Foto

Nera schiena del tempo

di Sandro Russo

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Scorrendo la Galleria di foto della Galite pubblicata su questo sito (vedi qui) sono stato attratto da queste due, in particolare, di cui non saprei dire gli anni in cui sono state scattate…

Nella prima si vede un ridente paesino di case bianche. Due donne in piedi chiacchierano vicino ad una delle case; hanno gonne a mezza gamba, con le caviglie scoperte. Potremmo essere negli anni ’50…

Accanto a loro, sul muretto basso, una bacinella di quelle di zinco, con i panni da lavare o appena lavati. Il lavatoio poco distante – sulla sin. della foto – di cui si può immaginare lo scorrere dell’acqua. Un’altra presenza umana – sembra un uomo con un berretto in testa – su uno dei balconi alla destra della foto. Un paesaggio brullo e pietroso, ma vivo; qualche albero tra le case, forse di fico, o di gelso. Addirittura una botte. Una staccionata a delimitare un orto, a fianco del fontanile; le case biancheggiate all’uso ponzese, ben tenute.

Qui è passato il Tempo, la sua nera schiena.

Il paesaggio è indubitabilmente lo stesso, ma come eroso, semplificato. Non più case ma ruderi, del colore dell’abbandono; i tetti – un po’ si vedono, un po’ si immaginano – crollati. Il fontanile è disseccato con il ricordo dell’antica vena d’acqua testimoniato delle canne che hanno invaso la zona dov’era prima l’orto e di cui si vedono – all’estrema sinistra della foto – i pennacchi delle infiorescenze.

Nessuna presenza umana: muri sbrecciati e strade che non servono più a nessuno. Il cortile della casa, accanto al quale le donne erano ferme a chiacchierare, è stato invaso da una grande pianta che sembra un fico. Dove erano porte e finestre ci sono ora buchi neri.

 

Perché guardiamo le foto? Cosa cerchiamo nelle tante immagini e nei paesaggi che vediamo scorrere sulle pagine del sito? Spesso antiche vestigia di qualcosa che si è evoluto; cambiamenti che inconsciamente ci aspettiamo ‘in meglio’. Tanto siamo permeati delle “…magnifiche sorti, e progressive”. Queste foto colpiscono perché mostrano invece l’involuzione; un cambiamento per eliminazione della presenza umana, da un luogo – quello del paese e delle case – precipuamente deputato a racchiuderla e proteggerla. E ancor più ci toccano per l’affettuosa familiarità con quelle case, con un mondo che, anche così lontano dalla nostra isola, ci è comune e contiguo.

Non siamo abituati al peggio. Trovarlo lì ineludibile, mostrato nero su bianco, dà una piccola stretta al cuore, per le proiezioni, le implicazioni e i rimandi con cui ogni immagine andiamo a ricomporre, appena dietro gli occhi.

 

 

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