di Lino Catello Pagano
Non tutti sanno che cos’è ’a quarta i’ San Silverio; ricordo che mio nonno materno lo raccontava nelle sere piovose a Ponza e poi ne ho avuto conferma dal libro di Don Dies ‘Da Frosinone a Ponza’.
Il racconto ricorda che per i naviganti, e sul mare, San Silverio è protettore; il patrocinio del Santo è continuo e ancora commuove quanti di noi Ponzesi ancora oggi lo invocano nei momenti bui.
Ai tempi delle uscite in mare ‘a remi’ o con le prime barche a motore a pesca lontano da Ponza, alla fine della stagione e durante la divisione delle parti, i nostri pescatori – gli aragostai e i corollari dell’isola – prelevavano ancora dai guadagni, così come avevano fatto i loro padri, la così detta ‘quarta’ di San Silverio. Il Santo era calcolato come uno di loro, presente e partecipante al lavoro e alla pesca, e quella parte del guadagno era offerta per il culto e per la sua festa annuale.
Una volta, al principio del nostro secolo, i pescatori si recavano a pesca nei luoghi più ricchi di aragoste (come le coste della Tunisia e l’isola della Galite – N.d.R.) con ‘i burchielli’ (i’ burchiell’), grossi gozzi con i fianchi forati che fungevano anche da vivai per le aragoste. Era importante che i crostacei giungessero vivi sui mercati – soprattutto in Francia, a Marsiglia – dove erano un lusso per chi poteva comprarle.
La corporazione degli aragostai aveva promesso di offrire a San Silverio, con una cerimonia solenne, l’emblema prezioso della loro attività, ovvero un’aragosta tutta d’oro. L’aragosta fu approntata, caratteristica e bellissima, ma non trovavano mai l’opportunità di offrirla al Santo; mancava sempre qualcuno dei promotori. Una domenica tutti avvertiti, sicuri e d’accordo sulla cerimonia; ma con amara e universale delusione all’ultimo momento la cerimonia era stata rimandata anche quella volta.
Finita l’ultima Messa e tornati tutti scontenti a casa, un brivido scosse tutta l’isola e i Ponzesi: il Terremoto! Si sollevò un grido di terrore. con implorazione al Santo: San Silverio salvaci!
Ponza intera in lacrime. In un attimo tutti in Chiesa, dove senza più indugi gli aragostai offrirono commossi e compunti il loro dono simbolico al Santo.
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In ogni luogo dove arriva il ponzese porta con sé San Silverio e l’amore per la propria isola lontana.
A Marsiglia, alla Galite, in Sicilia, a Cagliari, a Olbia, alla Maddalena, nelle Americhe del Nord e del Sud, in Australia, in Canada, Belgio, Inghilterra e persino in Africa, in Tanganica, oggi Repubblica Democratica del Congo, il ponzese emigrante cerca il pane insieme a San Silverio.
Profuga da Lagosta (o Lastovo) oggi Croazia, al termine dell’ultima guerra mondiale, la colonia dei nostri pescatori ponzesi giunse, un triste giorno a Ponza povera e immiserita.
Una donna, capogruppo dei fuggiaschi, teneva tra le braccia piangendo la statuina di San Silverio che gli Jugoslavi eretici avevano frantumata. E quei pezzi della cara statuina dovettero passare dalle sue braccia nelle mani del parroco; solo allora, in quel momento, si sentirono tranquilli a casa.
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La Statua di San Silverio che veneriamo nella nostra chiesa di Ponza è molto bella. Troneggia nell’artistico e monumentale altare che fece fare, in onore del Santo, Ciro Piro, partito per la Sardegna a far fortuna.
Scultura lignea del settecento, con uno sguardo sereno e paterno; le labbra socchiuse sembra che voglia parlare al popolo. Sul volto del nostro Santo noi leggiamo le gioie e i dolori e le soddisfazioni o le pene della vita.
Ogni venti di giugno guardiamo attentamente il volto del Santo e diciamo: – Ha il viso sereno quest’anno… No! Ha il volto corrucciato… O ancora: – E’ molto arrabbiato!
Sono le nostre emozioni e paure della vita, giacché San Silverio, alla semplicità di chi ha fede in Lui, le rivela.
I figli d’America partiti da Ponza a cercar fortuna gli donarono una tiara d’oro e una d’argento come le croci anch’esse oro e argento.
Pochi anni fa il Santo, il giorno della processione era ricoperto dall’oro donato dai suoi figli ed era tanto!
Ricordo di quando ero bambino: si aspettava l’uscita per vederlo brillare alla luce del sole ed era sempre un’emozione grande e il sole sembrava che volesse partecipare con i suoi raggi infuocando di calore l’isola.
Lino Catello Pagano