di Giuseppe Mazzella.
Nel corso degli ultimi decenni Ponza ha saputo conquistare un pubblico di affezionati, e non solo per le sue bellezze. I ponzesi hanno vissuto l’epoca pioneristica del turismo con entusiasmo, a volte con ingenuità, ma sempre con grande senso di ospitalità, una delle nostre doti che ha subìto purtroppo un forte appannamento. Tutto questo ha preso il cuore di tanti che, a distanza anche di mezzo secolo, tornano ancora qui per le loro vacanze, fosse anche solo per rivivere nel ricordo quelle magiche atmosfere di un tempo in cui l’isola era circumnavigata a remi o con fuoribordi lenti e rumorosi, ci si sedeva ai tavoli delle prime rustiche trattorie per gustare una cucina genuina e sana, si veniva ospitati in camere spartane e lindissime di calce. Quel clima conquistò, tra i tanti, lo scrittore caprese Ettore Settanni che, affascinato, vi trascorreva molti mesi all’anno assieme alla famiglia. Settanni ha dedicato a Ponza pagine straordinarie, da grande scrittore qual’era, cogliendo e esaltando lo spirito del luogo. Un insieme di umanità e di bellezze folgoranti da calamitare tutti i sensi e da fargli preferire la nostra alla sua isola nativa. Sulla stessa linea di sensibilità un folto gruppo di pittori belgi soggiornò a Ponza per mesi nei primi anni cinquanta, realizzando uno dei più avvincenti ritratti dell’isola prima del turismo di massa.
Poi cosa è avvenuto? Inorgogliti dai lauti guadagni, si è pensato bene di disneylandizzare il turismo: mega feste, masse di turisti sospinti e concentrati tutti a fare la stessa cosa. Niente visite della straordinaria natura della costa, niente vita di mare, niente passeggiate, tantomeno riscoperte culturali delle importanti testimonianze archeologiche che ancora conserva, niente contatti con la gente del posto. Questi turisti ritornavano senza aver neanche visto l’isola. Un tipo di “cliente” che non produce affezione e spinge altri a visitare e godere delle nostre bellezze. Un po’ in piccolo quello che da anni si ripropone in rinomate stazioni turistiche dell’Adriatico e dell’alto Tirreno. Una movida che snatura sempre più lo spirito del luogo, seguendo una tendenza del resto planetaria, dove tutti tendono ad assomigliarsi sempre di più. Come ha scritto Levi-Strauss gli etnologi non hanno quasi più nulla da scoprire e, ha aggiunto Sergio Quinzio, arriverà il giorno in cui neanche i turisti avranno più molto da scoprire. Se continueremo a livellare tutto, infatti, non ci sarà più bisogno di andare in nessun luogo, perché ovunque troveremo sempre le stesse cose.
Ponza è un’isola fragile e non può permettersi un turismo di massa. Per questo va protetta e conservata. Ponza deve riscoprire e valorizzare la sua identità, non smetterò mai di ripeterlo, perché questa è la garanzia del suo futuro. In questa ottica bisogna privilegiare tutte quelle attività che recuperano le nostre tradizioni, le modalità e il carattere isolano. Il progetto è rendere Ponza sempre più Ponza, con tutte le sue specificità. Il turismo, nel senso più profondo, ed è quello che sopravviverà alla moda effimera dell’intruppamento organizzato, è riscoperta dei luoghi, della gente, delle tradizioni, della cucina, dell’artigianato. Il turismo vero non può essere disneyland, dove far accorrere il maggior numero di persone e tenerle come polli da batteria a consumare e divertirsi. Turismo è parlare con gli abitanti del luogo e confrontare la loro cultura con la propria. Turismo è godere della bellezza e riempirsi il cuore e l’anima. E Ponza ha le caratteristiche per offrire tutto questo. I giovani, seppure incosciamente, con la loro istintività si stanno muovendo in questa direzione. Bisogna incoraggiarli e con loro tutti quanti isolani e non che vogliono dare un loro contributo.
Giuseppe Mazzella