzate dagli ischitani e dai torresi nel 1734 e nel 1772 dopo due secoli di abbandono per volontà dei Re borbonici Carlo III e Ferdinando IV – sono state assegnate nel 1931 alla nuova Provincia di Littoria, poi Latina dal 1952, ed hanno rescisso amministrativamente i legali con Napoli alla quale erano unite con i collegamenti marittimi fin dal 1857. Il “ postale” – Ponza, Ventotene, Ischia, Procida e Napoli – fu soppresso e mai più istituito nel 1976 dopo 119 anni.
Due giornalisti ischitani, Gianni Vuoso e Giuseppe Mazzella, dove oltre due secoli e mezzo sono andati a vedere e documentare la colonizzazione di Ponza e Ventotene da parte dei contadini e pescatori di Ischia e di Torre del Greco ed hanno visto che in quelle due isole tutto è napoletano: dal dialetto, alla cucina; dagli usi , ai costumi; dai nomi e dai cognomi o da “soprannomi” e ne hanno tratto la convinzione – attraverso due video e due lunghi e dettagliati reportage scritti per “La Rassegna d’Ischia” – che le isole napoletane sono 5 e non 3 e che al tempo della globalizzazione si potrebbe realizzare un unico distretto culturale e turistico delle 5 isole coinvolgendo 11 Comuni, 2 Province e 2 Regioni valorizzando le bellezze particolari di ogni isola e rendendole parte integrante di una offerta di viaggi ma anche affrontando insieme i problemi di vivibilità e di sviluppo delle 5 isole, “Capri, l’isola Azzurra”, “Ischia, l’isola Verde”, “Procida, l’isola di Arturo”, “Ponza, l’isola Lunata” e “Ventotene, l’isola di Altiero”.
Un sogno? Un investimento economico? Un progetto di nuovo federalismo?
Lasciando Ventotene – che hanno visitato la scorsa estate Vuoso e Mazzella – così chiudono il loro reportage:
Dal ritorno da Ventotene ad Ischia, 7 agosto 2010
Ripartiamo e facciamo “il ritorno ad Itaca” – come dice Gianni – con l’aliscafo della SNAV delle 19.15 che viene da Ponza. Abbiamo l’amaro in bocca. Registriamo che non solo è utopia progettare un distretto industriale turistico che abbiamo chiamato “le isole napoletane” ma che è perfino estremamente difficile ripristinare una linea di “collegamento umano” fra le popolazioni delle isole.
Ventotene e Ponza non comunicano tra di loro. La “continuità territoriale della Repubblica” – quella propagandata da tutti e codificata nella legge istitutiva del servizio marittimo di trasporto pubblico del lontano 1975 che istituiva la Caremar – non viene applicata nei collegamenti fra le isole napoletane ma solo tra loro ed il continente. Così non c’è un collegamento marittimo tra i ventotenesi ed i ponzesi. Soltanto d’estate, nella sola alta stagione di luglio ed agosto, e solo per esigenze turistiche, qualche armatore privato collega le due isole. C’è perfino rivalità tra le bande musicali di Ponza e Ventotene che scoppiò due anni fa addirittura con una polemica giornalistica e ci pare di capire che le due popolazioni non si amano né si sentono apparentate.
Tuttavia sia Ventotene sia Ponza ed ancora Ischia, Procida e Capri – le “isole napoletane” – hanno molti e gravosi problemi comuni. Primo fra tutti la fragilità delle loro coste: nel 2009 una turista è rimasta ferita dalla caduta di un sasso a Punta dell’Arco; lo scorso 20 aprile due ragazze romane sono rimaste uccise dal crollo della parete tufacea a Cala Rossano. A Ponza un operaio precipitò dalla parete che stava mettendo in sicurezza nel 1997 ed una turista è stata seppellita da un crollo nel 2001. Entrambi gli episodi hanno avuto come scenario la spiaggia di Chiaia di Luna, il più bel monumento naturale di Ponza che viene chiamata l’“isola lunata” non solo perché è a forma di Luna ma proprio dal nome della sua rada più bella e più famosa che anche quest’anno è stata chiusa al pubblico. Ad Ischia nel 1978 morirono 5 turisti stranieri dal crollo della collina delle Petrelle, costituita da detriti di tufo, sulla spiaggia dei Maronti. Altri crolli si sono registrati in questi ultimi anni a Procida ed ancora ad Ischia, ma per fortuna non ci sono state altre vittime.
Le isole napoletane avrebbero bisogno di una seria politica di Pianificazione Territoriale e di Programmazione Economica oltre quella – facile ma inapplicabile – del vincolismo assoluto.
Ma persiste un dannoso spezzettamento amministrativo che è un buon motivo per giustificare le inefficienze politiche delle classi dirigenti isolane: 2 Regioni, 2 Province, 11 Comuni.
Se non ci sono collegamenti marittimi fra le isole crollano anche i legami storici e culturali e non nascono nemmeno quelli economici.
Così ogni isola pensa alla propria economia e non ha alcun interesse per quella delle altre isole sorelle.
L’economia turistica di Ventotene è paragonabile a quella di un “villaggio turistico” della Valtur o del Club Méditerraneé. E’ una economia chiusa che dura poco più o poco meno di 60 giorni.
Dopo la festa di Santa Candida del 20 settembre chiudono tutte le attività legate al turismo ed al commercio. Gli stessi addetti non vivono a Ventotene la cui popolazione dimorante si riduce a circa 250-300 persone. Praticamente vecchi e bambini. Gli stessi addetti al turismo sono in gran parte extracomunitari. Secondo Salvatore Matrone del Diving Center di Ventotene ci sono almeno 250 extracomunitari che lavorano d’estate a Ventotene e qualche decina vive perfino tutto l’anno nell’ isola. I giovani non hanno altra possibilità che quella di cercare fortuna sul continente. Ieri come oggi.
Perfino le ricorrenze dividono Ponza e Ventotene. Mentre a Ponza l’estate comincia il 20 giugno con la festa di San Silverio a Ventotene termina il 20 settembre con quella di Santa Candida. Così le ricorrenze liturgiche segnano il solstizio d’estate e l’equinozio d’autunno rispettivamente per i ponzesi ed i ventotenesi.
Se queste sono le impressioni, le riflessioni sono più cocenti.
Questo scoglio battuto da tutti i venti che impediscono qualsiasi crescita di un albero di alto fusto ed oggi diventato ancora più brullo da un generale abbandono dei campi, tanto che ci è stato sconsigliato l’acquisto della classica busta delle lenticchie poiché ormai la produzione è di fatto inesistente, è stato toccato in maniera decisiva dal soffio della Storia Contemporanea.
I 14 anni del confino, i suoi mille e più confinati, hanno lasciato un segno profondo nella Storia del XX secolo ed hanno progettato un avvenire che stiamo, anche con delusioni e difficoltà, vivendo da almeno 50 anni. Questo avvenire è la costruzione dell’Unione Europea.
L’Europa – prima di 6 Paesi, poi di 12, poi di 15, poi di 27 che forse diventeranno 28 con la Turchia – è stata progettata qui da Altiero Spinelli, da Eugenio Colorni, da Ernesto Rossi e da tanti altri confinati che discutevano sul concetto di Democrazia e di Repubblica da fare in Pace non in Guerra.
L’ Europa “socialista” progettata nel Manifesto di Ventotene non c’è ancora e forse l’Europa di Maastricht che ha previsto l’unificazione finanziaria prima ancora di quella politica non sarebbe piaciuta ai padri fondatori. Comunque il progetto di Spinelli non era utopia ma senza l’eliminazione delle ingiustizie sociali gli Stati-Nazione dell’Europa continueranno ad esistere ed a perpetrare ingiustizie.
Altiero Spinelli era così legato a Ventotene che ha voluto che le sue ceneri riposassero per sempre nel piccolo cimitero dell’isola. Dalla scuola alla piazza tutto ricorda Altiero Spinelli e forse più che “l’isola delle sirene” come la propaganda la Pro Loco questa è l’isola di Altiero come Procida l’isola di Arturo dal libro di Elsa Morante. Qui la Storia e lì il Romanzo.
L’Unione Europea dovrebbe avere qui una propria sede di rappresentanza da allocare nel carcere di Santo Stefano e meglio sarebbe stata nella perduta “città confinaria”. Ventotene dovrebbe essere un’“isola extraterritoriale” dove l’Unione Europea potrebbe esercitare la sua completa sovranità forse ancor meglio che a Strasburgo o a Bruxelles con sedute plenarie del Parlamento Europeo e della Commissione cioè il Governo dell’Unione finanziaria e monetaria nelle more dell’Unione Politica.
Jacques Delors, socialista, uno dei più convinti europeisti, chiamava quella europea “la Révolution tranquille”: la rivoluzione tranquilla.
“Chi parla di un modello di società da creare viene sempre trattato come un utopista” scrive Roger Garaudy e così furono trattati anche Spinelli, Colorni e Rossi ed i loro compagni. La rivoluzione tranquilla l’hanno progettata ed altri la stanno attuando. Siamo in cammino e probabilmente occorreranno più generazioni per attuarla completamente. Abbiamo una “Strada Maestra” costruita fra i vicoli di Ventotene.
Questi “rivoluzionari tranquilli” sapevano che non era impossibile, perciò l’hanno progettata con estremo realismo in un giorno d’agosto di sessantanove anni fa, mentre un dolce vento di maestrale soffiava su Ventotene.
Lo stesso vento che soffia oggi mentre il potente aliscafo ci riporta nella nostra “isola verde”.
Gianni Vuoso e Giuseppe Mazzella