di Sandro Russo
Ettoree…
Silverioo…
Nell’aria tersa del tardo pomeriggio estivo s’incrociano i voli delle rondini e le grida delle mamme che chiamano i loro figli perché rientrino.
Ettoree… Silverio… A casa su… che è pronta la cena..!
Da che mondo è mondo le mamme la sera si sgolano a chiamare i figli; alla stessa ora, più o meno, i padri tornano anch’essi a casa, dopo essersi fermati un po’ al bar con gli amici, alla fine della giornata di lavoro. Ma i figli, da che mondo è mondo, hanno tutt’altri pensieri per la testa.
Senza sentire la voce che lo chiama, in quello stesso momento Ettore sta correndo verso la scogliera insieme al suo amico Silverio. La sfida infinita è con il gruppo dei ragazzini ‘di fuori’, quelli che vengono sull’isola tutti gli anni; una guerra che non è mai stata dichiarata e non si concluderà mai. Ad ogni nuova estate si fronteggiano. Si pesano al primo sguardo già sulla banchina del porto, dove i ragazzini del posto vanno a guadagnarsi i primi spiccioli, quando riescono ad arraffare le valigie dei pochi turisti che arrivano sull’isola. Anche quella è una lotta. Con ‘i forestieri’ che vogliono portarseli da soli, i loro bagagli, e con gli altri ragazzi, quelli appena più grandi, prepotenti e maneschi. L’ultima volta per Ettore il pericolo è venuto da un fronte del tutto inaspettato: il nonno l’ha beccato mentre trascinava una valigia più grande di lui su un carrello improvvisato; un ceffone e “…Dopo a casa facciamo i conti..!”, perché i suoi non volevano che si confondesse con i ragazzini del porto. Gli avevano mai fatto mancare qualcosa, per caso?
Ma i grandi come al solito non capivano.
Quell’anno Ettore aveva notato subito, tra la gente allo sbarco della nave, che Achille, il figlio dei ‘forestieri’ con la villa sulla salita della Torre, si era fatto più robusto. Biondo, con i capelli a spazzola e il sorriso sprezzante che Ettore gli conosceva da sempre. Da quando erano diventati per selezione naturale i capi dei due gruppi di ragazzini, quelli dell’isola e quelli di fuori, si fronteggiavano ad ogni occasione possibile. Nelle partite di pallone sulla sabbia, da cui tutti uscivano zoppicanti, scorticati a sangue dallo sfregamento del pallone contro i piedi; negli incontri di pallanuoto, una specie di lotta libera che si fa in acqua, dove tutto è concesso per il possesso della palla. In queste competizioni i due gruppi erano più o meno pari, mentre nelle gare di tuffi i ragazzini del posto vincevano sempre, perché il mare era cosa loro. Trovavano i posti più inaccessibili, le altezze impossibili, l’unico varco tra le rocce sottostanti in cui incuneare il corpo magro e bruciato dal sole; a fare quei tuffi gli altri neanche si provavano, tranne Achille, che sembrava non aver paura di niente…
Ora Ettore e Silverio hanno raggiunto la piccola spiaggia tra il muraglione del porto e la scogliera frangiflutti. È il luogo di tutte le loro giornate di spiaggia, dalla mattina fino all’ora di pranzo e poi ancora nel pomeriggio. Ettore ha un posto segreto, tra i massi della scogliera, dove nasconde i suoi attrezzi per la pesca. Un pugnale, l’arco e le frecce fatti con i ferri degli ombrelli vecchi… Di archetti ne deve fare almeno tre, ogni nuova estate, perché i suoi non vogliono che vada sott’acqua e giochi con quegli arnesi pericolosi; così, per tenerli buoni, ne nasconde uno nella sua stanza, dove la madre lo trova facilmente, e uno nel magazzino. Quando il padre viene da giù agitandoglielo sotto al naso, lui mette su una faccia afflitta e inscena una fiacca protesta. Il terzo arco lo fa con la cura maggiore, perché sarà quello definitivo, da usare per tutta l’estate, ogni mattina, prima che cominci ad arrivare gente in spiaggia. E’ quest’ultimo, insieme agli altri arnesi, che deve nascondere tra i massi della scogliera.
Ora proprio all’altezza del punto dove lui tiene nascoste le sue cose arrotolate in uno straccio unto d’olio, c’é un ragazzino del gruppo dei ‘forestieri’. Lo conosce bene; é uno che sta sempre insieme ad Achille, una specie di suo attendente. Anche lui si é accorto di loro, e si é messo a correre…
Correre tra i massi della scogliera é una delle prime cose che si imparano, nella vita sull’isola. Si salta da un masso all’altro, sempre più veloci man mano che si prende il ritmo. I massi sono irregolari, la falcata sempre diversa. Ettore é tra i più bravi, in quel tipo di corsa. Riesce a mantenere una velocità costante malgrado le difficoltà del percorso, lasciandosi andare all’eccitazione della corsa. Bilanciare il corpo e le braccia. Una concentrazione assoluta; riflessi rapidi. Decidere all’ultimo istante, mentre si spicca il salto, dove andrà a poggiare il piede al termine del breve volo.
Silverio è restato indietro, come al solito; l’altro ragazzino sta scappando verso l’estremità della scogliera, ma Ettore sa che lo raggiungerà presto. Coglie tutto questo con uno sguardo rapido, mentre atterra su un masso irregolare e si prepara al salto successivo. L’altro sta perdendo terreno; lo prenderà e allora ci sarà da fare a botte…
All’improvviso quello grida. Lo vede cadere nel cavo tra due massi. Si avvicina di più. Ha una gamba piegata in un angolo innaturale, e continua a gridare. Ettore gli arriva vicino, guarda meglio: vede del sangue e uno spunzone di osso che ha trafitto la pelle.
Ora non sa che fare. Grida a Silverio di fermarsi, di tornare indietro, di chiamare qualcuno, che quello si è rotto una gamba.
Del dopo ha ricordi confusi; viene gente di corsa, sente molte voci gridare; arrivano i suoi genitori che prima lo abbracciano, poi lo strattonano rabbiosamente. Su tutti ricorda lo sguardo di Achille che da vicino alla barella del suo amico lo cerca con gli occhi e non lo lascia. Sente il suo sguardo sulla nuca, mentre si allontana stretto per il braccio da suo padre, e non gli importa tanto ‘dei conti’ che dovrà fare con lui, quanto di quel lampo di odio che ha colto negli occhi di Achille.
***
Quella notte Ettore non dorme bene; le immagini della sera prima gli sono tornate più volte alla mente, mescolate ad altre, in un dormiveglia agitato. Poi apre gli occhi definitivamente, del tutto sveglio, e pensa di alzarsi, anche se in casa dormono ancora tutti.
Fuori c’è già odore di mattino. C’è sempre una leggera foschia, la mattina presto, e quel particolare modo di diffondersi del suono, che conosce bene: rumori attutiti, come se dipendesse insieme dalle caratteristiche dell’aria e da una ottusità nelle sue orecchie, ancora abituate al mondo dei sogni. Anche la luce è particolare; un po’ lattiginosa, che non ferisce gli occhi di chi viene dallo scuro delle stanze. C’è molta umidità nell’aria; la sente nelle narici, insieme ai profumi della prima estate. La vista è quella di sempre, sul porto e sul mare intorno; ci è abituato, ma ogni volta gli dà una sensazione di stupore e di pienezza.
Ettore non sa quanto tempo rimane lì incantato, appoggiato al muretto a calce e perso nei suoi pensieri, ma la sua tranquillità dura poco: nel giro di poco tempo – non saprebbe dire quanto – si svegliano tutti; la casa si popola di voci e di richiami alla realtà.
La prima mattina é finita, e forse anche l’infanzia, ora che ci pensa…
Sandro Russo
[L’ultimo eroe (1) – Continua]